di David Tammaro
Grosseto – Vivere la dimensione luce-forma, e il suo dialettico opposto, vuoto-scuro è l’insegnamento della scultura. Lo scultore demiurgo, Alberto Inglesi è uno dei rari esempi; è scultore che domina la materia, scultore demiurgo nel nome del precetto appena richiamato. Nel coraggio ogni giorno ingaggia la sfida della creazione.
Non la teme, fa parte della sua esigenza di esprimersi, e più è difficile più lo esalta. Il Segno, il Simbolo, il Gesto, il rapporto scenico tra personaggio e ambientazione. Policromaticità, polimatericità, larghi piani, sensuali carnali e luminosi, talvolta in marmo, compressi, racchiusi in rigide forme, volumi, geometriche, quasi sempre più scuri e in bronzo. Ampie figure lignee o bronzee dipinte o con distinte morsure. Mai perdere di vista il coraggio della pulizia, dell’eleganza, dell’essenzialità poetica della grande scultura, come del segno largo, del gesto largo aperto che dialetticamente pone in contatto diretto energia interna delle figure e spazio architettonico esterno.
Donne in cammino è ciclo d’importanti mostre itineranti e diffuse che impegna, in un canto corale, più luoghi urbani di un’intera città. La prima si è svolta recentemente a Siena dove le opere hanno abitato, vissuto, i più preziosi e frequentati, i più cari spazi cittadini e Palazzi con 52 sculture. Ora a Grosseto, e a breve Inglesi ripeterà il miracolo a Montalcino e in altri luoghi.
A Grosseto quindi, un evento significativo che pone arte e cittadino in un dialogo diretto, faccia a faccia, nella vita del quotidiano. Arte e quotidiano è un binomio che possiamo ritrovare solo nelle epoche premoderne. Nessuna TV, nessun cinema, il creato artistico diventa personaggio teatrale delle scene della nostra vita e ci parla direttamente, esprime insegnamenti e pone moniti, nessun filtro della tele-era mediale.
Questo dunque l’artista, questa la precisa scelta espositiva.
Un artista, l’artista demiurgo ispirato dalle stesse muse che animano lo spirito olistico dello Scultore Tardo-Gotico o Rinascimentale e al tempo stesso dall’animo dell’artista maledetto, severo con se stesso e col mondo, di fine otto inizio novecento: Modigliani. Per lui non esiste distinguo tra esterno e interno, spazio urbano, fuga, scorcio architettonico e luoghi dell’anima. Solare gioia ed emozione o umbratile dispiacere e dolore. Nessuna dimensione umana è esclusa. Scolpire la Pietà equivale a realizzare -succedendo a Raffaello – San Pietro o affrescare la Cappella Sistina.
Perdersi in un corpo di nudo femminile, di cariatide o tuffarsi negli occhi senza iride, addirittura cornea o senza sfondo, del volto di una donna. Di Modigliani Osvaldo Licini in uno scritto del 1917 che lo frequentava quotidianamente a Parigi: ”… entrava in una zona meravigliosa dove tutto era poesia assoluta, estasi, delirio. Solo con i suoi fantasmi e con se stesso entrava in uno stato di grazia e di felicità …..Egli ha dimostrato con la sua opera che, concentrando tutto sull’uomo, sull’espressione dell’uomo, del sentimento umano, e facendone il centro del mondo si poteva creare una grandissima arte di portata eterna ed universale”.
Picasso col gesso (1910) scrisse sulla porta di casa di Modigliani: “Qui è il luogo d’incontro dei poeti” . Non è un segreto che i migliori amici e sostenitori di Modigliani, perfino i suoi mercanti, furono poeti, e qualche musicista.
Sostengo da tempo che Alberto Inglesi – figlio d’arte del suo riconosciuto e amato Maestro Plinio Tammaro – è come Tammaro un modiglianista, un rappresentante del modiglianesimo.
Ovvero un raro artista che ha colto la lezione di Modigliani. Modigliani pur conoscendo ogni linguaggio artistico dell’inizio del novecento, ovvero ogni linguaggio artistico contemporaneo, non ne ha abbracciato uno, ma ha sviluppato un linguaggio più eterno e universale – originale che nasce e si sviluppa in lui, da componenti fondamentali e paritetiche: l’amore per i classici e la natura mediterranea del suo sguardo, l’amore per la poesia che determina sospensione e metafisica riflessione, l’amore per l’africanismo e il giapponismo che infonde sguardi innovativi su l’uomo. Tutti elementi universali ed eterni che si mescolano nel concepire un superamento dell’Accademia per forgiare con totale dedizione e inquietudine sperimentale un’arte nuova.
La scultura di Inglesi ha gli stessi elementi, in Ermafrodita (1989), in Mutazione (2001), in Oracolo (1999), i temi della fluidità dell’essere nella classicità come nella modernità, nella continuità ontologica, vuoi che Inglesi la sviluppi verticalmente o in movimento orizzontale o ancora in vortice ascensionale. Le sue sculture narrano di un mondo in continuo divenire carico di segni, simboli, forme classiche come i temi, eppure straordinariamente contemporanei e innovativi, in cui la creazione artistica sviluppa linee e volumi sinestetici, e sinergici con la storia, il messaggio, il simbolo dell’opera.
Si guarda con l’udito generato dalle forme in movimento, si ascolta con il profumo dell’atmosfera disperso negli spazi che relazionano le figure, la loro narrazione e gli elementi scenico-architettonici o paesaggistici (Ritorno dai campi – 1989) alcuni anche se solo accennati sul basamento.
L’osservatore cerca, indaga, segue indizi, scova volti (Mutazione) solo accennati o si lascia attrarre dai tratti forti di volti femminili che mostrano forza e mascolinità: labbra carnose nasi possenti, come i colli a ricordare afro nei tratti e nelle masse sferiche gonfie e ricce. La scultura vive della relazione tra sé e lo spazio esterno o tra sé e gli spazi interni, che il fruitore ricompone e reinventa per le duplicità e molteplicità dei possibili percorsi interpretativi. Mai totale chiarezza ma fascinoso mistero, mai singolarità, ma totale molteplicità fatta di un linguaggio naturalistico, il gusto del mistero che è sempre stato il tratto caratteristico del Gotico e del Rinascimento. Le porzioni di figura o dei particolari sui totali che hanno il sapore della sezione aurea, dei punti di vista prospettici, dei canoni armonici architettonici ad ispirare soggetti e insiemi. Inglesi imposta le strutture scultoree secondo linee portanti, nuclei espressivi nella dicotomia dialettica tra particolare e totale, senza mai perdere di vista l’occhio del fruitore, dello spettatore di un complesso scultoreo-teatrale.
All’amico Ghiglia scrive: “Cerco di formulare con la maggiore lucidità, le verità sull’arte e sulla vita che ho raccolto nelle bellezze di Roma e come me ne è balenato anche il collegamento intimo, cercherò di rivelarlo e di ricomporne la costruzione e quasi direi l’architettura metafisica, per crearne la mia verità, sulla vita, sulla bellezza e sull’arte “.
Modigliani animò con la sua poesia e l’essenza del suo vivere teatrale, il gesto comportamentale come linguaggio di vita, con il suo gesto alimentava il suo mito e quello dei suoi amici nella Ville Lumiere. Nelle descrizioni giunte a noi si legge che Modigliani è sempre accompagnato dai libri, ne ha nel suo studio o sottobraccio o che fanno capolino dalla tasca quando gira fra gli alberi di boulevard Montparnasse o Montmartre. Ma è soprattutto nella vita notturna che il suo gesto e il suo tratto pittorico unico per rapidità e freschezza accendeva la vita degli amici nei Café e Bistrot parigini. Un salto su un tavolo per declamare un verso poetico, un abbraccio con un amico, un tratto veloce per segnare un volume sul foglio. Modigliani è scultore perché gioca con lo spazio e il gesto, lo fa nella conduzione estrema della vita , nel segno pittorico.
Anche Inglesi conserva tutti i tratti di cui parliamo e uno fra tutti l’architettura metafisica del gesto – Largo gesto il titolo che è più presente nelle sue opere, attesa, presagio – senza privarlo della dinamica e del movimento, anzi esaltandolo come sforzo assoluto della tensione umana alla verità. Esplicitato, vuoi come braccio teso che esce dall’arco delle spalle verso lo spazio libero o verso una parete o una finestra o una porta o nella flessione delle ginocchia, una specie di raccoglimento afro in cui la persona assorbe energia dalla madre terra per poi forse esploderla nell’attimo successivo in un salto. Oppure come una tensione implicita perché interna ad una forma, in essa trattenuta come evidente denuncia di privazione della libertà, della libertà del gesto equiparato all’espressività, alla vita. In questo caso il gesto si coglie solo come deformazione della superficie che rappresenta il confine del volume di prigionia, ed è implicito scoppio dinamico trattenuto e violato – privato dell’atto nello spazio, seme in potenza di quanto non può essere.
Questa la lezione di Inglesi: vivere la scultura nello spazio urbano dove le vie e le piazze sono teatro delle vite umane, scene e quinte dell’esistenza. Ecco la sua verità, il valore di una nuova MOSTRA itinerante che diviene EVENTO URBANO, evento cittadino. Del resto l’uomo contemporaneo è prima di tutto cittadino delle proprie città, si identifica puntualmente e per lunghi periodi con le città stesse e il loro respirare il loro divenire.
La città è elemento pulsante del suo stesso vivere e respirare, il suo cuore pulsa al ritmo della vita cittadina.
La produzione artistica d’Inglesi Filosofo antico alla ricerca dell’Arché, del Principio da dove tutto si genera, Inglesi indica la luce e conosce l’equivalenza einsteiniana che la luce (energia) è materia , le forme architettoniche, i movimenti i traffici, gli odori, gli amori, le tragedie, le violazioni e le discriminazioni, le luci, le penombre e le ombre nell’invito di cogliere una inscindibile correlazione, un legame fatale fra donna (uomo) e città.
Le sculture sono disposte lungo un itinerario concertato tra Assessori e funzionari del Comune e l’Artista per dare un filo logico, fosse di partecipazione urbana delle sculture donne e uomini, cittadini che camminano che sono protagonisti del presente e della condizione del futuro. Gioie, terrori, paure, che si diffondono viralmente a chi le osserva e semplicemente passandoci accanto ne trasporta con sé molecole. Emozioni, grida denunce, come profumi che attirano sconvolgono e ci portiamo appresso, per vivere il gesto nella simbiosi urbana, nell’ empatia dei cuori cittadini, nella compagnia di momenti condivisi con i nostri e con gli altri. Forme accolte dal sistema fisico visivo per elaborarlo al livello cognitivo, diverse per ciascuno che le interpreta ma unite dalla sostanza umana, dal ritmo cardiaco dei quartieri, delle piazze e delle vie.
L’itinerario distribuito nel centro della Città di Grosseto. Come a Siena le sculture di Inglesi si fondono nel panorama urbano come se ci fossero sempre state, ricordo l’Arcangelo che fu messo in piazza Duomo a Siena che con le sue ali colorate in vetro, omaggio all’ultima invenzione del Maestro Plinio Tammaro ancora in vita (periodo 2005-2007), come magicamente s’inseriva nei bianchi e marmorei archi dei grandi portali e delle guglie gotiche della facciata della Fabbrica del Duomo senese.