Firenze – Un’opera giovanile rimasta nei repertori di tutti i teatri del mondo. Georges Bizet aveva 24 anni quando il direttore del Théâtre Lyrique di Parigi gli commissionò un’opera che doveva avere un’ambientazione esotica. Siamo nei primi anni 60 dell’800 e il profumo e il mistero di paesi lontani cominciavano ad attrarre la borghesia europea in pieno entusiasmo industrialistico.
Quale migliore trama di una che vede un’amicizia maschile messa a dura prova da una donna velata dotata di un fascino arcano. Nacquero così “I pescatori dei perle” (Les Pecheurs de Perles), opera lirica in tre atti basata sul libretto di Michel Carré e Eugène Cormon di scena al Teatro dell’Opera di Firenze dal 24 al 28 febbraio. Bizet compose la partitura in dieci settimane affrontando un tema complesso con idee innovative.
La prima dell’opera, il 29 settembre 1863, fu un discreto successo, ma dopo quell’allestimento fu messa da parte, fino a che trent’anni dopo, furono gli italiani a rilanciarla con un’edizione che fu presentata all’esposizione universale di Parigi, quando il gusto dell’esotismo era esploso anche grazie agli impressionisti.
Come accade spesso, I pescatori di perle è conosciuta al grande pubblico grazie a un’aria, “Je crois entendre encore” (Mi par d’udire ancor), che è entrata nei repertori di grandi tenori del secolo scorso.
Al Teatro dell’Opera di Firenze arriva l’allestimento del Teatro Verdi di Trieste con il direttore Ryan McAdams e le voci del tenore Jesús García che fa il suo debutto in Italia, del baritono Luca Grassi e del soprano Ekaterina Sadovnikova . La regia è di Fabio Sparvoli, le scene di Giorgio Ricchelli e i costumi di Alessandra Torella.
Foto: Les pêcheurs de perles foto RobertoRicci