Non si fa in tempo a coniare un neologismo, sia pur tagliente, sia pure cinico, che questo viene abbondantemente superato dalla realtà, e ad utilizzarlo si rischia di diventare subito out. Viene da immaginarsi una di quelle feste degli anni ’80 alle quali ci recavamo con l’unico scudo di un giubbotto falso chiodo e nascondendo eventuali brufoli nella speranza di non fare da tappezzeria, di mescolarci proattivamente – e chissà, magari pure rimorchiare; poi, mentre fai il brillante con la belloccia che ti squadra come se fossi un animale parlante, infili il termine “Gramellinismo” per fare il figo, e subito qualcuno ti sacrifica sull’Altare dell’Imbarazzo (ci vuole sempre una vittima): “Gramellinismo, ma come sei indietro!”.
Perché ormai siamo ben oltre. Il Gramellinismo, con uno scatto bruciante, ha superato se stesso e ha partorito il Post-Gramellinismo, che poi in realtà a sua volta lo aveva generato in una specie di gioco di paradossi temporali da far girare la testa ad un qualunque occhialuto amante della fantascienza. Così, mentre da un lato sorgono isolate sacche di resistenza a questo modo becero e del tutto strumentale di scrivere sui giornali, qualcosa che dalla Posta del Cuore arriva direttamente alle tasche del lettore senza passare affatto per il giornalismo, dall’altro questo si diffonde, dilaga, viene accolto spontaneamente e spontaneamente caldeggiato; segno certo che non il Gramellinismo ha trovato il suo pubblico, ma il pubblico ha trovato esso, e lo difende a spada tratta.
Ha senso polemizzare sul fatto che Gramellini copi le sue microencicliche quotidiane dai social network altrui, quando i plagiati si sentono onorati di tanta attenzione? Gramellini pubblica per vere (ma ingenuamente, eh) cose inventate dal suo ufficio stampa? Ma che male c’è? In fondo, è la vita che imita l’arte, e l’arte imita i social network, e questi si (l)imitano da soli. Va da sé che il giornalismo qui è abbondantemente superato; nel suo non più limitarsi alla sola informazione e nella ricerca del senso critico di chi scrive, alla fine si è tirato un secco autogol raggiungendo infine le comode sponde del parere addomesticato al gusto medio della platea che si pensa di poter raggiungere, finendo così per realizzare un giornale che si scrive in certo qual modo da sé.
Non per la prima volta, in Italia assistiamo al miracolo: quasi nessuno legge, ma tutti scrivono, o concorrono al processo. E con Gramellini, ma anche Grasso, Minzolini, Serra e chissà quant’altro, se la “Gente Vera” di cui scrivere non esiste, l’importante è che sia verosimigliante, commovente e un po’ patetica, così da poterla condividere in lungo e in largo.