La nota è dell’Irpet, il concetto indagato è il seguente: la digitalizzazione più spinta delle aree territoriali periferiche è in grado di aumentare l’attrattività dei territori, contenere le fughe e addirittura invertire la tendenza? Dai risultati resi noti dall’Istituto di ricerche per la programmazione economica della Toscana, sembra davvero che se, la digitalizzazione può intervenire in termini di contenimento della tendenza a lasciare i territori periferici da parte dei residenti, non aumenta in nulla la loro attrattività. In altre parole, mentre incide sulla decisione di lasciare un’area da parte di chi già ci si trova, non aumenta affatto l’appeal nei confronti di chi potrebbe sceglierla per stabilircivisi.
La nota è stata pubblicata a febbraio, firmata da Chiara Agnoletti, Claudia Ferretti e Leonardo Piccini, la prima funzionario di Ricerca, i secondi assistenti di Ricerca, e ciò che emerge suggerirebbe che, più della digitalizzazione, per evitare lo spopolamento delle aree cosiddette periferiche, servono servizi adeguati ai cittadini, senz’altro anche sfruttando le potenzialità degli strumenti digitali. In altre parole si sta parlando dell’insufficienza delle politiche infrastrutturali che dovrebbero invece lasciare il passo a politiche integrate, che riescono a coprire meglio le necessità del territorio evitandone lo spopolamento.
Intanto, la nota dell’Irpet definisce l’ambito dei territori periferici. Si tratta di “aree fisicamente distanti dai luoghi di maggiore concentrazione di popolazione e di attività (poli urbani) e che, proprio in conseguenza della loro eccentricità, mostrano una condizione di fragilità che riguarda la sfera geografica, economica, istituzionale e sociale. Il concetto di perifericità, infatti, è una nozione multidimensionale che coinvolge gli aspetti economico-territoriali, socio-culturali”. Lo svantaggio che deriva viene identificato con i concetti di “marginalità socio-economica e infrastrutturale” e di “territorial deprivation”.
Ciò significa che i territori presi in esame, soffrono di una condizione di indebolimento strutturale, innescato dal processo di spopolamento e che si identifica in una prima, evidente, conseguenza, ovvero il declino demografico, inteso come invecchiamento della popolazione, che innesca un ciclo perverso circolare: ” Il declino demografico indebolisce la struttura della popolazione, riflettendosi poi sulle potenzialità di consumo e di produzione di reddito, e a sua volta sul sistema di offerta dei servizi locali; questo finisce quindi per incentivare ulteriormente lo spopolamento”. Si può anche dire che la spirale si autoalimenta, consolidando la marginalità dei territori in esame, aumentando la distanza fra le aree marginali con le aree più popolose e produttive. Un tema che ha acquistato peso anche nell’ambito delle politiche europee. Non si può scordare tuttavia che la marginalità è concetto relativo e non assoluto: intanto, è definibile attraverso il confronto con atri contesti, e in secondo luogo è un processo dinamico, perché influenzato da variabili che risentono dello scorrere del tempo e dagli accadimenti intercorsi: pensiamo solo a come è cambiato, almeno parzialmente, il concetto di prossimità con l’avvento del Covid 19 e la possibilità di svolgere il proprio lavoro online, da casa.
Ed ecco di cosa si sta parlando in concreto, per quanto riguarda il territorio nazionale. Le cosiddette aree interne, ovvero i Comuni non provvisti dei servizi essenziali e che si trovano ad una distanza maggiore di 20 minuti da un polo, occupano circa il 60% del territorio nazionale, mentre la sua popolazione “supera i 13 milioni di unità, cioè un quarto di quella complessiva”.
In sintesi, è il declino demografico il primo passo che innesca il crollo, sia nelle attività economiche che nell’ambiente. Guardando ai dati degli ultimi 70 anni, la ricerca dimostra che nei territori classificati come periferici e ultraperiferici , il calo demografico registrato, si aggiri fra il 18% e al 26%, mentre nei Comuni baricentrici dal punto di vista dei servizi, la popolazione è aumentata del 31%, così come nei Comuni limitrofi, cinture delle grandi città, dove l’incremento è stato ancora più significativo (49%) per effetto dei processi di
suburbanizzazione.
Il deterioramento della base demografica è rappresentato da un rapporto preciso, ovvero implica una sproporzione crescente tra la popolazione in età infantile (0-4 anni) e giovanile e quella di anziani (65 anni e +) e grandi anziani (85 anni e +). Le conseguenze sono importanti sotto vari aspetti, anche dal punto di vista economico, in termini di capacità di produzione di reddito.
Fra le varie ricadute, l’aumento naturale delle diseconomie di scala nell’offerta dei servizi, dal momento che le piccole amministrazioni devono sostenere una spesa pro capite più elevata rispetto alla media a causa dei più alti costi unitari di gestione dei servizi essenziali, il che comporta un’altra conseguenza, ovvero la scarsità nell’offerta di servizi locali. L’effetto è doppiamente negativo: “la diminuzione dell’offerta di servizi rappresenta un fattore che si riflette negativamente sull’attrattività dei territori; simmetricamente la contrazione della domanda di servizi genera diseconomie di scala che implicano riduzione dell’offerta e maggiori costi di gestione ad essa associati”, come si legge nella nota dell’Irpet.
La domanda a questo punto è se la digitalizzazione dei servizi essenziali possa essere vista “come una politica per contrastare almeno in parte questa spirale negativa di spopolamento e marginalità. Riducendo la necessità di prossimità fisica, si può aumentare l’attrattività delle aree remote che offrono costi immobiliari ridotti e contesti di vita per certi aspetti migliori. Ma per poter sfruttare questa possibilità, uno dei presupposti da soddisfare è l’esistenza di un’infrastruttura digitale affidabile ed efficace”.
Ed ecco il punto veramente debole della struttura italiana, che si chiama “digital divide”. Si tratta di un fenomeno ben conosciuto, soprattutto in territori geograficamente diversi come le regioni italiane. Ma i diversi livelli di digitalizzazione delle regioni italiane, hanno influenzato le dinamiche dello spopolamento delle aree periferiche?
Per fornire risposta a questa domanda, è stata utilizzata una stima controfattuale su tre variabili esplicative: il saldo migratorio e il numero di cancellati e iscritti all’anagrafe di ciascun comune italiano negli anni dal 2018 al 2021. “I risultati sono significativi sia in riferimento al saldo migratorio che ai cancellati, mentre non sono significativi per quanto riguarda il numero degli iscritti – si legge nella nota – Nel primo caso, i dati mostrano come la digitalizzazione abbia avuto, in generale, un effetto positivo e significativo sul saldo migratorio negli anni 2019 e 2020. Allo stesso tempo, è dimostrato che tale effetto è differenziato per area geografica. In particolare, nei Comuni del Centro-Nord, la digitalizzazione ha influenzato il saldo migratorio solo nel 2019, quando la massima diffusione della rete ha portato ad un maggiore afflusso di residenti verso le
aree periferiche. Nelle regioni del Sud, però, questo effetto è proseguito anche nel 2020, durante il periodo pandemico, quando le aree periferiche hanno rappresentato luoghi più attrattivi anche perché esposti a un minor rischio di contagio”.
Il numero dei cancellati, invece, è sempre significativo. “Si dimostra come l’effetto sul saldo migratorio sia da attribuire esclusivamente al minor numero di persone cancellate e non al maggior numero di iscritti per i quali la stima non è significativa. In altre parole, la
connettività rappresenta soprattutto un fattore di contenimento, che riduce la tendenza ad
abbandonare i territori periferici. Allo stesso tempo si evidenzia come una maggiore dotazione di infrastrutture immateriali non sia in grado di agire sull’attrattività di questi luoghi e quindi di influenzare le nuove acquisizioni”
Tirando le fila, la nota dell’Irpet sottolinea che, secondo le stime effettuate, il ripopolamento delle aree periferiche non dipenda tanto dalle politiche infrastrutturali, o perlomeno queste non siano decisive per invertire la tendenza, mentre sono necessari interventi di politica integrata, tra cui il punto fondamentale è il miglioramento dei servizi. Magari, anzi, auspicabilmente, sfruttando le infrastrutture digitali.