Firenze – La squadra sta crescendo, dice Sousa. La squadra sta finalmente cambiando gioco, dico io. Ieri sera abbiamo visto in campo, una rara volta, un centrocampo a tre, come ai tempi di Montella. E non è un caso che Badelj, restituito al suo ruolo di regista e di frangiflutti a centrocampo, abbia giocato una sontuosa partita; ovunque presente, a soccorrere i compagni di reparto, a coprire la difesa all’occorrenza, ad accompagnare il gioco d’attacco a ritmi che consentissero alla squadra di alzarsi corta, senza le frenetiche ripartenze cui il 3-4-2-1 di Sousa ci aveva da un pezzo abituati.
E questa è la vera notizia della partita, confusionaria e ancora una volta sterile, contro un modesto Paok: abbiamo visto messi in campo i giocatori ognuno al suo posto, in un 3-5-2 che forse sacrifica (per quelle che sono le sue caratteristiche) il solo Ilicic, costretto da centrocampista puro a rincorse e a un lavoro di pressing che certo gli toglie lucidità, ma che restituisce agli altri una naturalezza, una disinvoltura nelle giocate, che non ci ricordavamo da tempo. A parte forse Berna, per il quale il discorso è più complicato.
È evidente che Sousa si sente “tradito” dal ragazzo. L’anno scorso Berna lo ringraziava perché si vedeva considerato e prendeva quella “rieducazione” sulla fascia destra come un insegnamento del maestro per l’ottimizzazione delle sue capacità. Un giocatore “totale”, si diceva, che può fare l’ala, il terzino, il centrocampista, la punta. Poi, quest’anno, soprattutto dopo i suoi stage con la Nazionale, Berna ha capito che giocando come lo ha fatto giocare Sousa finora sta perdendo occasioni, autostima e forse anche identità. E allora l’impennata d’orgoglio e la richiesta di giocare nel “suo” ruolo.
Credo che Sousa non l’abbia presa bene. Da allora tende ad escluderlo, a preferire sulla destra un evanescente Tello (ieri, dall’inizio, più prudentemente Tomovic), senza restituire al giovane talento il suo posto dietro la punta. E francamente ci siamo rimasti tutti male a non vedere in campo il nostro gioiellino. E ci siamo rimasti ancora peggio quando lo abbiamo visto entrare nel finale proprio nel ruolo che lui soffre: all’ala destra, dove ha fatto appena in tempo a ficcarsi in una veloce azione di contropiede e a sbagliare in area l’appoggio ai compagni perché, come al solito, costretto a farlo con il suo piede (che non è il destro). Da quel momento è stato messo a giocare a tutto campo, con Tello entrato a occupare quella famigerata fascia, e lo si è visto addirittura nella propria area cercare di uscire (pericolosamente) tra quattro avversari, con una impropria giocata da trequartista. “Lo vedo confuso in campo e fuori”, commenta Sousa. Ma chi l’ha confuso, il giovanotto?
Dunque, tornando al gioco, complessivamente abbiamo visto in campo una squadra più razionale e equilibrata. Buone anche le notizie dai nuovi. Salcedo sembra un ottimo difensore (e speriamo che anche a lui, per farlo “crescere”, non gli si inventi un ruolo non suo. Lui già ha messo le mani avanti, dichiarando di non essere un terzino!). Discreto anche Maxi Olivera, che fa cross con rapidità di esecuzione e precisione rimarchevoli. Bisognerà testare questi giocatori nella fase difensiva (ieri gli avversari erano troppo poca cosa); ma c’è la consolazione che tutti i difensori sono apparsi più tranquilli perché più protetti dal centrocampo. Io mi auguro che Sousa si sia accorto di una cosa elementare, in Italia, ma che un tecnico straniero in genere capisce soltanto dopo aver fallito: che non è il numero degli attaccanti in campo che fa il gioco offensivo. Non è che se tieni costantemente davanti alla linea del pallone Tello, Ilicic, Kalinic più addirittura Chiesa e un Borja che va a far pressing sul portiere avversario tu abbia un grande attacco.
Non è un caso che quel gioco di Sousa in genere non sortisca un tiro in porta nell’arco di una partita. Ieri, soprattutto quando è entrato Sanchez al posto di Ilicic, la squadra ha fatto un 5-3-2 banale e “difensivo”, con i soli Kalinic e Baba davanti, ed è stata molto più imprevedibile e pericolosa; ma perché riusciva a fare possesso palla, riusciva a accorciare i reparti, trovava i tempi per gli inserimenti di Borja e degli altri centrocampisti, e soprattutto non offriva spazi invitanti al contropiede avversario e non costringeva quelle povere punte a assurde rincorse. Tutto quello che il 3-4-2-1 di Sousa, con le ali larghe e con il centrocampo ridotto a due mediani da corsa, non consente. Ieri ce ne siamo accorti tutti. Ora speriamo se ne accorga una volta per tutte anche Sousa.
Il quale ieri diceva di aver voluto sperimentare un’alternativa al suo gioco. È già una notizia, da un anno a questa parte. Ma quello che per noi resta un rebus è il “suo gioco”. C’era il gioco di un altro, prima di lui, che lui aveva avuto la fortuna di ereditare al meglio della sua espressione. Non c’è neanche tanto da sperimentare. Basta semplicemente arrendersi all’evidenza e ridarcelo.
Foto: Paulo Sousa