Antropologia delle ricorrenze altrui

18192494_680031395520143_5475847951474614180_oUn giorno probabilmente lontano da oggi qualcuno istituirà un corso intitolato “Antropologia delle ricorrenze altrui”, o “Psicologia dei raduni che non si sa perché siamo lì ma ci vanno tutti”, e farà media proprio come tutti gli altri esami inutili che l’universitario italiano medio si deve sparare per prendersi il fatidico pezzo di carta; c’è il caso però che questo, aprendo la sua mente a importanti riflessioni sulla società in cui viviamo, gli possa tornare in qualche modo veramente utile. Per non ritrovarsi ingabbiato, tipo, in un corteo che va in una direzione troppo lontana dal suo bar preferito, o ad un raduno in cui servono ape scadentissimi e parlano di cose del tutto incomprensibili, tipo, lavorare, diritti umani, salute, giustizia, cose così. Mica come l’ultimo album di Fedez che, oh, spacca, lo sai che è venuto su da Youtube e ci ha fatto i miliardi? Allora si andiamo, come direbbe il Paz, al concerto di Gualazzi in piazza che è gratis che paga la ciggielle; ma perché lo fa? E che ne so, l’altra volta costava ventiquattro euri, stavolta è gratis, mecojoni! Conviene no? Il fatto che il box del mix sia costellato di scritte ciggielle non impressiona nessuno; passa acutamente inosservato o quasi (senza il quasi) anche il cartello che dice, votiamo il referendum sui voucher che poi mentre il cartello è fuori il referendum è già bello che annullato.

Cose che succedono in una programmazione, i cartelli erano già pronti, il cachet sicuramente già pagato, i manifesti pure, e le notizie in merito magari ancora un po’ labili: mettiamolo fuori che magari sottolineiamo che a noi non va sta cosa dei voouchers, specie se li abbiamo usati quindi dopo ci laviamo le mani, male non fa. Comunque il concerto inizia e Gualazzi dà fondo a tutto il suo repertorio, jazz blues bossanova rhytm rock swing easy listening gualazzismo e laggente si agita e non resiste al ritmo che è, in effetti, trascinante in più di una occasione: una scaletta che qualcuno nel pubblico definisce a ragione “della Madonna”, e laggente ascolta rapita il giusto e agitantesi il giusto. Poi dal palco si levano le immortali parole, torneranno i cinemi all’aperto, metà del pubblico comincia ad andare praticamente in delirio perché è la canzone del nuovo video; finisce il brano, metà del pubblico se ne va, soddisfatti, sazi di cotanta prestazione sponsorizzata dalle emittenti, benché manchi all’incirca una quaranta minuti di crescendo musicale sempre più tecnico, sempre più ben fatto.

Siete stati un pubblico meraviglioso: ma scommetto che lo dici a tutte, dai. Sono stati giorni pesanti, giorni in cui i tanti festeggiamenti uno dietro l’altro dietro l’altro ci hanno lasciati spossati, colti da weekend lag fastidiosi e indigesti quasi quanto la pastiera del vicino, ti piace la pastiera, me ne hanno mandata da casa! E tra i conati della crema semimuffita tu per non dispiacerlo benché l’agnello le lasagne i broccoli i cappelletti ti escano dalle orecchie gli dai un morsettino compiaciuto, e siccome dici che è buona te ne fa ingozzare un altro pezzo. Non solo Pasqua e Pasquetta però, a riempire le nostre vene di sostanze venefiche: ci mancavano pure in infilata letale il 25 Aprile e il 1° Maggio, con il loro corredo di cortei manifestazioni sproloqui veterodiretti che parlano di un mondo nel quale i nove decimi di chi scrive i post sui social non può più riconoscersi da un pezzo. Però partecipano, partecipano, non sia mai. E’ raro che venga il dubbio che, tutto sommato, perché dei valori si possa parlare questi devono essere condivisi. Il che non significa “condivisi in bacheca”, ma partecipati, sentiti, vissuti, compresi. Proprio come “amici” su Facebook non significa che siete amici davvero, proprio come “like” significa magari “ehi, ci sono” anziché “mi piace un frego”, o come “poke” significa in realtà “me la dai o no?”. E’ tutta questione di intenderci.

Vedere neet che sognano di fare la pilla su Youtube che inneggiano ai valori del Primo Maggio, francamente, lascia un po’ spiazzati. Vedere due tre generazioni di arrembanti che vogliono tutti fare i creativi mentre è evidente che mancano i fornai e si contentano di occupare il posto di lavoro che sarebbe necessario ai loro padri per tre o quattrocento Euro al mese di elemosina (facciamo la gavetta, poi si vedrà, lavori che impari in 2 giorni due) e poi inneggiano al valore del lavoro ti fa pensare che qualcosa da qualche parte sia andato perso. Vedere gente che nel giorno della Liberazione fa a gara per dire che aveva un nonno partigiano e gli altri che non ce l’avevano che dicono che fu una crudele guerra civile che i partigiani erano cattivi pure loro, pure questo spiazza un pochetto. Avrebbe spiazzato pure i partigiani in persona, che a regola hanno capito solo a posteriori che stavano facendo la Resistenza, dopo che questa ha ottenuto il suo status e la sua beatificazione in seguito; all’epoca stavano sopravvivendo, erano troppo impegnati; e all’epoca sul fare, sul senso del fare e sulle date e sugli schieramenti non erano poi neanche tutti particolarmente d’accordo.

Poi, per carità: è importante diffondere la cultura di certi valori, sia chiaro. Sarebbe importante anche verificarne la tenuta e non lasciare che essi vengano veicolati solo da ricorrenze che si fanno via via sempre più lontane nel tempo, sempre più istituzionalizzate, svuotate, roba per cui litigare sui social e poi via, litighiamo su altro. Tipo; non puoi promuovere la festa del Lavoro e assieme dire che il lavoro è un diritto quando i tre quarti degli italiani lavorano in nero e gli strumenti per regolarizzarli sono lacunosi, mancanti, politicizzati, piegati al volere delle aziende che, per prime, soffrono del fatto che la cultura del Lavoro in Italia sia morta (anche e soprattutto per causa loro, quindi, latte versato etc). Tipo: non puoi promuovere la Liberazione e l’Antifascismo quando permetti e addirittura voti compagini che, in nome di una male interpretata libertà di pensiero e di espressione, si fanno latrici di discriminazioni, ingiustizie, particolarismi, tutte cose che pensavamo di esserci lasciati alle spalle con un po’ di benessere e di istruzione in più; e invece, parte la pubblicità della crisi, tutti a gran voce a rimpiangere l’Uomo Forte.

O meglio: puoi, ma non ci fai una gran bella figura. Garantito. Sennò, il rischio, neppure troppo lontano per la verità, è che tutti quanti partecipiamo a queste belle occasioni delle quali non capiamo tanto bene il senso però, ecco, ci sono i chioschi con le magliette, i panini e pure il venditore immancabile di palloncini, con la nostra bottiglietta di acqua minerale in mano, e sulle note certamente di rimpianto e di nostalgico revanscismo tutti quanti ci troviamo ad essere d’accordo sul ritorno dei cinema all’aperto, sui treni in orario e sui riti dell’estate; poi condividiamo su Facebook, inviamo le note abusate al nostro amore uazzappato che non è potuto venire e, non appena si spengono gli echi del brano, tutti a bere qualcosa, mentre una musica molto bella ma che non riconosciamo continua a suonare dal palco.

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