Firenze – Arriva rapidamente, la controinterpetazione dell’associazione Artemisia circa l’articolo che riporta la storia di Maria, vittima di violenza, una donna che è stata protagonista del programma di protezione dell’associazione.
“Siamo costernate – scrivono dall’associazione, in una lunga nota in cui danno la propria versione dei fatti – dal dover intervenire pubblicamente rispetto a situazioni che richiedono, per la sicurezza dei nuclei, la loro privacy e la delicatezza del tema, rispetto e sostegno soprattutto da parte delle istituzioni preposte”.
Nella nota si sostiene che i fatti sono infondati e inattendibili, ma soprattutto che si lederebbe l’anonimato dei minori. Accusa da cui ci sentiamo di dissentire, ma che in ogni caso, per dimostrare la nostra buona volontà nel non inficiare il diritto di replica e di opinione dell’associazione, abbiamo già provveduto a modificare nei passaggi che riguardano i figli della signora.
Prosegue la nota: “Trattare pubblicamente casi specifici viola la sicurezza e mette a repentaglio programmi condivisi e strutturati con la rete di riferimento, i Servizi sociali dei comuni di residenza, e dei nuclei seguiti. La modalità narrativa inoltre disincentiva i nuclei a chiedere aiuto per uscire dalle situazioni di violenza e contraddice i processi di empowerment in corso. Non potendo quindi entrare nel merito ribadiamo che la presa in carico di vittime di violenza è
questione complessa, che richiede professionalità comprovate e certificate, a tutela innanzitutto delle vittime di violenza. Artemisia è iscritta all’elenco dei centri antiviolenza e delle case rifugio operanti nella Regione Toscana ai sensi dell’art. 2-bis della l.r. n. 59/2007 (Norme contro la violenza
di genere) e della D.G.R. n. 368 del 25/03/2019 del Centro antiviolenza ed è quindi il Centro antiviolenza di riferimento per l’Area Metropolitana di Firenze (zona fiorentina)”.
“Artemisia sarà ben lieta di spiegare ed argomentare come funzionano concretamente le attività che i Centri Antiviolenza portano avanti e come funzionano i piani di protezione nelle case rifugio ed i programmi di reinserimento sociale per svolgere un’opera di informazione e sensibilizzazione. Poiché è evidente che il terzo settore non può tamponare mancanze strutturali nelle politiche di contrasto alla violenza di genere, confidiamo nel rinnovato concreto impegno della politica per la facilitazione e il sostegno all’autonomia dei nuclei vittime di violenza. La necessità di politiche e soluzioni abitative ad hoc (riserve alloggi ERP ad esempio) è tema centrale per percorsi che non si esauriscono mai nella gestione dell’emergenza e nel breve periodo e che non possono essere trattati in via ordinaria rispetto alla territorialità delle prese in carico, essendo evidente che il ritorno nelle zone di residenza non è quasi mai compatibile con la necessità di una protezione sul lungo periodo”.
“Artemisia altresì, per affrontare le gravi lacune di sistema, grazie a contributi privati, molto spesso interviene a sostegno di affitti, caparre, bollette, cercando di sostenere i progetti di ricostruzione, autonomia e libertà. Consapevoli della complessità dei percorsi e degli innumerevoli ostacoli da affrontare, consapevoli
degli effetti e dei danni che la violenza comporta sulle donne e sui minori coinvolti, manifestiamola nostra distanza da distorte semplificazioni e rilanciamo l’invito alla politica nell’ essere un interlocutore proattivo e resiliente assieme a chi sostiene concretamente le vittime nella costruzione di alternative possibili”.
L’articolo redatto è stato costruito secondo le regole della deontologia professionale, attingendo le informazioni dagli attori principali, nel caso la protagonista della storia e la Fondazione Caponnetto che se ne è presa carico. S.V.