Lorenzo Pedrazzi
Partiamo da una fotografia.
Che cosa si può capire da una fotografia come questa? Alcuni spunti: un sacco verde, la busta rossa, dei libri, la maniglia dello zaino che si intravede appena…
Il carrello con la scritta “apretar por favor”.
I viaggi transoceanici ti spaccano le gambe. Appena l’aereo si ferma e ti alzi in piedi per uscire, è spontanea la smorfia di dolore. Così come le mani alle ginocchia. Prendi i bagagli, sorridi a chi ti lascia libero il passaggio e saluti le hostess nella loro lingua madre.
“Non sono mai atterrato sotto l’equatore: sono curioso di sentire che odore ha qui l’aria…” è il mio primo pensiero davanti al portellone.
In un batter d’occhio mi trovo già nel salone dell’aeroporto di Ezeiza. Mi guardo attorno, ancora frastornato e cerco un posto tranquillo dove fare colazione. Otto ore per la coincidenza con Cordoba Capital, una pianificazione straordinaria.
Esco un po’ dall’aeroporto curiosando tra le facce della gente e annusando l’aria torrida di un novembre sudamericano. Nicotina. Qui l’aria odora di nicotina.
A dirla tutta sono ancora sull’attenti. Dai racconti delle persone che vivono quaggiù e soprattutto dalle parole di Juan Carlos, mio compagno di volo, sono timoroso nel mettere piede al di fuori dell’oasi in cui mi trovo. “Tienes que ser cuidado acà!” continuava a ripetermi tra un racconto e l’altro. Io lo ascoltavo fissandolo negli occhi.
Dicono che la LAN sia una delle compagnie più sicure al mondo: confermo. Nel senso che sono entrato dentro una nuvola carica di cattivissimi propositi e ho, nell’ordine, virato, girato, salito, sceso, ballato, trattenuto il respiro e infine chiuso gli occhi, finché non ho sentito le ruote del carrello toccare terra e la pioggia battermi in testa. Sano e salvo. Un volo così pericoloso non lo avevo mai fatto in tutta la mia vita, credo sia la vicinanza delle Ande che si faccia sentire.
Cordoba Capital.
Tutto mi sarei aspettato, davvero di tutto, ma non l’accoglienza riservatami dalla famiglia di Manuel. Mi si aprono davanti le classiche porte scorrevoli a vetri e, senza ben capire mi ritrovo attaccato ad una gamba un bimbo, Guillerme, che guardandomi con occhi grandi e vispi, apre la bocca per dirmi: “Benvenido en Argentina, Lorenzo!”. Dietro di lui una coppia di 50enni che regge uno striscione verde, bianco, rosso dalla scritta: “Benvenuto Lorenzo!” una decina di persone che applaude e mi “fa festa”!!
Ma chi sono? Come mi conoscono? Perché fanno tutto questo? Mi sento una celebrità! Tra di loro riconosco Fernando che ancora mi ringrazia per averlo portato al Museo della Ferrari a Maranello e Silvi, la sorella di Manu, che sorridendo, mi saluta con un abbraccio. Rimango di stucco e un po’ per la stanchezza, un po’ perché non capisco tutto quello spagnolo, non riesco a dire nulla, nemmeno a cena. Quel che mi ricordo è che prima di addormentarmi ho sentito qualche grida giù nella strada poi nulla più. Silenzio.
Sognando, mi sono visto su quel boeing attraverso l’Africa, l’oceano e il Brasile. D’un tratto si vedeva un fiume enorme e al di là, una terra lunga, grande, viva, una terra dagli odori intensi e con persone dal corazon grande: l’Argentina!