Firenze – Un sabato di sole, dopo tutto il grigio della settimana e alle Piagge si respira aria prefestiva. La tensione, se c’è, alle 11 di mattina è sotterranea: il mercatino è frequentato, la gente è in giro con cani e bambini. Niente fa presagire ciò che solo dopo qualche ora si addenserà su una comunità apparentemente indaffarata dietro le sue vicende domestiche.
Prima che tutto cominciasse, Stamp ha fatto un giro nelle autogestioni, quel formidabile strumento di gestione sociale che qui ancora funziona. E davanti a interni con fiori e quadri, davanti a scale pulite e tirate a lucido, non si respira di certo quell’aria di minaccia e contrapposizione violenta che da lì a qualche ora rotolerà con tutto il suo impatto su una comunità che sembra non averne sospetti.
Entriamo nelle sedi dei “blocchi” autogestiti, ci sono ancora le carte da gioco sul tavolo, e dietro i tavoli sono ingombri di agrifoglio, fili luccicanti, e tutto l’armamentario del Natale. Ci spiegano che un gruppo di donne sta preparando gli addobbi, e che due volte alla settimana si gioca a tombola. Girando per le strade e davanti ai pezzi di prato attraversati da vialetti dove giocano i bambini, sembra davvero di trovarsi in un luogo dove, come spiegano alcuni anziani, ci si preoccupa perché la gente stende le coperte sulla facciata, “contro le regole”. E se dietro c’è un’auto abbandonata da chissà quanto tempo, le lamentele sono contro l’amministrazione, che non si preoccupa di questo pezzo di città, o meglio, di mondo. La stessa cosa anche per la
Le regole. E’ tutta in questa parola ciò che sembra l’aspirazione delle persone: regole, e uguali per tutti. Ed ecco che comincia a infrangersi quell’aria di bonomia che ci ha accompagnato durante il viaggio. Ci fermiamo a mangiare un panino, alla svelta, dal momento che il presidio “degli scontenti”, contropresidio degli antifascisti, da lì a poco mostrerà una parte meno “amabile”. E si comincia a cogliere i segnali del sommovimento che scuote le Piagge nelle viscere: una signora dice: “Qui la gente non ne può più”. Perché? “Perché non è possibile, noi che paghiamo le tasse, che non arriviamo con i soldi alla fine del mese, che dobbiamo pagare anche per loro”. Loro?
Loro, per ora hanno la faccia di un gruppo di donne velate con bambini per mano. Loro? “No, non quelli che vengono qui, lavorano, si integrano. Gli altri”. Gli altri? E così, veniamo a sapere che è aumentato, secondo la percezione degli abitanti, il numero degli scippi: “Esco con la borsa sotto il pile, vediamo se me la fregano” fa una donna con aria di sfida. Ma chi? “Ci sono tutti, i nostri e i loro”.
Salutiamo, e ci avviciniamo alla sede della comunità delle Piagge, che qui vuol dire Don Santoro. E’ proprio lui che esce, un po’ trafelato, e poniamo a lui la domanda: che aria tira, qui alle Piagge? “L’aria delle periferie – dice – il disagio è
E da lì a poco, ecco prendere posto i primi cellulari della polizia, arrivano anche i carabinieri. Ci spostiamo, il luogo di raccolta per il presidio antifascista è più avanti, su via Pistoiese. Quando giungiamo, ci sono alcuni rappresentanti dell’Anpi, Ornella De Zordo, Tommaso Grassi, qualche altra faccia conosciuta, molti ragazzi. In campo Anpi, collettivi, Rete antifascista, Sel, Rifondazione Comunista, il Partito Comunista dei lavoratori e il Movimento di lotta per la casa. Un gruppo di ragazzi arriva, e racconta che c’è già stato un primo fronteggiarsi fra gruppi estremi e contrapposti. Niente di grave, forze dell’ordine hanno procurato di evitare contatti, tutto è stato gestito con tranquillità. Intanto, la gente continua a confluire, qualcuno canta O Bella Ciao. Sventola la bandiera dell’Anpi, qualche bandiera rossa. Polizia e carabinieri vigilano. Sembra che la cosa andrà liscia, che i gruppi non verranno a contatto. Perché vola la voce che “gli altri” siano riuniti da un’altra parte, via Garibaldi. Giunge voce che da Peretola giunga il corteo di Forza Nuova. Ma nessuno, per ora, si muove.
Intanto, qualcosa avviene dal lato del bar. Un gruppo comincia a insolentire i manifestanti. I discorsi a poco a poco si accendono: “Cosa vogliono questi, di dove sono”; “Ma perché non se ne stanno a casa loro”; “Devono venire proprio qui a rompere i c…” e via di questo passo. Le acque cominciano ad agitarsi e poi qualcosa scatta: il corteo tenta un’ azione di sfondamento del cordone di forze dell’ordine per entrare in contatto col gruppo di Forza Nuova. Volano
Sì, confusione. Perché al di là della questione di ordine pubblico, ciò che maggiormente colpisce sono le persone che tornano dopo essere state a prendere i bambini a scuola e sgusciano, vagamente attonite, fra divise e manifestanti. Quelli che chiedono “Ma che succede?” e se ne stanno, fermi in bicicletta a distanza di sicurezza, ad osservare. Ci avviciniamo, chiediamo cosa ne pensano, molti scuotono il capo e non vogliono rispondere, altri dicono: “Siamo alla frutta, anzi al liquore. Siamo stremati”. Perché ? “Non si può vivere così, con la paura di uscire di casa”. Interviene un altro, più anziano: “No, non si vive male. Negli anni ottanta forse ma ora non è così”. E quelli che vivono dentro il
Qualcosa si riaccende, dalle parti della sede di don Santoro. Un gruppo di residenti del quartiere che dice che la colpa “è del prete” e se la prende con gli immigrati nel corteo, con gli antagonisti, col Movimento di Lotta per la Casa. Alla fine, tutti smobilitano, ma rimane un presidio di forze dell’ordine. E in conclusione, le parole di una signora che è stata tutto il tempo a guardare dà la cifra, forse più vera, di questa interminabile giornata: “Destra, sinistra ma cosa ci importa? Però vorrei chiedere: perché nessuno di tutti questi signori non è venuto prima, a manifestare contro il degrado? Cosa c’entra la casa? Qui, il problema è il degrado e la sicurezza. Dopo, alla fine, qui ci tocca di rimanere noi. Soli”.
Stefania Valbonesi – Laura Bonaiuti