Ci sia consentito dire, con la solita scomoda franchezza, che l’inevitabile scelta del Napolitano-bis chiosa in modo drammatico quanto impeccabile le tristi e profetiche impressioni che da alcuni mesi a questa parte andiamo menando sulle pagine di questo web-magazine. Accanirsi peraltro con successo sul Presidente precedente per farlo restare “irritualmente” ancora in sella prorogandone il mandato, segna la fine della nostro sistema di rappresentanza democratica almeno per come l’abbiamo concepita e vissuta fino a ieri. Cioè attraverso questi partiti. Ma non per colpa (o merito, dipende dai punti di vista) dell’irresistibile ascesa della rete nella scena politica come va cianciando qualche malato di ipad. Le Quirinarie grilline da questo punto di vista sono state ancor meno significative degli inciuci sottobanco in Transatlantico. Ma per il semplice fatto che i gruppi parlamentari non sembrano più in grado di mediare e sintetizzare alcunché.
Il Napolitano-bis risponde sì a certi immediati bisogni di un Paese in cui le imprese muoiono quotidianamente a grappoli e le persone cominciano a rovistare nei bidoni dell’immondizia per mangiare ma rappresenta, questa volta davvero, la fine di un’era e per certi versi della Repubblica, terza o quarta che sia. Risulta in questo senso azzardato appioppare l’appellativo sprezzante di “traditori” ai parlamentari che non sono stati ai diktat di segreterie partitiche agenti in nome o per conto non si sa di chi, piuttosto che alle stesse dirigenze degli stessi gruppi di potere. La sensazione di “tradimento” a tutti i livelli è infatti assai diffusa e la si sente ciascuno nei confronti del mandato dell’altro. Non è detto però che tutto il male venga per nuocere, anzi.
I fatti di questi ultimi giorni, settimane, mesi, a partire dalla scomparsa dalla scena pubblica di figure ritenute immarcescibili fino alle involontarie forme di presidenzialismo diretto inscenate durante le votazioni per il Colle, fanno apparire chiaro, limpido, recoaro a tutti, anche ai maggiorenti ancora in campo che bisognerà da una parte tornare all’antico sui valori, dall’altra servirsi costruttivamente e non meschinamente delle nuove tecnologie mediatiche. Non basteranno certo Grillo e la rete a fare una vera rivoluzione culturale per il bene comune perché dovrà cambiare il modo con cui le persone pensano a se stesse in funzione del potere, o meglio del servizio pubblico. E la coscienza, almeno che si sappia, non ha bisogno di troppo digitale.
Nell’ultimo scenario partitico e politico non si salva quasi nessuno, di nessun colore. Sono finiti nel tritacarne di queste prove tecniche di rinnovata democrazia alcuni che se lo meritavano e altri un po’ meno: classificateli a vostro piacimento. Scomparsi Fini e Casini, prepensionato Monti, dimessisi Bersani e Bindi, moltri altri si sentono miracolati (ancora per poco). Perché quello che davvero è morta in queste ore è la residua speranza di poter fare i cavoli propri coi voti degli altri. La segreteria di Bersani per esempio è piena di giovani ma che hanno agito con le vecchie logiche spartitorie e poltronare senza avere però l’esperienza dei compagni più anziani. E’ evidente che negli ultimi decenni la selezione delle lobby è stata al ribasso e al paraculo. Anagrafe e computer in questa rivoluzione antropologica dovranno contare ma fino a un certo punto: i nuovi gruppi rappresentativi dovranno tornare a selezionare la futura classe dirigente per merito, capacità, preparazione e incorruttibilità. Punto e basta. Solo così la politica tornerà etica e come tale in grado di risolvere, o quanto meno attutire al massimo, i problemi della polis. E più ci saranno capacità critiche interne, più il cambiamento ed il progresso saranno salutari. Non il contrario. L’abbiamo finalmente capito?