Pistoia – “Le parole sono importanti, bisogna trovare le parole giuste”, ricordava Nanni Moretti in Palombella Rossa. “Le parole sono importantissime, soprattutto per comunicare con un malato di Alzheimer”, incalza Pietro Vigorelli, co-fondatore del Gruppo Anchise (www.gruppoanchise.it).
Proprio in tema di linguaggio Vigorelli, con il patrocinio della sezione Lombardia della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, ha appena concluso un’importante ricerca triennale sull’accoglienza nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) dei nuovi ospiti con Alzheimer, coinvolgendo 7 regioni (oltre alla Lombardia, Piemonte, Friuli, Liguria, Toscana, Marche e Sicilia) per un totale di 249 casi in 33 RSA e 5 Centri Diurni.
Si tratta di uno studio qualitativo di fattibilità basato sull’‘Approccio capacitante’ (Enabling approach), tecnica per relazionarsi con anziani fragili e malati di Alzheimer sviluppata da Vigorelli a partire dal Conversazionalismo, il dispositivo psicoterapeutico fondato dallo psicanalista Giampaolo Lai, che innesta appunto la filosofia del linguaggio nella teoria e pratica della psicanalisi.
I risultati saranno presentati in anteprima al 5° Convegno nazionale sui Centri Diurni Alzheimer in programma all’Auditorium di Pistoia il 6 e 7 giugno. “Risultati per certi aspetti decisivi – spiega Vigorelli – l’accoglienza influenza infatti l’inserimento dell’ospite. Dai primi 5 minuti dipende il loro benessere o malessere dei successivi 5 anni. Il contatto iniziale determina la relativa felicità o meno del rapporto con operatori e familiari”.
L’idea di fondo consiste nello stabilire col paziente una relazione interpersonale che lo sottragga all’isolamento dell’incomprensione e dell’incomunicabilità, ovvero al dramma vissuto ogni giorno in migliaia di famiglie e in non poche strutture. Dramma che si ripete sempre con identiche dinamiche: il familiare (o l’operatore) parla, il malato non capisce o subito dimentica. Viceversa, parla il malato ma non si sente capito. Ne nasce una spirale di crescenti frustrazioni che spinge tutti nella prigione del silenzio.
L‘Approccio capacitante’ evita di creare queste condizioni e cerca invece di stabile un rapporto di fiducia col paziente aiutandolo a esprimersi come può con tecniche basate sulla parola. Quattro le regole per evitare frustrazioni e favorire l’uso della parola: A) non fare domande a chi non sa rispondere; B) aspettare che il paziente faccia la prima mossa; C) non correggere chi ha sempre paura di sbagliare; D) non interrompere.
“Così – spiega Vigorelli, citando anche casi complessi – si ottengono risultati a vari livelli, soprattutto sull’esercizio del linguaggio. Quando familiari e operatori si esprimono in termini capacitanti il demente parla di più, usa più sostantivi e manifesta maggior adesione alla realtà. Comunicare aiuta tutti a comprendersi e a vivere meglio per quanto possibile. La ricerca sui nuovi ospiti delle RSA offre adesso ulteriori conferme”.
Il protocollo, aggiunge, prevedeva per ciascun paziente (anche grave) un incontro di 5 minuti senza alcun particolare obiettivo (né raccogliere informazioni, né valutare lo stato cognitivo) se non quello di realizzare un contatto positivo tra due sconosciuti.
Risultato: 1) l’inserimento dell’ospite risulta più favorevole; 2) per formare gli operatori bastano poche ore, indipendentemente dalla qualifica; 3) le tecniche capacitanti tendono rapidamente a diffondersi; 4) per i familiari è una straordinaria risorsa, perché la loro sofferenza non è legata solo alla malattia, ma anche al sentirsi impotenti. Con corsi appositi anche i familiari imparano rapidamente le tecniche per gestire al meglio il quotidiano.