Prato – L’occhio registra un impercettibile movimento. Mi fermo e trattengo il respiro. Forse è solo un’idea ma… No. L’installazione, delle forme quasi organiche trattenute a terra da sottili filamenti rigidi si muovono.
In un tempietto dalla struttura neoclassica, pensato, mai usato, per contenere corpi esanimi e ora depositario del tempo che trascorre come dono divino alla vita vegetativa, in un luogo destinato al silenzio, dove chi vi dimora viaggia verso una solitudine immobile, distinguere un soffio che crea un moto diventa una sensazione spiazzante.
Il progetto espositivo “Respiri” di Andrea Marini presente, fino a sabato 11 settembre 2021, nel cimitero di Chiesanuova a Prato, vuole essere una riflessione profonda sul ciclo vitale.
Affacciarsi verso un interno intriso di decadenza e trovare qualcosa di vivo, che si muove, è un’esperienza che fa ripensare alle umane certezze e alle possibilità infinite, in quella sottile traccia che divide l‘esistenza dalla non esistenza.
“… Ma l’artista fa qui anche una riflessione sui flussi di energia i quali, pur invisibili, – scrive Riccardo Farinelli, curatore del progetto “Arte nei cimiteri” – sono avvertiti come circolanti intorno a noi: le sue ventisette strutture circolari, con la loro energia turbinante, ne sono la rappresentazione ribadendo così il concetto, centrale nel lavoro di Marini, di metamorfosi e rinascita”.
I ventisette elementi disseminati nel parco intorno la cappellina, che in forma di nuvolette, come leggeri soffi salgono dalla terra disperdendosi nell’aria creano una diversa percezione della realtà. “Si crea così una fluida continuità tra passato e presente, tra storia e contemporaneità…”.
Andrea, l’installazione “Respiri” nel Cimitero di Chiesanuova a Prato, restituisce a chi la guarda una forte emozione per la sottile sensibilità dell’ideazione. Mi vuoi dire il pensiero che ha accompagnato la realizzazione di questo progetto?
“Quando Riccardo Farinelli ideatore e curatore dell’attività espositiva nel cimitero di Chiesanuova a Prato mi ha chiesto la disponibilità per un mio intervento, ho avuto seri dubbi sulla possibilità di poterlo realizzare in un contesto così particolare, ma dal momento in cui ho visitato il luogo mi sono ricreduto: la presenza della Cappella sconsacrata recante in sé, evidenti, i segni del tempo, posta in mezzo ad un prato confinante con tombe di bambini, mi ha profondamente emozionato. È nato allora forte in me il desiderio di evocare il ricordo di persone care con un intervento che fosse al contempo leggero e vitale così come sono vitali le immagini, le sensazioni, le emozioni legate a coloro che hanno fatto parte della nostra vita.
Mi è venuto in mente allora, di costruire dei vortici in polistirolo di varie dimensioni, ma mai troppo grandi, che con la loro leggerezza potessero far pensare a presenze sotterranee, a dei respiri che fuoriuscendo dal terreno concretizzassero questa sensazione “forte” del ricordo.
All’interno della cappella ho poi installato un lavoro del 1997 intitolato “Feticci”, costituito da una sorta di frammenti in vetroresina vagamente zoomorfi e antropomorfi collocati sulla sommità di sottili steli metallici, che penso abbia trovato qui la sua collocazione ideale in quanto riesce a ben collegare il culto “cristiano” rappresentato dalla Cappella con l’origine di tutti i culti, rappresentato invece dal mio lavoro. Si è verificato così, un cortocircuito temporale tra presente e passato, istanze contemporanee e riferimenti arcaici, primordiali. Inoltre, il leggero movimento dei feticci che animano la Cappella evoca, nell’immaginario, suggestioni di impalpabili presenze creando un naturale dialogo con l’installazione respiri e con il contesto che li circonda”.
Il tuo lavoro si svolge attraverso elaborazioni di idee e stati mentali che prendono forma in modo originale. Come nasce?
“Non credo sia mai facile esprimere razionalmente come nasce un lavoro: sono sensazioni, intuizioni, visioni che prendono corpo senza una logica precisa ma che, comunque, seguono sempre un flusso interiore, un filo conduttore. L’innesco può essere una parola, un’immagine, un materiale, un titolo, un’emozione, uno stato d’animo, una condizione onirica, un effetto o una soluzione casuale incontrata nell’elaborazione di un lavoro … Un artista ha sempre in funzione un’antenna che cerca di recepire le istanze, gli avvenimenti e, i piccoli o grandi fenomeni che succedono intorno a sé per rielaborarli e trasformali; ciò che ottiene, però, insinua solo dei dubbi o suscita il bisogno di porsi delle domande”.
La tua attività artistica si è svolta con un percorso che a me sembra coerente e lineare. Quali sono stati i passaggi fondamentali che hanno segnato delle pietre miliari nella tua arte?
“Probabilmente fin da ragazzo ho sempre desiderato fare l’artista ma senza ammetterlo a me stesso. Mi sono impegnato a fasi alterne riuscendo a raggiungere risultati considerati, da me, abbastanza interessanti, solo alla fine degli anni ottanta. Da allora non mi sono più fermato.
Fino agli inizi degli anni novanta la mia ricerca era caratterizzata, fondamentalmente, da un approccio di tipo geometrico di per sé piuttosto rigoroso che richiedeva un consistente impegno progettuale. Ad un certo momento mi sono sentito troppo vincolato, ingabbiato perciò è nato in me il bisogno di intraprendere un lavoro più organico che mi permettesse una maggiore libertà creativa e mi consentisse anche di affrontare, più direttamente, un tema che mi sta particolarmente a cuore: creare, o meglio ri-creare una sorta di naturalità innaturale che, coinvolgendo il mondo vegetale ma anche quello zoomorfo e antropomorfo, sia sintomatica e conseguenziale del controverso rapporto uomo-natura che stiamo vivendo.
Questo è stato il passaggio fondamentale che ancora oggi influenza e guida la mia ricerca. Quando creo questo nuovo “mondo” pur lasciandomi guidare da stimoli, sensazioni e di conseguenza soluzioni che possono variare continuamente nel tempo, seguo delle linee guida che danno omogeneità al mio lavoro: Vorrei creare delle opere non del tutto risolte nella loro conformazione ma colte in uno stato di crescita, di cambiamento quasi fossero organismi viventi. Non vorrei che le mie opere fossero soggette ad una interpretazione univoca; vorrei invece, che il loro messaggio risultasse ambiguo e quindi aperto ad una molteplicità di interpretazioni in modo da aprire nuovi varchi all’immaginario.
Non vorrei che ciò che costruisco possa essere collocato in un’era ben definita ma vorrei che facesse parte di un mondo primordiale e contemporaneamente appartenere ai primordi di una nuova era in modo da coniugare il non ancora presente con l’originario.
Vorrei infine, che nei miei lavori, pur nella loro sostanziale essenzialità di linguaggio e leggerezza costruttiva, trapelasse sempre una “sottile inquietudine” perché solo così, secondo me, si può far scaturire un’idea di bellezza”.
A quale progetto stai lavorando adesso?
“In questo momento non sto lavorando a particolari progetti, continuo il mio naturale percorso, costruire opere o creare installazione seguendo sempre il mio flusso interiore e che siano testimoni della realtà che ci circonda per interpretarla nel modo più personale e significativo possibile”.
Per “Arte nei cimiteri”, Andrea Marini con “Respiri”, courtesy galleria Die Mauer arte contemporanea, fino al 11 settembre 2021 negli spazi del cimitero di Chiesanuova a Prato.
Il progetto si avvale anche della collaborazione di Villa Rospigliosi e di AA associazione ARTE e ARTE Cina e Italia.
Andrea Marini è nato a Firenze dove ha conseguito la maturità artistica e la laurea in architettura.
Vive a Firenze e svolge la sua attività artistica, iniziata alla fine degli anni ’80, in uno spazio di tipo industriale in località Calenzano (Firenze).