Firenze – Si discute del futuro di Firenze, del volto che assumerà e anche di chi vi risiederà. Una scommessa, che stamattina è stata rilanciata dall’incontro organizzato dall’ANCE fiorentina presso l’Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze dal titolo ““Dopo la pandemia – Opportunità di mercato e di investimento”, in cui è stato illustrato lo stato dell’arte. Ma non solo. L’incontro è stata anche l’occasione di lanciare una vera e propria visione per il futuro della città, naturalmente al netto di una delle incognite più difficili da risolvere al momento attuale, ovvero l’imprevidibilità dei costi, tutti in rialzo, legati alle materie prime e all’energia, conseguenti in bona parte allo scenario di guerra che sta funestando l’Europa. All’appuntamento hanno partecipato Pierluigi Banchetti, presidente Ance Firenze, Vincenzo Di Nardo, vice presidente Ance Firenze, Dario Nardella, sindaco del Comune di Firenze, Luca Dondi dall’Orologio, Nomisma, Paolo Boleso, Investire SGR, Cristiano Brambilla, Hines, Gianni Facchini, Hot+Host, Maurizio Carvelli, Camplus, Luce Landolfi, Walliance, Martina Martino, Hill International oltre naturalmente Luigi Salvadori, Fondazione CRF.
Per dare l’idea del cambiamento avvenuto nel sistema città, nel 1930, come ricorda il vicepresidente dell’Ance Vincenzo di Nardo, solo il 30% della popolazione italiana viveva nelle aree urbane, percentuale che ad oggi raggiunge il 55% e che nelle proiezioni future (2050) toccherà il 70%. Un tema dunque, quello dell’urbanizzazione che va affrontato, considerando che le città diventeranno sempre più volani di cambiamento. “In due anni di pandemia – dice Di Nardo – è emerso tutto ciò che manca nelle nostre città. Le evidenze erano già presenti prima della Pandemia, ma non si riuscivano a vedere, in questo la pandemia ha stracciato molti veli, a cominciare dalla necessità di un sistema sanitario urbano che si innesca fra le vie, che offre assistenza all’angolazione più fragile. Pensiamo ai dati sull’invecchiamento della popolazine, che sono dati ormai conosciuti da vent’anni ma che sinora sono stati solo sulle tabelle dell’Istat e dei centri studi, e non sono serviti per produrre progetti di una nuova città”. Altro dato reso evidente dalla pandemia, l’emersione di un novo tessuto commerciale, trasformato “dalla logica degli acquisti online, che è diventato ormai un baricentro del commercio”. Il cambiamento già in atto è stato accelerato dalla pandemia, che lo ha reso veloce e inevitabile. Un altro dei dati ormai ineliminabili, continua Di Nardo, è il cambiamento della fisionomia dei luoghi di lavoro, “che risultano, dopo due anni di smart working, sovradimensionati e che vanno a braccetto con un nuvo concetto di residenza. Non si può pensare, dopo la pandemia, a concepire una casa senza uno spazio all’esterno, senza spazi comuni, senza uno spazio per lo smart working”. Una serie di passaggi ormai compiuti che inducono inevitabilemente a pensare alla nuova fisionomia della città e soprattutto al centro storico. La domanda necessaria è su cosa si misura la città, e la risposta obbligata è che si misura “sulla qualità della vita che offre ai cittadini e per le soluzioni ai problemi che dà.
“Le città sono ecosistemi funzionali – continua il vicepresidente di Ance Firenze – in cui ogni spazio va visto in un luogo in cui si sviluppano relazioni economiche, sociali, organizzative, e va pensato per questo: dunque, va ripensato il modello urbano. Il ripensamento del modello urbano non consiste solo nel tutelare e recuperare il patrimonio edilizio, ma anche e soprattutto intervenire su un tessuto sociale, culturale, ambientale, adottando un approccio basato su sostenibilità, inclusione sociale, e innovazione”. Concetti ormai irrinunciabili, ma che devono essere declinati concretamente.
Intanto, il vicepresidente dell’Ance pone una prima pietra: Firenze, città fortemente attrattiva, per rispondere a tutto ciò non può essere pensata solo ricnhiusa nella cerchia dei viali. Oggi Firenze “deve essere pensata come una città da un milione di abitanti, una città più ampia, che è il risultato di un nuovo sistema infrastrutturale, in parte realizzato con le tre linee tramviarie, in parte in corso di progettazione e futura realizzazione, ovvero le nuove 4 linee tramviarie e il declassamento della rete ferroviaria grazie al passante ferroviario e grazie alla stazione dell’Alta Velocità”. Un sistema di trasporto su ferro che allarga la visione della città, che allargano i confini del Comune. “Una Firenze “grande” significa che i comuni della cintura fiorentina devono essere considerati nuovi centri urbani di Firenze, in modo che diventino importanti poli di attrazione e così che la città possa rispondere meglio con la sua attrattività”. Scandicci polo della moda, Bagno a Ripoli polo sportivo e così via. Un nuovo modo di pensare Firenze che per funzionare abbisogna di investimenti, che significano “attività di mercato, occupazione, recupero del patrimonio edilizio esistente, in un’ottica di sostenibilità ambientale economia circolare e risparmio delle risorse”.
Dunque, prima conclusione da Vincenzo di Nardo: benvenuti investitori “che saranno un volano importante della nostra economia per rilanciare la grande Firenze, una Firenze 2050”. Secondo punto: occorre però il coinvolgimento delle imprese locali, dal momento che investimenti determinano occupazione. “Come Ance abbiamo un compito – continua Di Nardo – visto che in Toscana non ci sono imprese di notevoli dimensioni, quello di favorirne le aggregazioni, anche vincendo la tendenza allo storico concetto “piccolo ma bello” che non è più in grado di reggere la gara della competitività”. Nuove modalità dunque, con aggregazioni di imprese toscane in consorzi, rete d’imprese, raggruppamenti temporanei d’imprese, “per essere all’altezza delle committenze e dei loro investimenti”. Non meri subappaltatori di imprese non del territorio, ruolo che “svilisce le imprese toscane economicamente e professionalmente”, ma attraverso l’immaginare un “codice etico, che garantisca un formale riconoscimento alla prossimità, preferendo, nella competitività del prezzo, le imprese locali”.
Peste (covid) e guerra, come si diceva nella Firenze del ‘400, e ora anche il terremoto. L’incertezza del quotidiano si tocca con mano, ma, conclude il vicepresidente di Ance, l’attrattività di Firenze ne consentirà la ripresa. “Si vede già un ritorno in massa degli americani, stanno lentamente tornando gli orientali. Un quotidiano che è fatto, in questi giorni, di aumenti di costi eccezionali delle materie prime, che rende impossibile rispettare i budget, fino a determinare, in alcuni casi, i blocchi dei lavori, dal momento che oltre u certo limite non è possibile andare avanti. Serve dunque cambiare impostazione, garantendo che le imprese siano sollevate dagli extra costi, attraverso un contraddittorio franco, leale, che possa anche passare atraverso un migloramento del progetto; contradditorio da tenersi fra investitore e impresa, o soluzioni diverse, per riconoscere gli extracosti e per mantenere il budget, che è un vincolo indispensabile per gli investitori”.
Un mutamento dunque epocale che conduce a ripensare anche nuovi format abitativi, in cui si passa dalla proprietà all’utilizzo, una cosa del tutto nuova in Italia, in cui l’80% degli italiani vivono (vivevano) in case di proprietà, mentre ad oggi l’utilizzo diventa la formula che accompagna un lavoro sempre più allargato a tutto il mondo. “L’abitare si trasforma in servizio – dice Di Nardo – come dimostra il tema degli anziani e dei servizi necessari”. E a dimostrazione del fatto che non si fa teoria ma si tratta di cose estremamente concrete, come non pensare al Villaggio Montedomini appena illustrato dall’assessora a welfare del comune di Firenze?
Una società multietnica, multiculturale che esprime esigenze diversificate, esprime una domanda flessibile di abitazioni, mentre l’abitare – servizio diventa in concreto social housing, co-housing, silver housing, residenze sanitarie e universitarie. Turismo, lavoro, studio, logistica, nuovi modelli abitativi connessi a nuovi modelli di lavoro. “Anche se l’edificio non cambia nella forma – conclude di Nardo – cambia la funzione di uso. si passa da una dimensione urbanistica hardware ad una dimensione software, cioè a un sistema operativo che permette di fare cose diverse dentro la stessa macchina”.
Nel patrimonio edilizio fiorentino solo il 3% delle case ha meno di dieci anni, oltre 16milioni e mezzo di edifici sono stati costruiti 40 anni fa. Dunque, riuso della città costruita. Ma servono investimenti. Ma le norme attuali sono quelle pensate per l’espansione, “piuttosto che per il riutilizzo in chiave attuale del tessuto urbanistico. La sfida è quella di aggiornare il software della nostra città, la trasformazione non può essere fatta contro qualcuno, occorre un dialogo franco fra pubblico e privato, fra investitori e amministrazioni, per trovare quelle funzioni che possono rigenerare lo spazio urbano. Quelli che oggi chiamiamo avversari, domani dovremo chiamarli partner in questa riqualificazione urbana. Occorre superare l’idea di conflitto, occorre un progetto che coniughi insieme passato e contemporaneità”.