Angeli del Fango, le storie da cui rinacque Firenze

Firenze – “Ci misero al lavoro all’Opera del Duomo. Spalavamo il fango e dovevamo ricostruire una specie di puzzle: il modellino ligneo del Giambologna della cupola di Santa Maria del Fiore”, racconta Paolo. Proprio quello che capita di vedere e rivedere sugli schermi italiani nella fiction dei Medici. Era letteralmente esploso: ci è stato restituito grazie a quei ragazzi che allora avevano sedici anni o poco più. Queste piccole storie degli Angeli del fango fanno venire i brividi. Alla celebrazione del cinquantesimo dell’alluvione, al Consiglio comunale straordinario che rende loro omaggio, sono arrivati in centinaia da mezza Italia. Il Salone dei Cinquecento è gremito: c’è il corpo diplomatico di tanti Paesi del mondo, il presidente dell’associazione dei sindaci degli States e ci sono soprattutto loro, gli Angeli del fango. Per ricordare quanto avvenne 50 anni fa, mentre il pensiero di tutti è rivolto a coloro che in queste ore stanno soffrendo le conseguenze di un’altra grande catastrofe, il terremoto nel centro Italia.

Gli Angeli del ‘66, naturalmente, non sono più giovanissimi. Eppure nei loro ricordi quell’evento non si è mai appannato. Arrivarono a gruppi, singolarmente, a mani nude o con gli stivali e i guanti da lavoro. Davanti a loro una città che si era organizzata alla meglio: “In Sala d’Arme a Palazzo Vecchio, c’era una sorta di centro operativo. Ma tutto era molto alla buona. Ci si organizzava spontaneamente, con il passaparola” ricorda Giovanni, fiorentino. Erano le Case del Popolo, le Parrocchie, la casa del sindaco Piero Bargellini i centri propulsivi. “Gentilissimo Sindaco, siamo tre bambine di Miraberlla Imbaccari (CT) e le mandiamo un nostro piccolo dono. Lo indirizziamo a lei perché sappiamo che la sua casa è sempre aperta”. Fu un grande Sindaco, Piero Bargellini, e diventò il simbolo positivo di una città che si rimboccava le maniche. Nel silenzio. La gente, i fiorentini parlavano sottovoce. Questo lo ricordano tutti. Ogni tanto qualcuno dava indicazioni sul che fare. Qualche “ordine” nel silenzio. Ma sommessamente.

Qualcuno accoglieva questi ragazzi alla stazione, e li mandava a lavorare. C’era da fare ovunque. Si spalava nell’umidità e nella melma “ma non ci stancavamo mai” dice Daniela da Roma. Allora studiava dalle Orsoline, che misero a disposizione una casa a Firenze per ospitare le giovani volontarie.

“Arrivammo con le chitarre, sul pullman, cantando le canzoni dei Beatles: eravamo in 40/50 e facevamo a turni perché la sera non potevamo alloggiare a Firenze” dice Gianluigi, allora studente al Mamiani, oggi medico. Su e giù, su e giù fra Firenze e Roma per giorni.

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E poi c’erano quei libri, tanti libri da salvare: “Avevo 22 anni, studiavo medicina e sono arrivato con una delegazione di studenti organizzata” dice Francesco da Padova. Va a lavorare nei sotterranei della Biblioteca Nazionale: “Ma non le dico la mia reazione quando mi hanno messo a salvare le copie storiche di “Stop”, “Novella Duemila”, “Grand Hotel’!”. Sconcerto e disappunto, certo. Ma era storia anche quella. “Scendo alla stazione di Firenze, avevo 18 anni ed ero scritto a Lettere: voglio che mi mettiate a pulire i libri! Chiesi perentorio. Lei è matto, mi risposero, qui non ci sono più neanche le case!” ricorda sorridendo Arturo da Padova. Del resto quei libri che Arturo cercava, non erano più neanche tali: erano diventati pesantissimi, scivolosi blocchi di fango.

 

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“Ho preso freddo, dormivo su un materasso con solo il lenzuolo: ho preso le piattole e perfino la polmonite. Ma non volevo tornare a casa!” ricorda Giovanni di Rovigo che oggi ha 70 anni. “La gente veniva a portarci da mangiare, dolci, merende. Erano tutti pieni di gratitudine” Anna Maria, allora quindicenne di Rovigno d’Istria dell’ex Jugoslavia di Tito, lo ricorda bene. C’era quel senso di comunità e vicinanza che unisce la gente di fronte a una grande catastrofe, questo lo avvertivano tutti. Ma gli Angeli del fango avevano anche l’entusiasmo, il senso di ricostruire la storia. Qualcosa di molto simile a quanto accadde due anni dopo, quando questa stessa generazione divenne protagonista di un’altra grande parentesi storica. “Qualche tempo dopo tornammo a Firenze, e bussammo alla porta di una signora che ci aveva tanto accudito – ricorda Gianluigi -: ‘O mammamia, ci disse, figlioli miei, con quei capelli e quelle barbe vu’ sembrate dei Gesuccristi!’”. Era cominciato il 1968.

Foto: Luca Grillandini per Stamptoscana.it

 

 

 

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