Non fu Pietro Fontanesi ad uccidere il dottor Carlo Rombaldi. Non fu lui a freddare a colpi di pistola il medico del Santa Maria Nuova sotto casa sua, in via Filzi a Reggio Emilia, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1992.
La Corte d’assise d’appello di Bologna ha mandato assolto, perché il fatto non sussiste, l’ex vigile urbano dall’accusa di omicidio volontario, per la quale ha rischiato l’ergastolo. La corte ha emesso il verdetto intorno confermando la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Reggio Emilia il 10 giugno 2014: inoltre ha annullato la condanna minore a nove mesi per la detenzione in casa di munizioni residuato bellico.
Le premesse per la nuova assoluzione erano state gettate nell’udienza precedente, quando i giudici aveva respinto la richiesta di una nuova perizia sulla Smith & Wesson appartenuta all’epoca a Pietro Fontanesi. La difesa che aveva vinto ampiamente la battaglia dei periti già nel primo grado, era insorta denunciando il fatto che la sezione “cold case” della polizia aveva proceduto a nuovi esperimenti sull’arma, autorizzati dalla Procura di Reggio, nonostante il processo in corso e senza avvertire la difesa dell’imputato.
Fontanesi, presente in aula, è scoppiato a piangere alla lettura della sentenza, come aveva pianto un anno fa alla prima assoluzione “dopo tre anni d’inferno”. In aula era presente solo una parte civile, il fratello di Carlo Rombaldi: gli altri famigliari si erano ritirati già nell’udienza precedente.
Ora, a 72 anni, già imputato con un’accusa da ergastolo ma senza un movente e senza prove a suo carico, Fontanesi può tornare a respirare davvero come un uomo libero, e prevedibilmente chiederà il ristoro previsto dalla legge per l’ingiusta detenzione patita.