Albertazzi: Shakespeare, Dante, la giovinezza

Pontedera – A chi gli domandava di esprimersi sulla propria veneranda età, rispondeva citando Picasso: «Per diventare giovani, veramente giovani, ci vogliono molti anni». Giorgio Albertazzi, “l’ultimo imperatore del nostro teatro”, scomparso a 92 anni, mentre si trovava in Maremma, nella tenuta di famiglia, giovane lo è stato sempre.

Fino all’ultimo. «La mia attenzione», mi ha raccontato una volta, durante un’intervista al telefono, con quella sua mitica voce autoritaria e dolce, «è fatta così: guarda avanti. Non penso altro che al futuro. Alle cose già fatte penso poco o nulla, forse è questo il segreto. Lo sa? In Italia, la mia carriera rappresenta un’eccezione. Un’ardita, e magica, disubbidienza alle leggi anagrafiche. Di protagonisti shakespeariani – ah sì, Shakesperare è, in assoluto, assieme a Dante, il “mio” autore – ne ho fatti almeno 15, in più di 65 anni di attività. Non c’è rimasto nessuno che possa dire altrettanto».

È vero, Maestro. Ora non c’è rimasto davvero nessuno. «E, parlando di teatro, Shakespeare è il mio Dante», continuò la sua voce al telefono. «Debuttai con un “Troilo e Cressida” andato in scena nel 1949. Mi vollero a Londra, nel 1964, anno in cui si festeggiavano i quattrocento anni dalla nascita del “Bardo”, per diventare Amleto». All’amato Shakespeare ha dedicato le sue ultime prove d’attore: “Il Mercante di Venezia” nel 2014, “La Tempesta” nel 2015. «Sì, forse è questo il mio segreto: mi interessa soprattutto il domani.

La recita che deve ancora incontrare i suoi spettatori, la pièce che attende l’apertura del sipario. Ogni volta è una prima volta. Il teatro è eros, è passione, è gioco. Sì, “gioco” è la parola. È come avere a che fare con una bella donna che, finalmente, sta per concedersi. Il brivido c’è, deve esserci. Fa parte, appunto, del gioco».
Aveva «un altro piccolo trucco»: «Aver trovato un forte e duraturo equilibrio tra arte e vita, la misteriosa alchimia che consente di “essere” un personaggio, anziché interpretarlo. In questo modo si vivono molteplici vite, si sperimentano multiformi esistenze. Per un curioso come me non poteva esserci niente di più attraente, di più irrinunciabile».

 

Foto: Giorgio Albertazzi a destra durante lo spettacolo su Borges del 2015

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