Cinema e arte. Cosa lega la settima arte, il cinema, all’arte? Qual è il rapporto? Sono domande che viene spontaneo porsi, tanto più vivacemente ora che la strana coppia ha fatto sold out durante la recente 16° edizione de Lo schermo dell’arte, la rassegna fiorentina di cinema e arte diretta da Silvia Lucchesi (dal 15 al 19 novembre), con oltre 6 mila spettatori che si sono divorati le 30 proiezioni di film d’artista, documentari sull’arte contemporanea, le nuove produzioni del Visio Production Fund, l’installazione de La montagna magica di Micol Roubini e i Festival Talks.
Punta di diamante, il film Inside, con Willem Dafoe innamorato dei quadri che invece avrebbe dovuto rubare su commissione. Ma quale è la magia di questo connubio? Come opera la seduzione? Per prima cosa Leonardo Bigazzi, curatore dei progetti de Lo schermo dell’arte, fin dai suoi inizi nel 2008, dedicati alla promozione dei giovani artisti che lavorano con le immagini in movimento, sgombra il campo dalle questioni più pratiche: “Teniamo anche conto del fatto, non secondario, che il festival fiorentino si è ormai saldamente strutturato tramite un proprio lavoro di programmazione, ricerca e organizzazione che dura l’intero anno e che si è costruito negli anni un pubblico affezionato che segue le sue attività. Inoltre cura i contatti con le scuole d’arte e accademie e ha anche offerto, grazie al sostegno di Gucci per il secondo anno, la possibilità per il pubblico under 30 di entrare gratuitamente, ragazzi peraltro abituati a seguire il cinema su computer e telefonini e che invertono inaspettatamente l’abitudine. Significa creare per il cinema il pubblico futuro, per non vedere nelle sale cinematografiche solo teste bianche”.
Appunto, il cinema. “Il rapporto stretto che si sta sempre più creando, con gran successo, tra cinema e arte conferma l‘interesse crescente per l’arte contemporanea ma anche un rinato piacere per il cinema – dice Bigazzi – il festival esplora due aspetti di questo rapporto: il cinema che racconta l’arte e il cinema usato come medium. Nel primo caso il cineasta ti fa scoprire gli artisti attraverso il linguaggio del documentario. Nel secondo, sono gli artisti stessi che creano mediante il cinema. Il video, le immagini in movimento, sono un altro strumento con cui l’artista si esprime esattamente come il pittore fa con il pennello o lo scultore con la creta. Negli ultimi 15-20 anni il video è diventato il media principale con cui si fa il racconto della realtà. Un po’ come alla fine dell’Ottocento è stata la fotografia”.
Bigazzi per Lo schermo dell’arte si occupa anche di uno specifico progetto di residenza che si chiama VISIO e che invita una serie di giovani artisti internazionali sotto i 35 anni a venire a Firenze per una settimana. “Organizziamo per loro una serie di seminari, di incontri come con curatori e produttori internazionali. Quest’anno tra gli altri c’erano Valentine Umansky, curatrice della londinese Tate Modern, o Stefano Collicelli Cagol, direttore del museo Pecci. Negli anni passati anche mostre dove hanno presentato i loro lavori in vari spazi istituzionali della città, tra cui Palazzo Strozzi, Manifattura Tabacchi, Villa Romana e il MAD. Dall’anno scorso ci occupiamo anche di produzione e, in accordo con una serie di istituzioni italiane e internazionali, diamo 10 mila euro ciascuno a quattro artisti per sviluppare un progetto da presentare l’anno successivo a Lo schermo dell’arte. Poi l’opera prodotta entra a far parte delle loro collezioni permanenti”.
Fin qui il fascino del creare girando un film come se si stesse usando il pennello o la creta. Ma quando il cinema racconta l’artista e il suo lavoro, qual’è la magia segreta che ammalia lo spettatore? “I documentari sugli artisti affascinano – dice Bigazzi che durante il festival ne tocca con mano gli effetti – perché danno la possibilità di entrare negli studi degli artisti e scoprire che non sono asceti ma persone con dubbi e paure. E’ come essere dietro le quinte di una mostra o partecipare visivamente alla realizzazione di un quadro. Ci sono anche i documentari storici, per esempio sulla New York degli artisti anni 70’- ’80. Insomma i documentari che aprono gli occhi sull’oggi, ma anche quelli che li aprono sul recente passato. Aiutano a vedere ciò che altrimenti non è dato vedere”. Come entrare in un museo. E invece si è al cinema. “Entrare in un museo o andare al cinema è ovviamente molto diverso. Il cinema in un certo senso è più accessibile. Ha una sua ritualità, sei in una sala dove si fa un’esperienza collettiva, si sentono le emozioni di chi ti siede accanto, si segue un racconto. Il museo è diverso: lì spesso sei solo con te stesso, la relazione con l’opera d’arte è più personale e meno immediata.”.
Anche in Toscana, riflette Bigazzi, ci sono musei o centri espositivi che fanno un ottimo lavoro con l’arte contemporanea. C’è chi lavora sui grandi numeri, come Palazzo Strozzi, o chi invece lavora più sulla ricerca come il Centro Pecci. Ma “L’arte contemporanea rimane un settore che purtroppo coinvolge soprattutto le élite culturali e economiche di questo paese”. Forse può succedere che proprio un film come Inside, girato con un attore di grande richiamo come Willem Dafoe, possa avvicinare all’arte contemporanea masse più distratte. “Defoe – racconta il curatore – entra in un grande e lussuoso loft di Manhattan per rubare opere d’arte su commissione, ma al momento di uscire rimane bloccato in questa splendida prigione di cristallo. A quel punto deve trovare un modo di sopravvivere, come se fosse su un’isola deserta. Io ho curato la collezione d’arte del film in dialogo con il regista e il produttore. Fin dall’inizio ho immaginato di trattare la curatela come se fosse una vera e propria mostra, esplorando il potenziale generativo dell’incontro tra arte contemporanea e cinema. Per questo, nonostante i tempi stretti di produzione, ho proposto anche di commissionare sei opere per il film. Opere con cui il protagonista dialoga in modi diversi, fino quasi ad identificarsi in esse.”
In foto Willem Dafoe protagonista del film Inside ospite al Festival “Lo Schermo dell’arte”