Firenze – Aldo ha 61 anni, una patologia complessa in cui si assommano varie malattie e che lo rende inabile al lavoro, e, se le cose non cambieranno, a maggio sarà senza casa. Una lunga, difficile storia che rischia di concludersi in un modo che peggio non si può, infatti, certificato dai medici che lo hanno in cura da anni, una sola mezza giornata per strada per Aldo equivale a una condanna a morte. Nè più nè meno.
Ma cosa è successo? Aldo, afflitto da una lunga storia di tossicodipendenza da cui è riuscito a sganciarsi solo negli ultimi anni, si è trovato improvvisamente solo e senza famiglia. Un fratello morto in età giovanile, perde il padre e poi, poco tempo fa, la madre. E così, si trova a oltre 60 anni solo, senza la possibilità di lavorare e con una pensione di invalidità di 290 euro al mese.
Ma Aldo non si arrende. E’ vero, l’eroina lo ha messo in ginocchio, ha distrutto la sua vita, ma non l’ha schiantato fino in fondo. Aldo è un guerriero e reagisce: combatte contro le varie patologie che l’assalgono, cerca di trovare il bandolo di una matassa da troppo tempo sfuggita. Così, dei pochi soldi lasciatigli dalla madre fa tesoro: li serba per pagare l’affitto, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui dovrà forzatamente entrare in morosità. Un mese, due, tre, fino a quando la piccola riserva si esaurisce. Morosità inevitabile, che comincia nel 2015 e comporta la citazione in tribunale, la sentenza di sfratto, gli accessi con forza pubblica.
Sì, ma qualcosa si può ancora fare, dicono al Sunia cui Aldo si è rivolto. Morosità, è vero, ma incolpevole. Così, accolta la richiesta, ecco una boccata di ossigeno: dal Comune giungono i soldi per pagare gli arretrati, e anche qualche mese in più. La situazione sembra sanata. Sì, sembra. Infatti, il problema non è stato risolto alla radice, come dice Aldo, e dunque le stesse evidenze riprendono piede quando viene meno l’aiuto da morosità incolpevole. “Dopotutto – commenta il protagonista della nostra storia – con tutti i soldi che sono stati spesi per rimettermi in pari e ripartire con l’affitto, forse una stanzuccia e mezzo potevano trovarmela”. Si ricomincia invece, si torna alla morosità, ai tribunali, allo sfratto.
In tutto questo, è necessario aggiungere che Aldo ha fatto, assistito dal Sunia, l’ovvio, ovvero la domanda al bando per le case popolari. I requisiti li ha, ma la graduatoria non è generosa per lui. Solo, senza figli, la morosità incolpevole non è più calcolata a punteggio, lo sfratto non vale molto, l’invalidità è sui tre punti, Aldo si trova con 6 punti e mezzo, pochi per pensare di potere trovare in poco tempo una soluzione che lo tolga dal rischio strada. E anche il canale dell’emergenza, cui viene spinto dal suo legale, e nella cui categoria rientra, lo trova con poco punteggio per aspirare a una soluzione rapida: 6 punti e mezzo, troppo poco.
Poco o tanto, il problema rimane: Aldo non può lavorare, le sue condizioni fisiche non lo permettono assolutamente, i suoi 290 euro di pensione di invalidità non bastano certo per farlo campare, figuriamoci per trovare un altro affitto. Ma arriva il provvedimento del reddito di cittadinanza: 780 euro, vale a dire il massimo, che gli spettano e che almeno vanno a parare il colpo dell’affitto. “Benissimo – dice Aldo – ovviamente, una volta ottenuto il reddito di cittadinanza, ho ticominciato subito a pagare l’affitto. Ma i pagamenti che sto facendo ora non interrompono la morosità precedente, vale a dire, il provvedimento di sfratto non viene invalidato”. Dunque, Aldo paga da quando è intervenuto il reddito di cittadinanza, ma lo sfratto continua a compiere il suo corso. “Del resto – dice Aldo – la proprietaria è stata già paziente”.
Ma quanto rimane in tasca, dal reddito di cittadinanza, a uno come Aldo? “Togliamo 500 euro di canone, più 1230 all’anno per il condominio – dice il nostro protagonista – leviamo le bollette, resta ben poco. diciamo che il reddito se ne va per affitto e bollette, e per campare mi restano i 290 euro di pensione”.
E l’amministrazione comunale? “Ho fatto il solco fra casa mia e gli uffici preposti – racconta Aldo – ma non c’è modo, secondo i dettami di legge, di farmi avere quei due punti che potrebbero mettermi in condizioni di avere una soluzione abitativa popolare in tempi rapidi”.
Sembra strano: Aldo non può lavorare, è invalido, ha una situazione di salute che lo rende ad alto rischio di morte se dovesse affrontare la strada, è sotto sfratto, ha sviluppato una morosità incolpevole e ora non è più moroso. Allora?
Fra le varie complicanze, ce n’è anche un’altra che rende impossibile l’aggiunta di quel punto e mezzo, due che potrebbe risolvere la situazione di Aldo. Infatti, dal 2009 al 2013, per ragioni personali, il nostro protagonista interruppe la residenza a Firenze per spostarla in un’altra provincia della Toscana. In realtà, sia per un provvedimento giudiziario di quegli anni sia per la frequentazione quotidiana del sert di Santa Rosa, è assolutamente dimostrabile che la residenza reale continuava sempre a essere a Firenze. Ma questa vicenda rende irraggiungibili i due punti che il regolamento prevede siano assegnati a chi risiede ininterrottamente nel comune di Firenze da dieci anni. “I 57 anni precedenti non contano nulla, il fatto che io sia fiorentino e da sempre in città non serve”, sottolinea Aldo.
Dunque, malato, solo e a rischio strada: lui, per cui la strada sarebbe la morte. “Eppure, tutto ciò, pur doloroso, lo posso anche capire: ho buttato via la mia vita, capisco che le conseguenze siano terribili. Quello che davvero mi lascia senza fiato è l’indifferenza, il fatto che a nessuno interessi se un essere umano possa vivere o morire. E’ da questa indifferenza, da questa solitudine che non riesco a guarire”.
Sulla questione interviene Laura Grandi, segretaria regionale del Sunia, che si sta occupando di Aldo: “Mentre Aldo è colpito dall’indifferenza, io sono colpita dalla mancanza di buon senso: ci sono le leggi, ci sono i punteggi, ma il nostro iscritto ha tutti i requisiti per avere un alloggio, essendo un vero e proprio caso sociale, che puoi aiutare solamente dandogli un alloggio pubblico – dice Grandi – E vedere come il reddito di cittadinanza venga utilizzato quasi interamente per pagare l’affitto, fa gridare vendetta. I requisiti Aldo ce l’ha, il diritto alla casa uguale: cosa si aspetta? Che smetta di pagare e vada in mezzo alla strada, per accedere ad una struttura? Che tra l’altro per le sue gravi condizioni di salute, non può essere la soluzione ottimale. Da oggi c’è la nuova Commissione Erp e mi sembra che vi sia una attenzione maggiore al ‘versante’ sociale del bisogno abitativo (vedi accorpamento casa e sociale) : questo caso deve avere la giusta attenzione e il giusto riconoscimento, con un’assegnazione di casa popolare”.