Argentina on the road: la forza dell’Iguazù

Argentina on the road: la forza dell’Iguazù. Diario di viaggio Argentino di un viaggiatore alla ricerca dello spirito avventuriero e solitario.

Lorenzo Pedrazzi

In questo paese il modo migliore per spostarsi è senza dubbio il Colectivo. Il Colectivo non è altro che un autobus, un pullman, adatto a ricoprire lunghe distanze. Nel mio caso ha attraversato un terzo del territorio nazionale in direzione Nord – Est. Stando comodamente seduto (semi-cama) o sdraiato (cama), ho potuto contemplare dalle giganti vetrate della prima fila la Pampa Gringa di Santa Fé tuffarsi dentro il Paranà, guadarlo, e riemergere sulla sponda di Entre Rios. I primi Guaranì, invece, li si incontrano fiancheggiando l’Uruguay nella provincia di Corrientes sotto all’uncino di Misiones. Puerto Iguazù è proprio lassù, nella punta più a nord di Misiones, incastrata tra il Paranà e l’Iguazù.

Venti ore di Colectivo facendo qualche sosta ma senza mai toccare terra, proprio come se fossimo a bordo di un volo transoceanico. Mi sveglio a due ore dalla mia destinazione finale, giusto il tempo di sbirciarmi intorno, ancora assonnato: sono su una sottile forbice ondulata che taglia in due un polmone gonfio di verde. Entriamo nella stazione degli autobus, raccatto i miei bagagli e mi avvio alla ricerca dell’Hostal Che Lagarto lungo Avenida Brasil. È metà mattina, l’asfalto è già rovente, le vie semi deserte. Camminando, mi sento addosso solamente gli occhi dei pochi negozianti appoggiati all’ingresso delle loro tiendas. Scrutano un mochilero scendere verso il fiume.

La giornata scorre lenta. Una lunga doccia e un pranzo a base di empanadas mi convincono a raggiungere  l’Hito de las tres fronteras. Spalle all’Argentina e al suo monolite bianco-azzurro seguo con lo sguardo una piccola imbarcazione scorrere lungo l’Iguazù. Anche il ponte Tancredo Neves sembra fissarla. Sospinta dalla corrente incontra il Paranà. Senza opporre resistenza si lascia trascinare lontano dal Brasile rimanendo in balìa di Argentina e Paraguay. Nel frattempo arrivano frotte di turisti che, senza volerlo, mi spingono verso riva.

Ora è notte. Il caldo si è smorzato nella sala comune del Che Lagarto. Prendo il mio posto all’interno di una tavolata Europea. Poco più in là un circolo chiuso di ragazzi Statunitensi. Parlo spagnolo con Kathrine, una ragazza tedesca partita cinque mesi fa dal Messico, Emma e Flo, una coppia francese di Toulouse proveniente dal Brasile, Sara e Roberta, due italiane in giro per il Sudamerica, Amelie, francese ora residente a Buenos Aires e Charline, sempre francese, in visita ad un’amica argentina. Tutti quanti con una storia diversa da raccontare. Ci accompagnano la musica del Che Lagarto di Alejandro che di tanto in tanto si aggrega a noi e il cielo terso puntellato di stelle. Qualcuno mi indica la Cruz del Sur, al suo punto più alto sopra l’orizzonte. Passiamo ore a quel tavolo guardandoci ridere e scherzare. Intorno a noi solo sedie sparpagliate e strabordanti  posaceneri.

El Rapido è il mezzo più economico e pratico per raggiungere il Parque Nacional Iguazù. Dopodiché un  trenino alimentato a propano ti fa scorazzare dappertutto all’interno dell’area. Decido in primis per il circuito superior . Una fitta ragnatela di passerelle con scalini si aggroviglia intorno a quasi duemila specie differenti di piante subtropicali, unico vero rimedio all’incessante martellare del sole. Lo spettacolo che si intravede tra le fronde diventa a poco a poco impressionante, barbaro come direbbero da queste parti: solide pareti d’acqua si disintegrano in leggere nuvole brumose che innaffiano macchie di foresta Brasileña.

Passo al circuito inferior costeggiando i binari della ferrovia. Ogni dieci minuti il fischio del treno annuncia il passaggio di un carico di turisti. La mia marcia continua di buona lena in compagnia di una miriade di farfalle dai colori più disparati e di qualche timida iguana che al mio passaggio se la svigna dentro il buio della selva. In lontananza percepisco un rumore silenzioso, sempre più intenso passo dopo passo. Il rumore si trasforma velocemente in rombo e il rombo in frastuono. Attraverso l’Iguazù attratto da quel continuo boato. Sotto di me il fiume scorre calmo e lento. Quasi senza accorgermene arrivo alla fine della passerella dove il fragore è massimo: sembra di cuocere dentro una pentola a pressione! Ai miei piedi la Garganta del Diablo. Una serie di cascate disposte a semicerchio confluiscono in una buca senza fondo dalla quale fuoriesce una nebbia così intensa che definirei disorientante. Dal mio piccolo, ammiro questo sfoggio di prepotenza.

Scendo dal Rapido tra le case dai tetti bassi e le insegne grandi. Varco la soglia dell’ostello facendo un cenno ad Alejandro. Contraccambia sereno. Prendo posto tra Charline e Flo. Parlo solo io dopo la giornata passata in solitario. Cercano di interrompermi senza successo: voglio che le mie parole riempiano i loro occhi e cuciano le loro bocche spalancate. Flo stappa una bottiglia. Mi cheto. Lascio loro spazio di infarcire le mie orecchie. Usciamo per un fernet cola, giusto in tempo per frapporci ai cazzotti tra uruguagi e boliviani. Balliamo, nuotiamo, cantiamo, mangiamo, festeggiamo e crolliamo. Tutti insieme. Ci salutiamo così.

Un bel modo di passare il mio ventiseiesimo compleanno.

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