“L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento”, ovvero: ciò che avreste sempre voluto sapere sul lavoro ma non avete mai osato chiedere.
Ma non è certo Woody Allen quello che ci si trova davanti sebbene emerga con evidenza una profonda ironia, solida e amara, che dal testo di Perec giù fino alla sua rappresentazione attuale si ritrova nella conturbante musica, nel libretto sibillino e nella regia asciutta e perentoria.
Un’opera difficile quella andata in scena questo fine settimana in Cavallerizza a dare il via a una nuova stagione di festival Aperto.
Un’opera che, mi sembra, ha lasciato in sospeso anche il pubblico, che a fine serata ha applaudito, sì, ma non del tutto certo e consapevole delle sue azioni.
Questo non perché lo spettacolo sia brutto o sgradevole. Ma è certamente di complessa lettura, come lo è il testo originario che nel titolo trova la migliore sintesi, la più compiuta descrizione e la più efficace recensione. È tutto lì, nel titolo. Il testo, come poi lo spettacolo, risultano quasi un esercizio sul tema, una rappresentazione estesa del medesimo concetto. Volutamente ridondante e labirintico, la sostanza e la forma di una affermazione.
La musica di Vittorio Moltalti è uno degli elementi che ho preferito. In totale affinità con lo spirito letterario essa è metallica, didascalica direi quasi per quanto sia strumentale alla scena e ai luoghi e al dialogo, alla descrizione di situazioni e circuiti mentali e ambientali.
Il libretto di Giuliano Compagno porta all’estrema sintesi il flusso linguistico originario, anche in questo caso fedele alla coercizione linguistica e sonora che sono del testo originario.
Affascinante, devo dire, anche la regia di Claudia Sorace, forse senza slanci ma perfettamente intonata al clima dell’opera e gradevolmente funzionale ad una lettura dei significati non sempre facilmente raggiungibili. Molto apprezzato il suo parallelo, all’interno dell’apparato critico, con lo scrivano Bartleby, alla sua incomunicabilità di scrivano: “In questa falsa pretesa di incomprensione reciproca, il potere e la politica giocano la loro partita”.
Niente di più attuale.