Che cosa mai hanno in comune Giorgio La Pira e Giulio Andreotti? Nulla, a parte la comune militanza nella Dc. Un cliché che rimane impresso nella mente, eredità dei tempi dei governi Dc e della dinamica interna al partito che ha guidato il Paese ininterrottamente per quarantacinque anni. Il primo è stato l’uomo della visione e della profezia, la cui prassi politica era guidata da una straordinaria spiritualità, che non accettava alcun compromesso quando si trattava di agire a favore degli ultimi. L’altro, invece, era il campione del realismo, della ragion di stato, degli equilibri di potere che devono essere mantenuti ad ogni costo. Machiavellismo contro ispirazione evangelica.
Con grande sorpresa da parte di chi non è stato un testimone del tempo, né appartiene alla cerchia degli studiosi, le cose sono assai più complicate dello schema di chi ama caratterizzare i protagonisti del teatrino della politica. Il Carteggio (1950-1977) Andreotti – La Pira pubblicato da Augusto D’Angelo, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, con la prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, racconta di una relazione di spessore umano e politico. Andreotti ammirava l’altro per la virtù fatta di intuizione e fede profonda, di cui sentiva la necessità, ma che non possedeva con quella forza necessaria per rendere efficace l’azione politica. Restava come folgorato dalla capacità del professore siciliano di affrontare di petto i problemi ,appoggiandosi esclusivamente ai valori del Vangelo. Da parte sua La Pira non aveva alcun dubbio sulla capacità dell’altro, superiore a quella degli altri compagni di partito, di muovere le leve della politica e della diplomazia per giungere al risultato voluto. Visione e pragmatismo. Difficilissimo trovarli nella stessa persona.
Questo dato fondamentale si apprende scorrendo le lettere contenute nel volume numero 32 de “I Libri della Badia” la collana della Fondazione Giorgio La Pira pubblicata dalle Edizioni Polistampa di Firenze. Chi ha letto la testimonianza che il sette volte presidente del Consiglio e innumerevoli volte ministro nei governi della Repubblica ha reso per il processo di beatificazione del professore siciliano non aveva bisogno di leggere le lettere che i due si sono scambiati ininterrottamente fino quasi alla morte del secondo (5 novembre 1977) per capire il senso della sua stima. Anche se, com’era inevitabile, ci furono fra i due incomprensioni e attriti, i rapporti non si guastavano mai, rileva il cardinale Zuppi nell’introduzione, “perché c’era una profonda tessitura d’amicizia, una comune responsabilità che li legava in un ‘noi’ chiamato a trovare le risposte più opportune ai problemi del tempo”.
Due aspetti emergono dalle lettere. Intanto la disponibilità di Andreotti a venire incontro alle richieste di La Pira, per quanto fossero deboli per avere ragione della burocrazia di allora. Si ha l’idea di una sollecitudine che va oltre la comune militanza partitica e religiosa. Andreotti non si sente affatto “intendenza”, un esecutore, rispetto alle esigenze dell’amico, piuttosto avverte la necessità di aiutare l’altro a compiere una missione della quale vuole fare parte.
Dopo aver lasciato la carica di Sindaco di Firenze Giorgio La Pira aveva intensificato l’impegno per la pace e il disarmo, per il dialogo fra i leader dei due blocchi contrapposti, soprattutto dopo che Richard Nixon si era avvicinato alla Cina e si era avviato il processo di riduzione degli armamenti atomici. A cavallo fra gli anni 60 e 70, lo scambio di lettere fra i due si intensifica. Andreotti è a capo del governo, La Pira confida senza riserve nell’abilità del premier di pilotare, condizionare, indirizzare la situazione verso il negoziato. Spinge per un impegno più forte e autonomo dell’Italia per dare slancio al vento di pace anche se non era possibile per l’Italia assumere un ruolo terzo nel confronto Est-Ovest. Andreotti glielo fa capire chiaramente soprattutto in occasione dell’autorizzazione all’attracco di una nave per i rifornimenti ai sottomarini atomici Usa presso l’arcipelago della Maddalena.
Tuttavia è innegabile che diverse raccomandazioni di La Pira sono recepite nei programmi di governo del Presidente del Consiglio, soprattutto per quanto riguarda l’Europa e la Conferenza per la sicurezza e cooperazione europea, “il primo fondamentale problema per il disarmo e la pace del mondo intero”. La frase di la Pira “Bisogna smettere di armare il mondo” è stata scelta come titolo del volume “un imperativo da tenere nel cuore e nella mente in un periodo come quello in cui siamo immersi, di facile corsa al riarmo” commenta il cardinale Zuppi.
Ci sono tanti altri elementi interessanti nel carteggio, legati al rapporto con il Partito comunista che farà parte del governo di solidarietà nazionale guidato dallo stesso Andreotti. Di notevole c’è il coinvolgimento di Andreotti in una delle più sentite ma anche delle più singolari – se si ha un concetto della politica pragmatico e puntato all’obiettivo – iniziative di La Pira. Siamo nei primi anni 50 e La Pira “prese a ragionare – scrive D’Angelo – della costruzione di una ampia rete di preghiera che sostenesse la pace ed individuò nel sostegno dei monasteri di clausura femminili lo strumento spirituale e concreto per difendere il mondo dalla minaccia della guerra e da quella nucleare”.
Così l’allora Sindaco di Firenze si era messo a scrivere circolari a conventi e monasteri femminili spesso allegando un sostegno economico per i più indigenti. Per aiutare il più possibile le protagoniste di questo movimento di preghiera universale, “cellule di luce”, si rivolse ad Andreotti prima nella sua qualità di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo spettacolo e poi in quella di Ministro della Difesa: “Questo è il punto di fondo che mi unisce a te; perché tu capisci una cosa di immenso valore storico: l’orazione dei monasteri di clausura, forza vitale, che Cristo inserisce nel corpo delle nazioni cristiane ed alla radice della autentica civiltà cristiana”. Perché “non creare anche un capitolo per le armi efficacissime “nucleari” delle cittadelle dell’orazione in Italia e nel mondo?”. Andreotti non solo prese sul serio la cosa, ingegnandosi a individuare fonti di finanziamento, ma si fece ambasciatore dell’amico presso le strutture religiose femminili, riportandone notizie di incontri e messaggi avuti nel corso delle sue missioni internazionali.
Da queste lettere, conclude Zuppi “siamo aiutati a comprendere come caratteri diversissimi possano collaborare assieme e, per certi versi, completarsi, pur mantenendo diversità di vedute”.