Incontro con la danza – Il mio lungo viaggio di Anna Maria Prina, un’autobiografia dettata a Francesco Borelli e curata da Gaia Soleri per Gremese Editore, è un libro piacevole, denso; soprattutto imperdibile sullo scaffale di un amante del balletto e non solo. La “Prina”, bella donna come si evince dalla copertina del libro, quasi sempre appellata con quello sconcertante articolo alla milanese che non le appartiene per nascita (Cuneo) e per Weltanschaaung (capitolo dopo capitolo la protagonista ci apparirà piuttosto una cittadina del mondo), è stata dal 1974, e per trentadue anni direttrice della Scuola di Ballo, oggi dipartimento coreutico dell’Accademia del Teatro alla Scala.
A lei si deve la formazione di un’impressionante quantità di allievi diventati famosi nel mondo: Roberto Bolle e Massimo Murru vi dicono qualcosa? Se sì, aggiungete nomi più recenti, ancora tra le file del Balletto della Scala guidato da Manuel Legris, oppure già passati alla pensione o ad altri ruoli,e memori di un insegnamento duro, meritocratico, intransigente ma efficace. Tutto nacque un bel giorno, nel mezzo della sua carriera di Solista scaligera: Anna Maria si sentì chiamare da Paolo Grassi, allora Sovrintendente della Scala. Dall’oggi al domani avrebbe dovuto occupare il posto lasciato vacante da John Field. Alla prescelta non ci volle molto per imprimere le sue stigmate a un’istituzione nobile quanto vagamente polverosa. La nuova Direttrice subito esigette piena condivisione d’intenti e collaborazione da parte di tutti i docenti, suoi collaboratori di fresca nomina, o preesistenti. Introdusse corsi di passo a due, flamenco, danza storica ma anche moderno-contemporanea, giungendo a un doppio diploma (inedito nell’Europa anni ‘80-‘90), grazie anche ai vari metodi di supporto per dare flessibilità ai corpi come Pilates, ma anche per comprenderne la struttura: ed ecco l’anatomia. La storia del balletto e della danza entrò nel programma e alla musica abitualmente insegnata, si aggiunse una masterclass per pianisti.
Allargando sempre più lo sguardo non poteva mancare un corso per potenziali nuovi didatti della tecnica accademica: per loro l’insegnamento si tenne da subito in un edificio ottocentesco nel cuore di Milano con le casette a ringhiera, prestato in comodato per 99 anni dal Comune e valso un quinquennio di ristrutturazione elegante seguita “in cantiere” giorno dopo giorno dalla nostra intrepida Direttrice. Senza aiuti aveva ottenuto sessanta miliardi di vecchie lire – a metà anni ’90 – da Intesa San Paolo di Torino. L’inaugurazione, nel 1998, consegnò al capoluogo lombardo una Scuola già competitiva a livello internazionale.
Solista dal corpo snello e dalle gambe lunghe, Anna Maria Prina ricorda nel suo testo anche gli anni trascorsi da ballerina, amica di Carla Fracci e di Rudolf Nureyev e in quell’epoca molto presente negli ambienti teatrali grazie all’attività del suo primo marito, Ferruccio Soleri, il grande Arlecchino di Giorgio Strehler, dal quale ebbe i suoi due amatissimi figli e da questi, i nipoti. Lei stessa asserisce che quelle frequentazioni extra-coreutiche contribuirono a risvegliare la sua curiosità per il mondo dell’arte tutto. Sempre partecipi, grandi e piccoli studenti ( spinazitt come si diceva nel dialetto milanese sino a quando lo si è parlato), agli spettacoli scaligeri in cui ne occorreva la presenza, ha lei stessa creato coreografie persino per qualche opera e le ha fatte creare ai suoi docenti per poi spronare gli allievi più frizzanti ad immergersi in quell’arte diversa, appunto la coreografia, e solo sorella della danza. Più di tutto, nel libro, rifulge la chiarezza che spiega la “pedagogia Prina”: una rivisitazione del metodo Vaganova, appreso negli anni della formazione duranti i vari andirivieni dalla Russia, in specie da Mosca, assieme a colleghe note come Luciana Savignano e Liliana Cosi. Cui si aggiungono l’insegnamento di Enrico Cecchetti e l’inevitabile rivoluzione introdotta da George Balanchine per corpi ormai diventati tutti filiformi, dalle gambe sterminate, dalle anche mobili. La didattica della Prina ha avuto a che fare con generazioni fisiche diverse alle quali ha insegnato il valore dell’espressività e della trasformazione in scena, per scoprire, a sua volta, che l’insegnamento non è mai unidirezionale; ha una funzione maieutica, socratica, grazie alla quale anche l’insegnante impara.
Bello che alla fine della sua missione, di quella che nel libro si definisce, “era Prina”, la Direttrice non abbia appeso il bastone della didattica al chiodo. Tiene masterclass, partecipa a premi anche assai importanti e a concorsi, è invitata in tutte le maggiori istituzioni ove è presente il balletto. Ha fatto pure volontariato con i disabili e nelle carceri per scoprire ambienti e corpi nuovi. Ha prestato il suo stesso corpo a uno spettacolo di Michela Lucenti dal titolo Madame, andato in scena al Teatro Due di Parma nel 2014, in cui raccontava tutta sola la sua vita, coronata dal successo, ferita, come tutte le vite da sofferenze e minata da ostacoli, ma proiettata verso un inconoscibile futuro. Tutt’oggi non rinuncia alla danza, sua passione, con quel rabota, rabota, rabota, cioè “lavora, lavora, lavora” rimasto impresso dalla Russia nella sua mente e nel suo corpo sempre composto, impeccabile. Col tempo, diventata consapevole che il suo lato d’ombra e più fragile poteva diventare una vezzosa e simpatica novità, la Direttrice si è addolcita. Senza perdere la sua lucida coerenza, ha guadagnato la freschezza del naturale e morbido sorriso.
Marinella Guatterini