Anagrafe, l’onda montante del disagio sociale mette in moto il tavolo con associazioni e comunità

Le difficoltà e gli step per ottenere la residenza e conservarla
Foto di Luca Grillandini

Firenze – Disagio abitativo, fragilità, nessuna consapevolezza dei propri diritti, il gorgo del mercato delle residenze, povertà pura e semplice. Sono questi, i problemi emergenti che si accompagnano a mille altri che si abbattono su una delle attività più delicate che le amministrazioni comunali siano chiamate a svolgere, ovvero il riconoscimento del diritto di residenza. Attività di natura statale che riguarda un diritto assoluto dell’individuo.
Un compito molto complesso che rischia di non riuscire a raggiungere quelle zone d’ombra in cui transitano per lo più situazioni disperate, che riguardano spesso anche italiani, fiorentini, sebbene la maggioranza abbia per protagonisti persone e famiglie straniere. Una marea montante di casi per lo più complessi, cui la Direzione dell’Anagrafe ha deciso di rispondere con uno strumento, messo in campo da qualche mese in maniera strutturata:
un tavolo che rafforza la collaborazione che già esisteva con le associazioni e i sindacati ai cui sportelli spesso si rivolgono le persone, ignare o senza mezzi culturali o fisici per accedere direttamente agli uffici dell’anagrafe.


Di questa intesa che sta dando ottimi frutti abbiamo parlato con il dirigente dell’Ufficio anagrafe, il dottor Jacopo Giannesi, e con l’esponente dei Cobas, che fa parte del tavolo, Giuseppe Cazzato.
“Ciò che ci ha indotto a dare corpo più strutturato e stabile allo strumento del tavolo con associazioni e sindacati – spiega Giannesi – è l’ondata montante delle situazioni di disagio che vediamo a Firenze. Dati i miei compiti, spesso mi trovo ad andare nei luoghi per controlli sulla veridicità delle dichiarazioni circa l’abitazione, che deve essere resa nota dal richiedente il riconoscimento della residenza (per inciso, l’indirizzo di residenza deve essere quello che svolge la funzione di principale centro di interessi esistenziali della persona; in altre parole il luogo in cui abita davvero, e permane per la maggior parte del tempo, ndr) . Ciò che si trova, sono situazioni impensabili, camere con sovraffollamento in cui vivono anche minori, situazioni con persone al nero che vengono minacciate per non fare dichiarare dove vivono davvero, e altri casi disagio incredibile, in cui magari persone alcolizzate o con dipendenze convivono con famiglie. Si tratta di persone che comunque sono sul territorio e quindi hanno diritto ad avere riconosciuta la residenza a Firenze, non sono fantasmi, dal momento che la residenza serve sia per l’accesso al sistema sanitario nazionale, all’iscrizione al centro per l’impiego, ecc.”.


Al tavolo aderiscono varie associazioni, fra cui Caritas, Coeso, Cobas, Acisjf, Unione Inquilini, Anelli Mancanti, Fuori Binario,, Diaconia Valdese, Progetto Arcobaleno, oltre ai rapporti con le comunità straniere. Si tratta comunque di un tavolo aperto, cui possono (ed è augurabile lo facciano) aderire altre associazioni. Si tratta di associazioni che lavorano con persone in difficoltà, con sportelli cui si rivolge un’utenza spesso incapace di accedere in altro modo al sistema. “Si tratta anche, a volte, di semplice informazione – continua Giannesi – nonostante sul sito ci sia tutto, e abbia messo a disposizione delle associazioni un libretto che spiega il percorso con i documenti e gli step necessari per avviare il riconoscimento di residenza, a volte non è sufficiente”.


Spesso si tratta di informazioni di base: per chiedere la residenza serve ad esempio il passaporto o il permesso di soggiorno. “Il lato facile del problema è quello in cui il richiedente ad esempio è proprietario dell’immobile o affittuario. In quest’ultimo caso, potrebbe anche non avere il contratto registrato, ma basta anche procurarsi il solo
contratto, anche senza registrazione. Ma sempre più spesso i casi negli ultimi tempi sono sempre più complessi”.
Anche perché, come già sottolineato, il diritto alla residenza è tutelato dalla legge come diritto di natura assoluta, e ciò significa che non dipende affatto dalla regolarità del titolo dell’alloggio in cui si dichiara di risiedere, o da altri elementi esterni, ma sostanzialmente dalla dichiarazione del richiedente e dall’esito dei controlli che l’ufficio successivamente è tenuto a operare. Neppure un’eventuale occupazione abusiva osta al riconoscimento del diritto alla residenza, nel senso che se è vero che la residenza non si può acquisire nell’alloggio occupato abusivamente, può, anzi deve, essere assegnata, come da sentenza della corte d’Appello, se la permanenza sul territorio è effettiva, alla casa comunale laddove sia stata
istituita, ovvero per Firenze presso via del Leone. Del resto, non si tratta solo della possibilità per esempio di accedere al servizio sanitario nazionale, ma anche di un principio d’ordine pubblico: lo Stato deve/vuole sapere dove si trovano le persone per un ragionevole periodo della loro giornata, per ragioni per esempio che riguardano eventuali comunicazioni.


Come spiega il dirigente Giannesi, una qualche confusione la generò la famosa, fra gli addetti ai lavori, legge Lupi, che sembrava sbarrare la strada, grazie a una formulazione un po’ confusa, a chi occupava abusivamente e voleva ottenere il riconoscimento della residenza. Fino a poco fa i Comuni erano stati chiamati a interpretare autonomamente la norma in assenza di specifici chiarimenti da parte del ministero, come spiega il dirigente. Sono poi intervenute la sentenza della Corte d’Appello di Firenze e circolari esplicative che hanno reso chiara l’interpretazione della norma .


“Una situazione finalmente superata – dice Giannesi – il ministero, dopo anni, ha finalmente chiarito che il riconoscimento della residenza non dipende dall’assenso ad esempio del proprietario di casa, che asserisce che sei suo ospite. Anche se è un’idea che fatica a morire, dopo tanti anni, specialmente presso i proprietari di case. La dichiarazione spetta al richiedente, che per esempio afferma di trovarsi nella casa in cui vive perché ospite, o
inquilino, anche se in quest’ultimo caso scatta il problema del canone pagato al nero e che quindi non emergerà mai, se non su denuncia. Denuncia che spesso nessuno si sente di fare, in buona parte per paura di minacce e ritorsioni”.
Non solo. Se ci si ritrova in situazioni in cui non si osa dichiarare dove si vive ai fini della residenza (magari pagando “canoni” o pizzi molto salati) , spiega il direttore dell’anagrafe, spesso si cercano soluzioni alternative.

“Ci si rivolge magari a qualcuno del proprio Paese, dal piccolo delinquente a veri e propri gruppi che fanno business su questo, che fissano un prezzo solitamente alto ma raggiungibile anche se a costo di sforzi, per ricevere una residenza da qualche parte, dove ovviamente non stanno. Così facendo ottengono una residenza falsa, indispensabile per la richiesta del permesso di soggiorno, per l’accesso ai servizi ma anche per il lavoro”-


Un meccanismo che tuttavia ha svariate controindicazioni, come spiega il direttore Giannesi: “In primo luogo, si commette un reato perché è contro la legge, in secondo luogo perché si spendono soldi inutilmente, in quanto i vigili vengono a controllare e non trovandoti ti cancellano”. E si torna da capo.


“Il nostro obiettivo è quello di fare uscire le persone da questo girone senza fine – continua Giannesi – cercando di dare luogo al diritto di non essere invisibili. Spesso le persone in difficoltà ci sono segnalate dalle associazioni che si occupano di queste questioni”.

“Le segnalazioni vengono fatte qualora ci troviamo di fronte a persone che non sono in grado, per vari motivi, di muoversi da sole – spiega Giuseppe Cazzato, dei Cobas comunali, che lavora da anni agli sportelli – a quel punto, telefoniamo segnalando i casi e il dirigente compie il controllo, iscrivendo d’ufficio la persona o la famiglia, secondo le ipotesi previste dalla legge”. I casi possono essere i più svariati, come, ad esempio, una signora straniera con il compagno fortemente contrario a chiedere la residenza, o persone fino ad allora invisibili che non ritengono di potere fare questi procedimenti senza rischiare sfratti o peggio, e via di questo passo.

“La prassi – dice ancora Giannesi – in questi casi è che, dopo le segnalazioni delle associazioni, che comunque hanno anche un certo valore di garanzia su quanto dichiarato dalla persona, e che davvero si trova in una situazione di estremo disagio, mi reco spesso in prima persona dal segnalato, che firma un modulo apposito in cui c’è scritto che lui è a conoscenza del fatto che il Comune lo iscrive d’ufficio nelle liste dei residenti ed è d’accordo. Naturalmente non deve avere, per essere iscritto nell’alloggio in cui si trova, problemi di abusivismo”.


Il compito del controllore? “Quello di trovarli nel luogo in cui chi fa la segnalazione (le associazioni solitamente) dice che si trovano. Non spetta al controllore comunale di informarsi su altre situazioni”, come ad esempio morosità o sfratti in corso. Tutte fattispecie che comunque hanno altre vie diverse per emergere. Non quella del riconoscimento della residenza.


Un sistema, tirando le fila. che contribuisce a togliere dalla condizione di invisibili tante persone, facilitandone anche il reperimento. Le associazioni sono gli occhi di questo sistema, in quanto spesso si trovano di fronte persone che accedono agli sportelli per altri
problemi, come spiega Cazzato, “di lavoro, di salute, di disbrigo di pratiche, che spesso si risolvono proprio nell’intoppo della mancanza di residenza”. Gli sportelli svolgono anche un altro importante compito, quello di reperire i documenti necessari, in modo da rendere più veloce possibile e fruttifero il percorso. La richiesta che deve essere fatta dall’utente, in certi casi viene inoltrata dalle associazioni, che forniscono anche altre informazioni,
trattandosi spesso di persone che da mesi (o anni) utilizzano lo sportello. La cosa importante è trovare le persone all’indirizzo dichiarato, con il minimo indispensabile di documenti, come passaporto o permesso di soggiorno, stato civile ecc.


Per i cittadini comunitari il percorso è paradossalmente più in salita. Per ottenere il riconoscimento della residenza, bisogna essere in regola con il servizio sanitario dello Stato italiano, ovvero, se lavori, essere in regola con i contributi. “Se non si lavora, la questione diventa complicata perché è necessario pagare un’assicurazione sanitaria
molto costosa per le condizioni economiche in cui spesso versano”, dice il direttore, in aggiunta al fatto che, come ricorda Cazzato, il procedimento da eseguire è molto complicato, ancora di più se si pensa che spesso si tratta di persone non padrone della lingua e che hanno difficoltà ad utilizzare gli strumenti informatici.


Ci sono poi altri problemi per i comunitari. “Supponiamo che il capofamiglia lavori e quindi gli viene riconosciuto il diritto alla residenza. I parenti diretti non devono pagare l’assicurazione sanitaria perché hanno a loro volta diritto all’iscrizione. Ma devono avere documenti, validi anche in Italia, che attestino le relazioni familiari, il matrimonio, i figli, ecc. “. Insomma, il percorso per i comunitari è particolarmente difficile, come asseriscono sia Giannesi che
Cazzato, soprattutto per chi non lavora e ha sulla testa la spada di Damocle dell’assicurazione sanitaria, che costa all’incirca 380 euro cadauno membro della famiglia. Si fa presto a raggiungere cifre ragguardevoli, impossibili da raggiungere.
“Vorremmo sottolineare il fatto che una buona fetta di popolazione in particolare rumena, giace in questo limbo. Non avendo una lira, non possono permettersi la residenza”. Questi signori non rientrano in nessun tipo di contributo o aiuto pubblico, tranne che l’assistente sociale che li segue non assegni un contributo una tantum di emergenza. Un caso emblematico, un americano giunto a Firenze come studente nel dopoguerra, mai
regolarizzato con la cittadinanza, senza un soldo e con la necessità di pagare la famosa assicurazione sanitaria, tanto più che, ormai anziano e malandato, doveva essere messo in Rsa. Impossibile senza la tessera sanitaria.


Il tavolo dunque non solo funziona, ma serve anche per alleggerire la casa comunale di riferimento per le residenze fittizie, ovvero la sede di via del Leone. “Quanto a questo, vorremmo sfatare il mito che tutti possano arrivare all’iscrizione di via del Leone. In realtà si tratta dell’ultima chance, in quanto è funzionale per i senza fissa dimora. Quelli veri. Chi ha un letto in un posto qualsiasi, e si reca sempre lì, non è senza fissa dimora”. Caso anche
di fiorentini, anche giovani, che magari per rovesci di famiglia si ritrovano senza nessun tipo di dimora. Inoltre, come spiega Cazzato, per ottenere alcuni benefici dai servizi sociali ci vogliono almeno due anni di residenza.


Un aiuto che danno le associazioni è anche la cura della residenza ottenuta, ovvero mantenere aggiornata la situazione con eventuali cambi di abitazione o ritorni a casa in altri Paesi. Una questione molto importante, perché mantenere la residenza a Firenze pur abitando in altre parti del mondo conviene, dal momento che nei casi dei più disagiati per esempio si continuano a percepire gli assegni per i minori, ma nei casi più insospettabili, “gente con miliardi come i calciatori”, si evita di pagare l’Imu. “Ma il controllo giunge e non solo comporta il cancellamento dall’anagrafe dalla lista dei residenti, ma anche la segnalazione all’Ufficio tributi, che pensa a incrociare i dati”.
“I controlli a Firenze si fanno e si fanno su tutti, ricchi o poveri che siano – conclude Giannesi – devo aggiungere che i ricorsi sono svariati, ma quasi tutti di italiani”.

Foto di Luca Grillandini

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