Austerità e lavoro, De Gasperi e Fanfani: attori diversi, stesso copione

Firenze – 30 gennaio 2015: avversione per la sinistra DC. Così Aldo Cazzullo titola un suo articolo sul Corriere della Sera di qualche giorno fa riferendosi allo stato d’animo di Berlusconi dopo la scelta di Sergio Mattarella per il Colle. Quelli che appartengono alla sinistra DC, che in realtà oggi si chiamano cattolici democratici, lui seguita a chiamarli “cattocomunisti”. 10 gennaio 1950: studio del presidente del consiglio.Il padre della patria, Alcide De Gasperi, un cattolico liberale autentico e sofferto, riceve i “cattocomunisti” di allora: Giuseppe Dossetti (vicesegretario della DC) e Amintore Fanfani, ministro del lavoro del suo quinto governo. Manca Giorgio La Pira, amico personale di Fanfani e sottosegretario al lavoro.

Nelle piazze, cortei di disoccupati. I cattocomunisti di allora negoziano la loro permanenza nel nuovo governo De Gasperi, il sesto per la precisione. Dossetti pretende per la sua corrente il ministero del lavoro, che già detiene e un ministero tutto nuovo, quello delle zone di sviluppo. Un ministero da istituire, sostiene, per sconfiggere la disoccupazione allora dilagante come oggi.

De Gasperi è insolitamente nervoso, Fanfani combattivo più che mai. Ad andare in scena è lo scontro frontale fra due contrapposti orientamenti di politica economica: il keynesismo espansivo dei due ospiti e il monetarismo deflazionista di De Gasperi, Pella ministro del tesoro, Einaudi altro celebre liberale del momento, cui De Gasperi aveva affidato la regia dell’economia nazionale. Lotta alla disoccupazione e pareggio di bilancio sono, nel linguaggio del momento, degli ossimori, termini economicamente contrapposti e contraddittori, come oggi del resto.

Ecco il verbale della riunione pubblicata nei Diari di Amintore Fanfani:

De Gasperi: ma c’è il bilancio da pareggiare!
Fanfani: è l’ora di finirla con le mistificazioni! Ci sono 1.200.000 disoccupati: 400.000 giovani da mandare ai corsi (di riqualificazione: il Job’s act del momento), e altri 800.000 da impiegare con altri 200 miliardi.
De Gasperi: Pella pensa che questo non debba stare nel bilancio pubblico, ma in quello dei privati!
Fanfani: a me non importa nulla dove stia. M’importa che si preveda e si controlli.
De Gasperi: ma questo è il New Deal. Il grido del presidente lacerò l’aria (immaginiamo noi).

La parola oscena era stata pronunciata, il New Deal, come per esorcizzare il Maligno. Raccontano le cronache che quella riunione finì male. I dossettiani furono allontanati dal governo e bollarono i Dc che vi parteciparono con l’appellativo irriguardoso di “ i cattolici governativi”. Ma l’esilio dei dossettiani durò appena un anno e mezzo e, nel luglio del ’51, Fanfani fu accolto di nuovo in un governo De Gasperi come ministro dell’agricoltura. La storia non finisce qui, nel 1954 De Gasperi, poco prima di morire, sceglie Fanfani come suo delfino. In sostanza il grande cattolico liberale scelse come suo successore un politico che aveva idee economiche diverse (opposte) alle sue, inaugurando il periodo riformistico più intenso del secondo dopoguerra.
Come spiegare questo paradosso? La storia non sarà magistra vitae, ma è indubbio che il vecchio Vico, che ragionava per corsi e ricorsi, avrebbe forse da suggerirci qualcosa di interessante a questo proposito. Lontano da noi accostare la figura di De Gasperi a quella di Berlusconi: il confronto sarebbe ridicolo. Ma è certo che le due anime della DC, quella interventista di Fanfani e quella del “Lasciar fare al mercato” che tanto, alla fine, tutto si riaggiusta da sé, sono ancora vive e vegete nella storia del nostro paese. Foto: www.newscattoliche.it

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