Firenze – Ambulanti sul piede di guerra, rabbia, incitamenti all’unità del fronte lavorativo, una lunga giornata che è cominciata a Pistoia stamattina e che finisce davanti alla sede della Regione Toscana in via Cavour a Firenze, mentre si sta tenendo un consiglio regionale straordinario con qualche difficoltà per la giunta, cihiamata a rispondere della politica vaccinale, in particolare, com’è ovvio, nella persona dell’assessore alla sanità Simone Bezzini, difeso del resto a spada tratta dalla maggioranza e “assolto” dallo stesso presidente, Eugenio Giani.
Se gli ambulanti, che sfilano con oltre 1330 furgoni, danno vita a un animato comizio di svariate centinaia di persone sotto le finestre del consiglio, sul palco costruito in quattro e quattr’otto salgono due testimonial d’eccezione, che fanno vibrare d’entusiasmo buona parte delle persone riunite: Vittorio Sgarbi e Gianluigi Paragone.
E le parole che animano la piazza pongono, da parte di Sgarbi, l’accento sulla limitazione delle libertà personali che si riversano sulla impossibilità di fatto di lavorare, come confermano rumorosamente i convenuti; mentre da parte di Paragone, giungono parole di critica serrata alla politica governativa e di solidarietà, comprensione e incoraggiamento per gli ambulanti: i sacrifici, dice, voi li avete sempre fatti, non si possono richiederne altri.
L’iniziativa odierna, dal titolo ‘Mai più mercati chiusi, #ilmiolavorounicoristoro’, aveva l’obiettivo di dire basta alle mancate riaperture, ma anche di chiedere interventi di sostegno concreto al settore e l’attivazione di un tavolo di crisi per il commercio ambulante. Una delegazione del direttivo di Assidea che ha organizzato la manifestazione, pacifica e a cui hanno aderito ambulanti da tutte le parti della regione, è stata ricevuta dal Prefetto di Firenze Alessandra Guidi.
“Un’ adesione altissima da tutta la Toscana come mai si era vista per il nostro settore – spiega il presidente Assidea Alessio Pestelli – e che dimostra come quello delle mancate riaperture e della mancate misure strutturali di sostegno, sia un problema reale, urgente e non più rinviabile. Adesso è il tempo di dire basta alle chiusure che, di fatto, penalizzano quasi esclusivamente gli ambulanti e i mercati ed è arrivato il momento di prendere le decisioni: si riaprano i mercati, si annulli il versamento del suolo pubblico fino a fine anno e si apra un tavolo di crisi per il settore. E ora che la politica torni a fare scelte nell’unico interesse delle sue imprese e dei suoi cittadini. I mercati all’aperto – conclude Pestelli – sono luoghi sicuri. Ci scusiamo ancora una volta con la città per i disagi creati, ma l’unica responsabilità è di una politica sorda incapace di ascoltare i bisogni reali del Paese”.
Bisogni reali, storie reali. E le storie sono tante, disparate, di gente che non sa non solo come gestire il presente, ma non vede neppure il futuro. Due amiche, bionde, belle ed arrabbiate. “Siamo in cinque in famiglia – dice una – e lavoriamo tutti come ambulanti. Mi spiega come si fa a mettere insieme la spesa, le bollette, un mutuo, la scuola, e via discorrendo, se non lavoriamo?”. I contributi, pochi, in ritardo, non coprono le spese. Anche perchè, dicono due uomini, ambulanti fiorentini, “il problema è che per la stragrande maggioranza si tratta di conduzioni famigliari, tutti si lavora insieme, si tira insieme, e se non c’è lavoro, nessuno lavora”. Tutto rimane in famiglia insomma. Il guadagno e le perdite. Ciò che fa arrabbiare, poi, è la contraddizione, come spiegano due bancarellai di Livorno: possibile che al supermercato si possa andare ” e noi, che siamo all’aperto e ci atteniamo anche più agevolmente alle norme sul distanziamento, siamo chiusi?”. Respingono tutti le ipotesi di strumentalizzaizone politica: “Noi chiamimo tutti, poi chi viene viene”, riferendosi ai politici. Atmosfera diversa, a Firenze, rispetto a Roma, concorda la maggior parte degli interpellati. Ogni tanto la gente si scalda, chiama a gran voce Giani, sul palco si presentanto esponenti di Lega e FdI, il capogruppo Francesco Torselli per quest’ultimo partito, che conclude dicendo:”Noi ci siamo e ci saremo sempre per voi”. Applausi scroscianti.
Mentre ogni tanto riparte il coro che invoca Giani, altre storie si alternano al microfono e per strada. Anche perché emerge, seppur minoritaria, una di quelle vicende che urtano le sensibilità persino di qualche ambulante. Ed è la storia di una coppia di mezz’età con figlio minore, ridotta a dormire sul proprio furgone. Lo stop and go cui è sottoposto il lavoro a causa delle restrizioni Covid non è riuscito a trasformarli in morosi, a quanto raccontano, ma la locazione finita è stata, come per legge, eseguita. Uno dei pochi casi in cui il blocco degli sfratti non è in vigore. “In piena zona rossa, fuori in strada” dice l’uomo, che con la famiglia risiede in un comune della provincia fiorentina. Percorso solito, assistente sociale, graduatoria bassa in casa popolare visto che sfratto e emergenza sanitaria non contano, proposta di andarsene inanto in struttura in coabitazione, poi un appartamento da 450 euro in condizioni spaventose. Irricevibili. Insomma, ora tutti a dormire sul furgone. Con la pandemia e la minaccia di levargli il figlio minore. Casa lavoro salute, come al solito, si intrecciano.
Ma anche chi sta meglio non ride. E’ il caso di una donna fiorentina, giovane, che ha un negozio di abbigliamento. “Per star dietro a restrizioni e normative – dice – ho messo tutto in regola, come prescritto, sanificazione, distanziamento e mascherine. Tuttavia, dopo un anno e non si sa quanto di chiusure, ho dovuto ricorrere a mia madre, a prestiti, addirittura ho pensato di mettere in vendita il negozio”. Prosegue: “Sono fra le fortunate che ha una rete famigliare cui appoggiarsi, mio marito fa un altro tipo di lavoro, la famiglia mi aiuta. Penso però a tutti quelli che si sono alzati per anni e anni alle 4,30 di mattina, hanno lavorato sodo per la loro famiglia e per il suo futuro, e ora sono rimasti a terra, senza prospettive. Anche per quanto mi riguarda, tante volte penso di tirare giù il bandone e di entrare in quel numero sempre più abbondante di coloro che non riapriranno più. Ma non voglio arrendermi. Non ancora”.