Nel panorama internazionale il cinema diretto da donne , ancora poche, annovera tra i grandi nomi che vengono in mente la neozelandese Jane Campion , le americane Kathryn Bigelow e Greta Gerwig (non solo Barbie, ma anche Lady Bird e Little Women). Poi anche interessanti dal mondo arabo sia magrebino, la marocchina Mariam Touzani ( Il caftano blu), e la tunisina Kaouter Ben Hania ( l’Uomo che vendette la sua pelle) che del Libano Nadine Labaki (Caramel, Cafarnao ), e la coreo-americana Celin Song (Past Lives).
Tra le italiane, la più celebre internazionalmente ci ha lasciato quasi 3 anni fa : Lina Werthmuller a quasi 94 anni lungo un quarantennio di 25 film (1963-2004). L’altra nostra decana di classe è Liliana Cavani , 91enne e ancora in attività , 19 film dal suo Galileo,1968 , a L’ordine del tempo, 2023) ; poi dagli anni ‘90 autrici di valore si rivelano Cristina e Francesca Comencini, Francesca Archibugi, seguite da Roberta Torre ed Emma Dante ( Le sorelle Macaluso, Misericordia) . Assieme a loro da un decennio, la generazione tra i 40 e 50 anni sta producendo lavori molto interessanti illuminando aspetti e declinando alcuni temi con una sensibilità tutta femminile e con linguaggi originali. L’ultimo exploit non certo effimero è quello di Paola Cortellesi, ma si stanno riconfermando anche Giulia Steigerwalt (Settembre, Diva futura ) e Valeria Golino (L’arte della gioia, dopo Miele ed Euforia, ma anche Susanna Nicchiarelli (Miss Marx, Chiara) e Laura Bispuri (Vergine giurata, Il paradiso del pavone). Tra le più giovani, Pilar Fogliati, 31enne (in ascesa anche come attrice) con Romantiche (2023), Nastro d’argento e Globo d’oro come miglior commedia, e la 34nne triestina Laura Samani, Piccolo Corpo, David di Donatello 2022 come miglior opera prima.
Tra tutte queste risalta alla quarta prova, La chimera, Alice Rohrwacker (n. 1981). Sorella minore dell’ attrice Alba (n. 1979), Alice persegue un suo personalissimo cinema su cui si potrebbe vedere il tentativo continuo nel tradurre un’archeologia delle cose , e d’un’umanità ai margini, in immagini di un’ archeologia dell’anima. Nei suoi quattro film, in momenti discontinui , vieni preso non per l’immagine bella o comunque telefonata, ma neanche per lo scioglimento di una storia: non c’è mai nessuna catarsi ‘reale’ e comunque la ritrovi dove meno te l’aspetti con una strana nuova sensazione : sei guardato dall’immagine più che guardarla. La scabra poesia di Alice e le sue meraviglie, si potrebbe dire, che non sono meravigliose, ma ne rimani attratto.
Sembrano dirti: ti ho ‘toccato’ , ma non sono bella, anzi sono sporca e pieno di terra come le spille et similia arcaiche trovate nel fango de La chimera. Forse si potrebbe chiudere qui e Alice ne sarebbe soddisfatta , se si è capito un pizzico la sua visione del rapporto tra lei , la mdp e il mondo da filmare con delicatezza, nel timore costante di violarlo. Alice ci porta coi suoi film per un’Italia marginale tra campagne desolate e periferie devastate , a partire dalla Calabria di Corpo celeste dove il sacro richiama anche il Sud e magia di Ernesto De Martino , ma anche il mercimonio che se ne fa : con parroci di paese che fanno i galoppini elettorali in cambio di prebende , cavalcando la superstizione della gente più semplice .
E alla fine l’iniziazione alla Cresima di Marta -che dodicenne torna dalla Svizzera con madre e sorella alla periferia di Reggio Calabria- prende altri percorsi più poetici e liberi dalla inaridita tradizione religiosa. Marta dodicenne è Ylie Vianello che è anche la Beniamina de La chimera , ora 25nne con già all’ attivo altri 3 film , a conferma dei significativi legami tra i vari lavori e personaggi di Alice R. ; poi con Le meraviglie l’autrice approda all’Umbria e al grossetano, per raccontarci in modo trasfigurato anche la sua autobiografia famigliare che, come nel film, vede un padre tedesco apicultore che oltre alla moglie ( umbra originaria del ternano) ha solo figlie femmine, pur non risultando un vero padre-padrone ; con Lazzaro felice, il protagonista si muove invece per l’altipiano dell’Alfina su cui sorge Civita di Bagnoregio: è’ la città che muore’, perché il tufo dell’ l’altipiano si erode poco per volta. E il borgo con origini etrusche e medievali , a metà strada tra Orvieto e il lago di Bolsena, sembra letteralmente ‘sospeso nel vuoto’ in un’agonia onirica d’ un incantato panorama dall’alto ; e siamo ancora nel Lazio con La chimera , spostati adesso nel viterbese tra cui Blera, nei cui pressi si trovano numerose necropoli etrusche, e attorno a questi luoghi si gioca la storia del film, ambientato nei primi ’80 e che ruota attorno al mondo dei tombaroli, ma di una genia colorita e picaresca. Come una pasoliniana corte dei miracoli dai tratti anche felliniani, tallonano in rapito e concentrato silenzio i passi e le trance iniziatiche di un rabdomante specialissimo, visto come uno sciamano, teso a percepire le vibrazioni del sottosuolo. Lui è Arthur, un trentenne inglese con formazione archeologica , deraciné e malinconico. Richiama anche l’Alain Delon de La prima notte di quiete. Solo che al posto del cappotto di cammello un po’ sgualcito, ha uno stazzonato e sporco vestito chiaro di lino, e gli puzzano i piedi dopo mesi di carcere.
E’ la figura romantica del film, assieme a Italia che è poi la brasiliana Carol Duarte, non a caso splendida protagonista de La vita invisibile di Euridice Gusmao. Con Italia, che si presenta goffa , maldestra e stonata, Arthur imparerà a comunicare tramite un loro personale buffo linguaggio dei segni , senza bisogno di parole, perché anche Italia , che rivelerà un fascino da gazzella selvatica e intuitiva, ha una visione magico-sacrale della natura e delle cose. In realtà Arthur, rispetto alle intenzioni predatorie delle tombe etrusche di questa genìa cialtrona e simpatica, è interessato a ritrovare come un moderno Orfeo il filo rosso che lo possa riportare alla sua perduta Euridice, la scomparsa nel nulla Beniamina, la figlia di Eugenia (una grande carismatica, tra medium e maga bianca , Isabella Rossellini) . E qui entra in campo il linguaggio di immagini e poesia di Alice. L’immagine di Beniamina si vede solo nei sogni di Arthur , per tre volte : All’inizio, in mezzo, e alla fine. Sempre fuggevolmente, e guarda sempre in camera. Quindi, come vuole Alice , il film ci guarda e ci interroga. E la ragazza fruga febbrilmente nel terreno qualcosa o alle radici di arbusti, e Arthur fa lo stesso, e quando all’inizio vede Italia sradicare inciampando una piantina in vaso, se la riprende frenetico. Ne trarrà il ramo biforcuto con cui tasterà volta a volta i segni del sottosuolo che per i tombaroli indicheranno i reperti etruschi da prendere alla rinfusa e vendere, e per lui la ricerca del filo d’ Arianna tra lui e Beniamina.
Nel cuore di queste esplorazioni tombali si rivela una statua meravigliosa della Chimera , con un viso femminile dalle fattezze delicatissime (simili a quelle di Beniamina) e il corpo da leone con coda di serpente. Uno dei tombaroli le stacca la testa, e la banda , fuggendo, pensando di avere la polizia alle calcagna, lascia la statua portandosi la testa come decisivo elemento di contrattazione per il misterioso e potentissimo ricettatore nella zona conosciuto come ‘Spartaco’. In realtà erano uomini di Spartaco che li avevano seguiti, e che portano la statua senza testa su un panfilo da sogno , dove Spartaco sta vendendo a miliardari, con linguaggio ammaliatore e sapienti diapositive, preziosi reperti tra cui la statua decapitata delle Chimera. In realtà ‘Spartaco’ si rivela una seducente sulfurea dominante bionda tedesca ( Alba Rohrwacker). Di fronte a lei ora, la banda dei tombaroli con Arthur, che ha raggiunto l’imbarcazione per reclamare l’intera posta in nome della testa mozzata. Nel momento decisivo di mostrarla a ‘Spartaco’/Alba , Arthur prende tra le mani la testa e le accarezza il viso , come se accarezzasse Beniamina , e le mormora le stesse parole che Italia, inorridita, aveva pronunciato ammonendo i tombaroli dal prendere oggetti che appartenevano solo alle anime dei morti: “tu non sei fatta per essere vista con gli occhi degli uomini”, e poi la lascia cadere in mare.
In un’ultima esplorazione, entrando in una tomba, che gli crolla alle spalle, lasciandolo senza via d’uscita, dal buio cupo e senza suoni esterni in cui è piombato ( forse è già nell’Ade, come Orfeo) ritrova una luce fioca, un pertugio minimo, da cui scende un sottile filo rosso. D’incanto è fuori in una luce abbagliante e riabbraccia la sua biondissima Beniamina che ha un maglioncino rosso delle stesso filo. E’ un sogno di Alice. Ma è anche la sua intenzione di cinema.
La chimera è stato definito anche come “un film al contempo arcaico e post-moderno, completamente libero come il cinema di Rohrwacker”. E infatti di arcaico ha la visionarietà poetica e i riferimenti mitologici ; è invece postmoderna la visione socio-politica e la denuncia civile perché in controluce illumina l’inizio della devastazione del territorio della Tuscia dagli anni 80 , dove le cose dei morti, che per 2500 anni nessuno si era sognato di profanare, erano diventate oggetto di un saccheggio sistematico, con i tombaroli solo strumento terminale e pittoresco di una speculazione organizzata ad alti livelli e che traeva le fila e i veri profitti a spese dell’intero territorio.
Un percorso tutto da seguire quello di Alice Rohwacker, non privo di imperfezioni ed inciampi , ma di un’imperfezione anche voluta, e affascinante come scommessa. Qui la poesia non è mai estetizzante, ma ci guarda e interroga divenendo pensiero riflesso. Come le coreografie degli stormi degli uccelli migratori che sono sempre alla spalle nel cielo del protagonista , contrappuntate ai titoli di coda dalle splendide musiche e parole di Franco Battiato (“ Volano gli uccelli volano.. scendono in picchiata, atterrano …/ cambiano le prospettive al mondo / voli imprevedibili e ascese velocissime/ traiettorie impercettibili/ codici di geometrie esistenziali”).
P.S.: Arthur è interpretato dall’ attore inglese Josh O’ Connor con rara intensità e aderenza . E O’ Connor , nel medesimo 2023 , era anche il Patrick avversario di Art, e primo amante eternamente problematico per Zendaya/ Tashi in Challengers di Luca Guadagnino. Dove, irriconoscibile, appariva fuori parte, scialbo, impacciato. Non era solo per limiti di sceneggiatura e per la direzione degli attori , perché Guadagnino è anche in questo un grande regista. Forse, in quel film, molto ambizioso e rutilante, mancava un’anima fatta di sincerità estrema con sé stessi e l’espressione estrema di sé stessi. E fa riflettere , in modo anche intrigante, come il cinema odierno pone anche grandi talenti di fronte al bivio tra scelte scomode e rischiose per le proprie ispirazioni , e un’ alternativa di successo patinato e alla moda, basta cavalcare un certo mainstream dominante. Ci dispiace per Guadagnino, e ci dispiace anche per l’ultimo Lanthimos, che ci appare involuto (e soddisfatto). Riparleremo anche dei loro recenti film. Sperando che invece ci stupiscano in seguito con il meglio della loro arte.