Firenze- Le hanno detto cose terribili sul suo uomo e la figlia. Ma lei, come madre, non ci crederà mai e attende da mesi il ritorno di entrambi: quasi immobile, giorno e notte, alla fermata della tranvia Paolo Uccello, dove tiene le sue poche cose ammassate in un angolo. Resistendo al freddo terribile di questi giorni come al caldo di queste estati infernali. Fatima ha un’età imprecisata (38 anni o 40, chissà) e una storia che si perde nella nebbia. Di sicuro si sa che proviene dal Niger e poco di più. Ci hanno provato in tanti a portarla via, offrendole un tetto, un posto dove dormire e una casetta perfino. Ma lei può star via qualche giorno, giusto il tempo di farsi visitare dai medici dei servizi sociali che la tengono sotto controllo. Poi torna lì: in “via” Paolo Uccello dove si ferma quel tram.
La sua vita è soprattutto un’attesa. La notte è il momento più duro, su quella panca di legno, vestita di strati di lana pesante con una borsa dell’acqua calda soltanto per riscaldarsi. Gliela riempiono al bar, o magari ci pensa qualcuno di quella grande rete di solidarietà che si è creata intorno a lei. Si sveglia quando albeggia e per lavarsi “vado da un mezzo cinese che studia le cose di moda” dice lei. D’estate ricorre direttamente all’acqua dell’Arno. Scende sul fiume, poi torna a “casa sua”, sulla sua panca, e si mette il rossetto guardandosi allo specchio. Ha qualche cicatrice sul volto ma se le chiedi il perché Fatima non risponde. Lei sa soltanto che deve essere sempre bella per Kelly, la figlia. E pronta quando anche il suo uomo tornerà. I servizi sociali le portano pasti caldi, tanti passanti le lasciano un euro, due, qualcuno anche cinque. Ma lei li rifiuta sempre con fierezza. “Non ne ho bisogno – dice – io ne ho già tanti. Faccio affari e i soldi li raddoppio ogni giorno”.
Nel suo mondo perduto, qualche volta Fatima si arrabbia. Inveisce contro le mogli, il perbenismo, le cose normali: “Dovete essere grati alle pu*** che accolgono i vostri mariti! E voi invece le insultate!”. Fa così perché difende d’ufficio le sue amiche notturne. Si dice infatti che le signore della notte spesso si mettano a parlare fitto fitto con lei. Di giorno invece la gente si ferma, le offre un panino, qualche soldo. Qualcun altro la guarda compassionevole, scuote la testa e se ne va. Se ti avvicini, Fatima ti racconta il suo dolore. Il suo uomo e la figlia stanno qui, a Firenze; le hanno detto che sono fuggiti insieme tradendola. Ma lei sa che non è possibile. In realtà li trattengono in qualche punto imprecisato di questa città. Lei non può muoversi, non può lasciare la sua dimora, perché altrimenti non si incontreranno mai più. E attende con fiera certezza il loro ritorno.
Dopo aver parlato a lungo con Fatima le lascio dieci euro, mi guarda strana e la rassicuro: “E’ un prestito!”. “Allora va bene, ma poi te li rendo”. La storia di questa guerriera del Niger che aspetta, e del mondo intorno che la rispetta e la sostiene, dice molto di più dell’Italia vera dei tanti proclami di chi racconta una storia tutta diversa in nome di questo Paese.