Ambiente e giustizia: primi passi verso una Costituzione della Terra

Una nuova via che passa dal concetto di responsabilità intergenerazionale

L’evento catastrofico che ha colpito i territori e le popolazioni della Romagna, ha ripresentato, per l’ennesima volta, il tema della rilevanza giuridica dei diritti fondamentali della persona con riferimento ai cambiamenti climatici. I gruppi organizzati dei Fridays For Future mettono al primo posto delle richieste di lotta, l’esigenza di sviluppare al più presto una giustizia “climatica”: sovvertire cioè l’idea che i danni climatici causati dalle nazioni ricche siano irrilevanti e dimostrare che sono le popolazioni meno ricche a subire gli impatti più devastanti. Viviamo tutti nello stesso mondo, potrebbe affermare Immanuel Kant che con il suo diritto cosmopolitico mise le fondamenta dell’”universale ospitalità”, una società civile che faccia valere universalmente il diritto (I. Kant, Idea per una storia universale in un intento cosmopolitico, 1784).

Se l’analisi finora ha dimostrato che l’inserimento in Costituzione di un riferimento a un’ecologia della prassi che guardi anche alle generazioni future, non è di per sé sufficiente a ottenere un livello elevato di azione di contrasto alla crisi climatica, l’esperienza rileva che per adottare politiche più ambiziose è necessario offrire ai cittadini strumenti di tutela più efficaci e di varia natura. Il diritto, anche in questo campo, deve percorrere una strada piena di lacune legislative, affinché ai cittadini sia possibile in futuro intraprendere precise azioni di autotutela in difesa dei diritti costituzionali.

Senza diritto positivo, infatti, la strada resta lastricata solo di buone intenzioni, e se da una parte gli ecoattivisti di Ultima Generazione hanno indicato la luna del disastro climatico, dall’altra la politica è concentrata sul dito sporco dai monumentali imbrattamenti. Il riferimento è all’attualità, alle tante comunità energetiche che stanno nascendo in Italia e al grande dibattito sulla transizione energetica rinnovabile. Un dibattito che, nonostante i disastri ambientali che si susseguono anche nel nostro territorio nazionale, non riesce ad approdare a una sponda di mobilitazione politica adeguata.

La nostra Costituzione cosa dice a riguardo? Andiamo per ordine.

Nel mese di febbraio 2022, la Camera dei deputati ha definitivamente approvato, con la maggioranza dei due terzi e nell’indifferenza dei più, la proposta di legge costituzionale che modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione, introducendo nella nostra Carta fondamentale la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi come principi fondamentali.

Leggiamo, allora, il nuovo testo dell’articolo 9 così come novellato dal legislatore costituzionale (ho segnalato in corsivo i due paragrafi aggiuntivi):

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Sempre a favore dell’ambiente è la modifica apportata all’articolo 41, dedicato all’iniziativa economica, con l’introduzione del principio della sostenibilità. L’articolo 41 da oggi recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

Orbene, a questo punto si potrebbe affermare che dall’angolo della visuale costituzionale tutto è posto, ma sarebbe un errore. L’osservatore più attento avrà sicuramento notato che nella novella dei due articoli è assente l’attore principale: il clima.

Nell’ambito dei meccanismi internazionali di soft law, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), pur non contenendo una definizione di “clima”, definisce il concetto di “sistema climatico”, inteso come “l’insieme dell’atmosfera, idrosfera, biosfera, geosfera e delle relative interazioni”. Sarebbe lungo qui spiegare la rilevanza giuridica dei concetti di “clima” rispetto a “ambiente”, e soprattutto compararla tra le diverse legislazioni nazionali. Ci limiteremo, dunque, a offrire un perimetro preciso di interpretazione del principio di cambiamento climatico, definito dall’UNFCC come “qualsiasi cambiamento di clima attribuito direttamente o indirettamente ad attività umane, il quale altera la composizione dell’atmosfera mondiale e si aggiunge alla variabilità naturale del clima osservata in periodi di tempo comparabili”.

Recentemente, si è svolto a Berlino (4 e 5 maggio 2023), su iniziativa della Corte costituzionale federale tedesca, un convegno dal titolo “Il ruolo delle corti europee davanti alla sfida del cambiamento climatico”. La scelta del luogo non è stata casuale. Nel marzo 2021, la stessa Corte tedesca adottò una storica decisione sui cambiamenti climatici, soffermandosi sugli obiettivi nazionali di protezione del clima e i volumi di emissione di gas serra ammessi fino al 2030, ritenne tali disposizioni incompatibili con i diritti fondamentali dei ricorrenti e obbligò il legislatore a riformare la legge definendo obiettivi più rigidi e dettagliati di riduzione dei gas serra.

Tornando nel nostro Paese, la presidente della Corte Costituzionale, Silvana Sciarra, ha tenuto a precisare che le modifiche degli articoli 9 e 41 della Costituzione sopra citati, puntualizzano ulteriormente i doveri dello Stato nell’adottare misure a tutela delle generazioni future e nell’osservare gli obblighi internazionali assunti in varie sedi.

Non si può non notare la prudenza delle parole della presidente Sciarra, messe a confronto con gli ambiti di competenza del legislatore nazionale. Una prudenza obbligata, che mostra l’attenzione della nostra Corte nazionale allo sviluppo di un principio di legittimità a livello internazionale capace di avere cogenza nelle legislazioni nazionali. Un’osservazione giusta: l’azione degli Stati deve avere un’armonia complessiva sulla scorta di principi stabiliti a livello internazionale. Lentamente si pone attenzione al cambiamento climatico nella forma di una nuova osservanza giuridica capace di non essere manipolata da alcuno, tantomeno da qualche governo nazionale in vena di ledere i diritti fondamentali delle generazioni future in nome del classico principio di sviluppo infinito.

Nelle parole della presidente Sciarra il richiamo alla misura cortese delle decisioni delle Corti costituzionali poiché guardiane della legittimità internazionale è abbastanza definito. La pratica costituzionale si realizzerà nella forma consueta della nostra Corte: il metodo interpretativo della lettera costituzionale.

Cerchiamo, a questo punto, di procedere ancora in un ambito nuovo: la materialità di una cogenza internazionale, anche a livello penale, capace di informare i registri nazionali di rilevanza costituzionale. Lasciamo, quindi, il campo del diritto positivo ed entriamo in quello della teoria del diritto.

Grandissima parte della comunità di esperti di scienza e conoscenza sostiene che l’alluvione in Romagna sia un evento in linea con un’emergenza che urgenza non è più. È in linea, infatti, con la nostra nuova normalità, con la quale si dovrà fare i conti volenti o meno.

Non entro nel merito dei perché e delle regole di adeguamento al presente, la messa in sicurezza di una civiltà.  Dal pensiero giusnaturalista ai giorni nostri, molti giuristi hanno tentato di dare un valore, a livello internazionale, alla nozione di crimine non consistente in atti individuali imputabili alla responsabilità personale di soggetti determinati. Un disastro climatico, per esempio, rientra in questa classe di crimini. Si sente chiedere: chi è il responsabile dell’alluvione? L’uomo? La natura? Il fato? Il campo penale dell’immaterialità: una contraddizione in termini. Kant afferma: “Il genere umano ha sempre progredito verso il meglio e continuerà ancora a progredire” (I. Kant, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, 1798).

Certo, in qualsiasi situazione si possono configurare piccole ipotesi di reato, ma il succo non cambia: non sono certo le caditoie da pulire, o le dighe da costruire, o gli alberi da salvare a configurare l’ipotesi penale riguardo al colpevole di un disastro climatico. Questi, sono elementi che servono, invece, a configurare l’ipotesi culturale della ricerca del capro espiatorio, che può essere un individuo, o un’idea collettiva. E la cementificazione selvaggia è sì selvaggia, ma (ahimè) nel pieno rispetto delle leggi urbanistiche vigenti.

Luigi Ferrajoli è forse l’ultimo di una lista di giuristi che ha cercato di fare qualche passo in avanti, individuando nei “crimini di sistema” una nuova classe di crimini che, pur non essendo illeciti penali in quanto difettano di tutti gli elementi costitutivi del reato, sono tuttavia riconducibili all’illecito giuridico.

Gli elementi costitutivi dei crimini di sistema sono due: il carattere indeterminato e indeterminabile sia dell’azione sia dell’evento, di solito catastrofico, e il carattere pluri-soggettivo sia dei loro autori sia delle loro vittime, consistenti di solito in popoli interi o, peggio, nell’intera umanità. Le parole sono dello stesso Ferrajoli, tratte dal suo libro Per una Costituzione della Terra (2022). Non sono crimini dei potenti e neppure di Stato o contro l’umanità: sono violazioni di una Costituzione che ancora non c’è, la Costituzione della Terra, ma che, alla fine, arriverà. Speriamo prima possibile.

In conclusione, possiamo affermare che il livello di consapevolezza climatica sta aumentando. Il diritto si sta muovendo a tutti i livelli, teorici e ispirati al positivismo giuridico. Seppur lentamente, infatti, pare che il diritto cominci a tracciare una nuova via che passa dal concetto di responsabilità intergenerazionale (dovere di protezione) per approdare a forme di nuove tutele che potrebbero aiutare la relazione tra responsabilità dei cittadini e quella dello Stato.

Infine, il mancato inserimento di un riferimento al clima, o al cambiamento climatico, all’interno dell’articolo 9 della Costituzione, non pregiudica di per sé che tale disposizione possa essere interpretata nel senso di fondare un’obbligazione climatica in capo allo Stato. Sarà decisiva, in questo senso, la capacità della Corte Costituzionale nell’interpretare la sacralità della legge suprema nelle forme di maggiore coesione giuridica internazionale. In attesa, ovviamente, di una Costituzione della Terra.

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