Marco cambia di mano il guinzaglio e si appoggia alla spalletta. Chissà dove sarà qulla nebbia, forse
al Girone. Aguzza lo sguardo; e d’un tratto le luci si spengono e comincia il film del ricordo.
Ore 6.30. Ti desti. Dalla porta socchiusa filtrano le voci dei tuoi. «Non c’è neanche l’acqua?» «No».
«Che avrà dato di fòri l’Arno?» Ti vesti in fretta ed esci. Piove ma non forte. Piazza della Signoria:
sul pennone davanti a palazzo Vecchio il tricolore sventola aspettando la cerimonia. Dal portico
degli Uffizi arrivi alla balaustra sull’Arno. Le arcate del ponte Vecchio e del ponte alle Grazie sono
quasi cieche. A due palmi dal piede della balaustra l’acqua fulva scroscia e ribolle: ti chini a toccarla
con la punta delle dita.
Ore 10.30. Sei in fondo a via Condotta. Un gommone spunta dal canale dell’Anguillara, con a
bordo sette o otto pompieri in elmetto e giacca impermeabile. Il gommone entra maestoso nel lago
di San Firenze. Tra due nuvole nere filtra il prodigio di un raggio di sole, e per un attimo la placida
distesa rossastra riluce.
Ore 11.15. I due tavoloni da osteria virano davanti a palazzo Feroni e si precipitano nella rapida,
verso Santa Trìnita, scortati da un nugolo di scarpette variopinte. Tu sei sul lato opposto ancora
asciutto.
Ore 12.15. Hai attraversato chissà come piazza Goldoni e ora sei sul ponte alla Carraia. Due voci
vanno e vengono nel rombo continuo. Il vigile urbano: «La dice, eh?». «Eh sì! glielo dico perché
sono ingegnere. Speriamo sia vuoto, se no alla lunga butta giù il pilone». La vecchia cisterna rosso
carminio sbatte contro il primo pilone, trèpida, gira e risbatte: un’anima in pena.
Ore 12.40. Infili la chiave nel portone. Hai i piedi quasi asciutti, un miracolo. Intanto, all’angolo di
via Porta Rossa un esiguo rigagnolo giallastro si affaccia sulle pietre del selciato.
Ore 15. Ti affacci alla finestra dell’ingresso. In piazza Strozzi una “1100” vaga a clacson spiegato.
Via Porta Rossa è un torrente in piena. Sotto casa cominciano a sfilare dondolando certi vassoi di
legno dorato…
Marco abbassa lo sguardo e incrocia quello nocciola del suo cane, che lo interroga a muso levato.
«Torniamo a casa, Serse.»