Dopo la messa in suffragio e memoria dei Caduti presieduta nella basilica della Ghiara dall’arcivescovo Giacomo Morandi, il corteo lungo la Via Emilia e da deposizione di Corone ai monumenti alla Resistenza e ai Caduti di tutte le guerre, le celebrazioni del 25 Aprile-Festa della Liberazione a Reggio Emilia sono proseguite con gli interventi del sindaco Luca Vecchi, di Giuseppe Pagani presidente Associazione nazionale Partigiani cattolici (Anpc) a nome delle Associazioni partigiane e della scrittrice e attivista di origini iraniane Pegah Moshir Pour in piazza Martiri del 7 Luglio.
Di seguito l’intervento del sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi.
“Abbiamo voluto legare questo 25 Aprile, tra i tanti significati, anche all’impegno contemporaneo sui diritti. Per questo è con noi oggi scrittrice e attivista di origini iraniane Pegah Moshir Pour.
Perché nel percorso di questa città verso la libertà e la democrazia non è mai mancata un’aspirazione progressiva e una tensione costante all’estensione dei diritti delle persone, alla loro dignità in tutti i campi e in ogni contesto. Disse Nelson Mandela: ‘Ho coltivato l’ideale di una società democratica e libera, nella quale tutti possono essere uniti in armonia e con pari opportunità. Un ideale per il quale spero di poter vivere e di poter attuare, ma se necessario per quell’ideale sarei anche pronto a morire’.
Era un ideale molto simile a quei valori che spinsero una generazione di giovani, all’indomani dell’8 settembre 1943, a scegliere l’impegno della Resistenza. Ci sono vicende nella storia di una comunità che non possono essere vissute come episodi isolati. Il 25 Aprile 1945 fu un grande crocevia della storia di questo Paese. Era il compimento della fine della guerra, il successo della Resistenza sull’occupazione nazifascista, il punto di arrivo del dolore, dell’umiliane, dei sacrifici, ma anche il giorno della libertà ritrovata, del riscatto di un Paese e di una città.
Ma non solo. Era soprattutto la fine dell’epoca del fascismo iniziata oltre 20 anni prima e della vittoria dell’antifascismo, che apriva la strada alla democrazia, alla libertà, alla Costituzione, all’Italia repubblicana. Ora credo che vi sia un dovere di memoria, a distanza di tanto tempo, che ci deve imporre di non dimenticare, di continuare a capire, studiare e approfondire.
Lo devono fare soprattutto coloro che con questo passaggio hanno ancora qualche elemento di imbarazzo. E lo dobbiamo fare, perché dobbiamo avere chiaro che cosa è stato il fascismo nella storia del nostro Paese: fu violenza squadrista, abolizione del sindacato libero, negazione della libertà di informazione, repressione violenta del dissenso, scioglimento dei Consigli comunali; fu prima in teoria e poi nella pratica lo Stato totalitario e l’alienazione di ogni diritto di libertà; fu le leggi razziali; fu la guerra come naturale evoluzione di un’ideologia.
Il fascismo fu il punto più drammatico e il maggiore disonore della storia di questo Paese. Si adoperarono con metodo per reprimere, umiliare e soprattutto uccidere le migliori e più libere coscienze politiche, civili, culturali, religiose di questo Paese.
Uccisero Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, don Minzoni, i fratelli Rosselli, Antonio Gramsci e tanti altri ancora. E furono responsabili delle più efferate stragi: a Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema, alle Fosse ardeatine e in tanti altri contesti. Oggi noi siamo qui a rendere omaggio alla città Medaglia d’oro al valore militare della Resistenza, a Reggio Emilia.
Le sue 626 vittime cadute nella Resistenza, nelle tante forme di Resistenza, che furono praticate. Perché non vi fu soltanto una Resistenza armata. Vi fu la Resistenza civile, di un popolo; vi fu la Resistenza delle donne impegnate in tanti frangenti; vi fu la Resistenza dei preti molti dei quali caddero; vi fu la scelta di tanti militari, la stragrande maggioranza, di rifiutare di arruolarsi all’indomani dell’8 settembre e molti di loro, 600.000, furono deportati e internati nei campi di concentramento. E’ del tutto evidente che, mai come in quest’anno da tempo a questa parte, torni l’urgenza di una riflessione consapevole e collettiva sui valori dell’antifascismo.
Ogni giorno assistiamo a dichiarazioni e ricollocazioni inaccettabili, a bordate polemiche; si assiste al tentativo di equiparare, di bilanciare, di rivedere i singoli episodi e fatti… a volte questo è accompagnato da un po’ di imbarazzo o qualche marcia indietro. Però dobbiamo dirci con chiarezza una cosa: non è un semplice atto di dilettantismo politico.
E’ una precisa strategia. E’ in certa misura una precisa ideologia. E’ un lavoro strisciante, che mira, colpo su colpo, a generare indifferenza. Proprio quella indifferenza che Antonio Gramsci definiva ‘il peso morto della storia’. Quell’indifferenza verso ciò che ancora ogni giorno ci deve invece indignare. E’ il tentativo di cambiare il senso comune, di produrre in modo irreparabile una rottura della storia, riscrivendola su basi nuove e del tutto sconnesse dai valori profondi della nostra Costituzione.
Da questa piazza, dobbiamo dirci che noi non consentiremo mai di riscrivere quella storia. Perché la democrazia non esaurisce il suo senso profondo nell’esercizio del diritto di voto, ma tiene dentro di sé un obbligo morale verso la propria storia. Un popolo tiene dentro di sé il dovere di fare i conti con la propria storia, non solo con i momenti più gloriosi, ma anche con quelli più difficili e drammatici. Chi dice di non trovare la parola ‘antifascismo’ nella Costituzione, sappia che tutta la costituzione è antifascista. In Italia, antifascismo vuol dire democrazia. In Italia, antifascismo vuol dire libertà, dignità ritrovata. Non è il sentimento di una parte, ma è la coesione civile che ha tenuto insieme una comunità dal 25 Aprile in poi.
La storia di questa città non è quella di una città rimasta al balcone, ad aspettare gli eventi. C’è un calendario civile che accompagna la storia di Reggio Emilia e che, in certa misura, accompagna la storia del Paese: l’Eccidio delle Reggiane del 28 Luglio 1943, il 25 Aprile, il contributo alla scrittura della Costituzione di Meuccio Ruini, Giuseppe Dossetti, Nilde Iotti e soprattutto il contributo di questa comunità in tutto il Novecento, anche in questa piazza, il 7 Luglio 1960.
C’è un fatto che va rilevato: un senso di cittadinanza, un’idea di comunità che deve continuare a rimanere profondamente ancorata alla Costituzione perché, chi dice questa è la storia di una parte, dimentica un fatto: erano comunisti e cattolici, liberali e socialisti, azionisti e repubblicani, quei pensieri, quelle culture e quelle sensibilità che, nella loro percepibile diversità, riuscirono nell’impresa di darci una Costituzione. Quella Costituzione che all’articolo 1 dice che la Repubblica è fondata sul lavoro; all’articolo 2 stabilisce il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo; tutti i cittadini, dice l’articolo 3, “hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
E’ tutto lì, il capovolgimento valoriale, politico e culturale che il 25 Aprile porta con sé, ponendo fine alle tragedie dell’epoca precedente, indicando una nuova via maestra, un’ideale a cui tendere, fatto di pace, libertà, democrazia. Concludo con le parole di un grande presidente della Repubblica, uno dei più amati del nostro Paese e che la Resistenza l’aveva fatta: Sandro Pertini disse che “la Costituzione è un buon documento, ma spetta ancora a noi fare in modo che certi articoli non rimangano lettera morta, inchiostro sulla carta. In questo senso la Resistenza continua”.
Viva il 25 Aprile. Viva Reggio Emilia. Viva l’Italia”.