Firenze – Mi rendo sempre più conto di quanto sia difficile parlare di calcio. E la ragione è semplice. Come ha detto e scritto più volte Sacchi, il calcio non è uno sport. È business, è intrattenimento mediatico, è geopolitica (quando non è mafia o associazione a delinquere). E allora che cosa si valuta alla fine di un campionato e alla fine di una partita? La “bellezza” del gioco espresso da una squadra, a prescindere? Ma anche qui non ci si trova tanto d’accordo.
Perché il giudizio estetico non può non tener conto di quello pratico. A che serve una bellezza fine a se stessa? Una veronica ben riuscita, o un palleggio funambolico, certo che sono tecnicamente apprezzabili. Ma tutto va commisurato con un fine, se non con un utile; e, almeno di principio, dovrebbe contare l’espressione più compiuta delle qualità e delle capacità di un gruppo. Si può discutere all’infinito tra “cholisti” e “guardioliani”, e si può anche oggettivamente preferire il gioco dei guardioliani. Ma se poi il Bayern o il Barça non vincono, ecco che siamo disposti a rivedere i nostri canoni…
In questi giorni si parla del rinnovo del contratto a Sousa alla Fiorentina. È sorprendentemente unanime il giudizio, soprattutto da parte dei colleghi allenatori, che quello insegnato da Sousa sia un “bel gioco”. A detta di molti, pare che, insieme al Napoli, la Fiorentina esprima il più bel calcio d’Italia. E qui è chiaro che prevale, nell’esperto, il giudizio squisitamente tecnico.
Sousa è un “innovatore”, ha in mente un calcio in buona parte nuovo (se non altro, ha griffato quel 3-4-2-1 che al mondo non gioca nessuno), è un professionista serio che crede fermamente nella virtù taumaturgica degli schemi e delle loro sofisticate applicazioni, ed è uno che davvero promette qualcosa di nuovo. Ma cosa mantiene di quella promessa? I risultati non parlano a suo favore, deludenti fino a essere stati spesso umilianti.
Neanche lo spettacolo che la squadra offre mediamente (ieri sera mi sono addormentato sul divano dopo il tiro in porta di Kalinic, tanto sapevo che sarebbe rimasto l’unico in tutta la partita, come ormai accade di regola). E non certo l’esaltazione delle qualità dei singoli, che quest’anno davvero non c’è stata (contrariamente ai campionati scorsi, alla fine dei quali i giocatori della rosa erano tutti prezzati in plusvalenza, mentre quest’anno al massimo conservano il valore di partenza; e in pochi). E allora?
E allora torno a ripetere quello che penso. Sousa è profeta di un calcio virtuale che alla Fiorentina non può essere espresso in tutte le sue prerogative (e non lo è di fatto), date le caratteristiche della maggior parte dei giocatori in rosa. Sono anche convinto che in Italia quel gioco sia perdente (come sono invece sicuro, per esempio, che il gioco di un Simeone sarebbe vincente), perché da noi il calcio è prevalentemente “controgioco”, e perché da noi i trucchi tattici si scoprono presto e se ne vanifica l’effetto con le mosse più elementari. E non dico che da noi il calcio sia difensivistico.
Dico solo che è un calcio assolutamente condizionato dai risultati (questa è la nostra cultura), ed è un calcio che, di partita in partita, lo si inventa per mettere in difficoltà l’avversario prima ancora di proporlo in purezza. Per rispedire Sousa da dove è venuto mi basterebbero (e avanzerebbero) le rare considerazioni pertinenti che fa di calcio. Due partite fa, dopo aver perso contro l’Udinese, si lamentò perché l’avversario si era difeso in nove.
Perché la Juve? Non si è difesa in nove anche lei, lasciandoci tranquillamente il predominio territoriale? Questo tipo di lamento (inaugurato, dobbiamo dirlo, dall’allora “rivoluzionario” Sacchi, che però coerentemente ci diceva che contava solo il gioco e non contavano i risultati) è quanto di più ottuso e inutile si possa ascoltare alla fine di una partita in Italia.
Ma prima di iniziare il campionato ne aveva fatta un’altra di considerazioni epiche: lui veniva in Italia a insegnarci “calcio europeo”. Intanto si è visto che fine hanno fatto i suoi compari stranieri, da Benitez a Garcia, che erano qua a rieducarci. E poi una domanda: ma quale gioco europeo? Quello inglese, dove ora va a vincere il campionato una provinciale allenata all’italiana dal vecchio Ranieri, mentre le altre che sinora hanno giocato il gioco di Sousa stanno facendo incetta di tecnici alla Conte, e se potessero anche alla Allegri?
A Firenze, l’anno scorso, c’era un tecnico “scientifico” che misurava le potenzialità fisico-atletiche e psico-morali dei propri giocatori per farli rendere al meglio e per cucirgli addosso un gioco che gli si attagliasse. Aveva provato e riprovato schemi (ma soprattutto “strategie”) per valorizzare il più possibile i giocatori a disposizione, e aveva “inventato” (giacché in Italia era praticamente sconosciuto) un gioco alla spagnola, con varianti che lo italianizzassero il più possibile e lo difendessero dalle pratiche ostruzionistiche dei controgiochisti.
Curiosamente, quel gioco, che in molti avevano giudicato a volte noioso e insufficiente per le ambizioni della Fiorentina, porterà ora verosimilmente quattro squadre nelle finali delle coppe europee (e pensare che tra queste quattro non ci sarà il Barça!). Nel frattempo, si sta “spagnolizzando” e “italianizzando” anche il calcio tedesco. Mi dispiacerebbe davvero se Sousa dovesse rimanere a Firenze perché fuori d’Italia il vento soffia contro le sue idee da talebano “inglese”.
E mi dispiacerebbe che i nostri dirigenti stessero al ricatto del “ci vuole tempo, lavoro e applicazione” per concedergli un’altra chance. Perché agli allenatori italiani ci vuole molto meno tempo per capire e per provvedere. E allora meglio Giampaolo, o Maran! E in assoluto quegli allenatori che danno la sensazione di cavare il meglio da quello che hanno, senza lasciarsi dietro dubbi, rimpianti e tanti buoni propositi rimasti tali.