Sono 338 ad oggi le firme dell’intellighenzia italiana volta a boicottare l’università israeliana. Tra quelle di docenti e ricercatori, un buon 10% è composto da professori dell’Università di Bologna, la più antica d’Europa. Il numero ed il peso culturale delle firme sta facendo discutere non solo il mondo accademico anche perché molti dei sottoscrittori anti Israele sono gli stessi che hanno contemporaneamente apposto il loro nome e cognome sul grande accordo quinquennale che la stessa Alma Mater Studiorum ha appena siglato con l’Arabia Saudita.
Il patto arabo-bolognese, lanciato dall’ex rettore Ivano Dionigi e sancito dal nuovo Francesco Ubertini, entrambi in silenzio rispetto alla firma contro lo Stato ebraico di alcuni loro colleghi, prevede scambi di studenti e investimenti per la promozione di testi islamici. Tutto positivo, non fosse che basterebbe leggersi il rapporto di Freedom House sugli atenei sauditi additati tra i più intolleranti verso le altre culture e soprattutto religioni. E dove nei testi scolastici gli ebrei sono ancora chiamati con nomi di animali, “scimmie” in questo caso, mentre i cristiani dipinti come generici “maiali”. Per non parlare della fine da quelle parti di alcuni importanti siti archeologi, rasi al suolo in nome della lotta all’idolatria. O della situazione in cui versa la situazione femminile in contrasto siderale con le giuste rivendicazioni delle laicissime insegnanti della dotta università bolognese.
Nel frattempo, oltre al gemellaggio con uno degli Stati più oscurantisti del mondo, non una parola ufficiale di solidarietà ad Angelo Panebianco, il prof. bolognese costretto a far lezione sotto scorta.