Firenze – Esattamente 60 anni fa, alla metà di ottobre del 1962, scoppiò la cosiddetta crisi dei missili a Cuba: un braccio di ferro tra USA e URSS che portò a un passo dalla terza guerra mondiale.
Da tre mesi le ricognizioni aeree americane avevano segnalato che i sovietici stavano installando a Cuba installazioni missilistiche. A seguito di una nota diplomatica il Cremlino rispose che si trattava di armi difensive richieste da Fidel Castro per impedire che si potesse ripetere un tentativo di invasione come quello avvenuto e respinto l’anno prima alla baia dei Porci. Ma il 15 ottobre una nuova ricognizione mostrò le foto di missili terra-terra a medio raggio, armi chiaramente offensive.
A Washington il Comitato ristretto per la sicurezza nazionale esaminò le possibili contromosse. Sembrava prevalere la proposta di un attacco aereo che distruggesse le installazioni ma Robert Kennedy fece presente che si sarebbe trattato di un atto di guerra con vittime civili, da cui sarebbe scaturita un’escalation fino al conflitto atomico. Allora il ministro della Difesa Mc Namara propose un blocco navale attorno a Cuba per dare a Krusciov il tempo di trattare invece di porlo di fronte a un fatto compiuto.
La soluzione, però, apparve debole perché non fermava i lavori d’installazione dei missili. Schlesinger che fu testimone oculare della riunione riporta che allora Robert Kennedy insorse dichiarando inammissibile che mentre era ancora vivo il ricordo di Pearl Harbour l’America tradisse i suoi ideali e si esponesse alla deplorazione dell’opinione pubblica internazionale (Cfr A. Schlesinger; jr. I mille giorni di Kennedy, tr.it Milano, 1966 – Si veda anche W.Weltroni, Il sogno spezzato, Milano 1993).
Il Presidente optò per il blocco navale e lo annunciò in televisione il 22 ottobre. Ho ancora vivo il ricordo dell’emozione con cui ascoltammo questo discorso riportato dal nostro telegiornale.
La flotta americana si posizionò a 800 miglia dalle coste cubane. Avrebbe ispezionato tutti i convogli in transito e non avrebbe consentito il passaggio a navi che trasportassero materiale bellico.
Castro dichiarò che non poteva essere impedita l’installazione di missili sovietici tanto più che gli Stati Uniti avevano basi missilistiche in Turchia ai confini con l’URSS. Da questa presa di posizione si poteva presumere che le navi russe avrebbero rifiutato di farsi ispezionare e, se fossero state fermate con la forza, sarebbe stata la guerra.
Ben presto le ricognizioni aeree mostrarono che una flotta russa scortata da sommergibili si stava dirigendo verso Cuba. Iniziava così un conto alla rovescia e il mondo intero fu in preda allo smarrimento perché mai fino ad allora si era stati così vicini a un conflitto che avrebbe potuto comportare la distruzione dell’umanità.
Sembrava una situazione senza via senza uscita in quanto Kennedy non avrebbe fatto marcia indietro e poiché le foto aeree rivelarono che le navi trasportavano missili, era chiaro che avrebbero rifiutato di farsi ispezionare e avrebbero tentato di forzare il blocco ma allora la parola sarebbe passata alle armi.
Questa volta le due superpotenze non si fronteggiavano per interposta persona come era accaduto in Corea e in Medio Oriente ma si trovavano faccia a faccia: chi avesse ceduto avrebbe ammesso una sconfitta che avrebbe posto in discussione la propria leadership mondiale.-
Le ore passavano inesorabili mentre l’ambasciatore russo ripeteva le tesi ufficiali che negavano la presenza di armi offensive a Cuba. Anche dall’ambasciata americana a Mosca non arrivavano notizie. Allora, sfidando il malumore dei militari, il Presidente Kennedy fece retrocedere la flotta in modo da rinviare il più possibile il momento in cui le navi sovietiche sarebbero state intercettate
Nei giorni successivi ci furono alcuni contatti informali per far capire che, a differenza di quanto veniva dichiarato ufficialmente, Krusciov intendeva trattare. E si constatò che le navi sovietiche più vicine al blocco stavano rallentando. Era cruciale mantenere i nervi saldi ed evitare ogni possibile incidente. Una situazione descritta bene nel film Thirteen Days diretto da Roger Donaldson
Ma il passare del tempo inaspriva la crisi perché, pur avanzando a velocità ridotta, il convoglio era ormai vicino alle navi americane ed era fuori discussione che queste ultime potessero nuovamente retrocedere. Tutti ritenevano ormai inevitabile lo scontro fra le due flotte quando improvvisamente quella sovietica cambiò rotta. Il mondo intero tirò un sospiro di sollievo.
Tuttavia, una petroliera continuò ad avanzare. Le foto aeree mostravano che non trasportava missili ma i falchi di Wahington parlavano di provocazione e volevano egualmente sottoporre la nave a ispezione pur sapendo che i sovietici si sarebbero opposti e si sarebbe tornati di nuovo in una situazione molto critica.
Il Presidente Kennedy decise invece di far passare la petroliera. La questione sembrava risolta ma in realtà si era ancora lontani dalla conclusione.( Schlesinger; jr, op cit. sp pp 749 ss. Infatti, anche se non c’erano più navi dirette a Cuba, sull’isola c’era già un certo quantitativo di missili nucleari e i lavori per installare le rampe continuavano.
Perciò la situazione sostanzialmente non era cambiata e addirittura a molti, negli Stai Unisti, il dietro front della flotta russa apparve un diversivo per far abbassare la guardia. Insomma la crisi ebbe una nuova accelerazione e in Florida le truppe americane si prepararono ad attaccare
Ma ancora una volta s’innestarono canali diplomatici informali con proposte per una trattativa tendente a far ritirare i missili da Cuba e dalle basi americane in Europa o in Turchia. Kennedy, invece, fece pervenire a Mosca un messaggio nel quale in cambio dello smantellamento delle basi cubane avrebbe assunto un formale impegno a non invadere l’isola. (Una soluzione che sarebbe stata prospettata da un altro canale “informale”: un giornalista che era stato contattato da un funzionario dell’ambasciata russa (Schlesinger; jr, op cit p.751).
Krusciov rispose in modo favorevole alla proposta di JFK affermando che se gli Stati Uniti si fossero impegnati a non invadere Cuba, Castro non sarebbe più stato in pericolo e quindi le basi missilistiche sovietiche non sarebbero state più necessarie.
Ma il giorno dopo arrivò una doccia gelata. L’ambasciatore americano a Mosca trasmise una nuova lettera nella quale Krusciov scriveva che i missili sarebbero stati ritirati da Cuba se gli Usa avessero smantellato quelli installati in Turchia. In realtà quelle americane erano installazioni obsolete. Ma in quella circostanza la richiesta fu giudicata da Kennedy un’imposizione inaccettabile perché appariva un cedimento ai falchi sovietici. Si era di nuovo in stallo.
Allora, nel pomeriggio del 27 ottobre, Robert Kennedy consigliò di ignorare il secondo messaggio e di rispondere invece al primo. L’idea piacque al Presidente anche perché era possibile che il secondo messaggio – redatto con stile più formale – non esprimesse realmente il pensiero di Krusciov.
Perciò, Kennedy scrisse al leader sovietico dichiarandosi pronto a prendere l’impegno che in futuro gli Stati Uniti non avrebbero invaso Cuba se le armi offensive sovietiche fossero state rimosse. La proposta richiedeva una risposta entro 24 ore Era chiaro che si trattava di un ultimatum e che, senza una risposta positiva, si sarebbe fatto ricorso alle armi.
Il 28 ottobre era domenica. Alle nove del mattino la telescrivente batté la risposta di Krusciov che accettava tale soluzione. Fra l’altro fu deciso d’installare il c.d. telefono rosso: una linea tra il Presidente americano e il leader sovietico per risolvere direttamente eventuali nuove crisi.
Si aprì così la stagione della distensione. Che non fu stagione di pace perché sarebbe ben presto scoppiata la tragica guerra del Vietnam ma le due superpotenze non si affrontarono più direttamente. da allora avrebbero agito sostenendo l’uno o l’altro contendente nei conflitti che si verificavano in varie parti del mondo. La contesa continuava ma il rischio della terza guerra mondiale si attenuava.
foto. John Kennedy da cultura.biografieonline.it