Firenze – Alberi. Abbattuti, ripiantati, manutenuti, senza manutenzioni. Alberi come abbellimento, barriere contro lo smog, alberi vecchi e pericolosi e giovani senza rischi, ma neppure senza influenze benefiche nell’ambiente. Oggi, a Palazzo Vecchio, si sono tenuti gli Stati generali del verde pubblico, nel Salone dei Cinquecento, convegno organizzato dal ‘Comitato per lo sviluppo del verde pubblico’ del Ministero dell’Ambiente, presieduto da Massimiliano Atelli, con l’assessora al verde pubblico Alessia Bettini e uno staff di prestigio, sul tema delle politiche del verde nelle città italiane. Ieri, al Teatro dell’Affratellamento in via Orsini, altro Convegno, organizzato da Italia Nostra e dal Ccta, acronimo che sta per Comitato Cittadino Tutela Alberi, dal titolo dal titolo “Per la difesa degli alberi della città”, con il presidente di Italia Nostra Leonardo Rombai e fior d’esperti e studiosi di giardini, verde pubblico, urbanizzazione, e operatori del verde. Due convegni, due visioni. Da un lato, prevale il concetto del “rischio”, dall’altro quello della conservazione-manutenzione.. Ricordando che un albero di cinquant’anni ha creato intorno a se’ un piccolo ecosistema che non sarà certo ricreato dal nuovo impianto, che solitamente riguarda una pianta molto giovane che abbisogna, per inserirsi nella nuova “dimora” di almeno due anni di manutenzione “dedicata”.
Eppure, le due posizioni potrebbero, almeno in teoria, non essere così lontane. Ad esempio, il principio di rischio, su cui si basa buona parte della politica degli abbattimenti comunale. Ebbene, come dice Luigi Sani, della Società Italiana di arboricoltura, la valutazione del rischio è cosa complessa, che non riguarda solo lo stato di salute dell’albero, o il suo “rischio” di crollo, ma anche la pericolosità “insita” ad esempio, nel luogo in cui si trova. Diverso è il bagolaro alle Cascine, in un luogo dove magari non passano le persone, o lo stesso albero, magari con lo stesso grado di “malattia” messo in un giardino pubblico sotto cui si recano le famiglie a fare un pic nic. Anche se, si oppone d’altra parte, se si accede al concetto di pericolosità, l’albero è in se’ pericoloso. Diventa a rischio rispetto non solo all’eventuale patologia, ma a questa “più” la dimora fisica, che vale anche la considerazione degli stress cui è sottoposto.
E allora? “Allora, andando al concreto – dice il professor Mario Bencivenni, storico, autore di importanti saggi sui giardini storici, fra gli organizzatori del convegno cittadino tenutosi ieri – quando a Firenze si abbatte, lo di fa sulla valutazione della VTA”, vale a dire di una certificazione specifica sulla salute degli alberi, la Visual Tree Assestment. Di cosa si tratta? E’ un metodo che si basa sulla identificazione degli eventuali sintomi esterni dell’albero, che dovrebbero indicare la presenza di anomalie rispetto al legno interno. Se vengono individuati dei sintomi di difetto, questi devono essere confermati da metodi di analisi approfonditi e devono poi essere dimensionati. Così, alberi sani vengono esaminati in modo non distruttivo, e solo se i sospetti vengono confermati si procede ad un’indagine più approfondita dell’albero. In Italia la metodologia VTA è liberamente praticabile non essendo normativamente riservata ad alcun ordine professionale, tuttavia richiedendo complesse conoscenze interpretative agronomiche, botaniche e forestali, può essere svolta solo da dottori agronomi, da dottori forestali, da periti agrari e da agrotecnici iscritti nei rispettivi albi professionali. La VTA produce schede, che vanno dalla A alla D. A stretto senso, solo gli alberi in quest’ultima fascia dovrebbero essere abbattuti. Ma la valutazione di cui parliamo non prende in esame il “rischio generale” vale a dire quella complessa situazione con molte variabili di cui si parlava poc’anzi. E soprattutto, ci sono le competenze e le forze per non abbattere ma curare un albero in fascia C? …
Tuttavia, il problema ha più facce. Ad esempio, se cambia la valutazione e dunque la decisione dell’abbattimento a secondo del “rischio” è anche vero che, se si volesse tenere fede, ad esempio per le alberature storiche e tenendo conto del valore dell’albero “antico”, del principio (essenziale per i giardini storici) della “conservazione”, si potrebbero anche utilizzare una serie di accorgimenti che vanno nella direzione di mantenere l’albero “ritto”. Cosa significa, lo ha spiegato Paolo Basetti, dipendente del Mibact, Musei degli Uffizi, che, fra gli altri incarichi, si occupa della gestione degli alberi del Giardino di Boboli, segnalando ad esempio l’utilizzo di una serie di strumentazioni per tenere in piedi un albero di grande importanza storica del Giardino. Modalità tuttavia che funzionano solo se l’albero non è poi abbandonato a se stesso, ma accuratamente seguito e monitorato. Ma per fare questo, ci vorrebbero almeno due cose; formazione e un ufficio dedicato.
Perché il problema è non solo di quantità, ma anche e forse soprattutto, di qualità. Ed ecco dove i due principi, quello di manutenzione e di eliminazione del rischio, entrambi importanti, rischiano di divergere. “Tra la primavera del 2017 e quella del 2018 – ha ricordato oggi l’assessore Bettini – saranno complessivamente 3mila le nuove piante messe a dimora nella nostra città. Siamo impegnati fin dall’inizio della legislatura a fare un lavoro importante di rinnovo e di messa in sicurezza delle alberature per ridurre il rischio. Proprio per questo stiamo investendo risorse notevoli attraverso un piano che è frutto di un lavoro di tre anni ed ha visto il coinvolgimento della facoltà di agraria dell’università di Firenze, del Cnr e di tutti i massimi esperti del settore. Stiamo rinnovando le alberature soprattutto dove c’è un rischio forte, ad esempio piazza Stazione e le arterie stradali, ma stiamo piantando come avevamo promesso nei mesi scorsi: siamo partiti con viale Corsica e proseguiremo, nei prossimi giorni, con viale Guidoni, viale Belfiore e piazza San Marco. Oggi – ha annunciato – sono cominciate al Parco delle Cascine le operazioni per mettere a dimora i 300 nuovi alberi previsti dal piano di rinnvo: bagolari, olmi e tigli, specie autoctone che abbiamo selezionato con i tecnici dell’amministrazione. Senza dimenticare le varie Feste dell’Albero che si sono svolte in questi giorni nei cinque quartieri: iniziative che hanno visto il coinvolgimento di circa 2000, tra alunni delle primarie e studenti delle secondarie di primo grado, e l’arrivo di 500 nuovi alberi che arricchiranno strade, piazze e giardini delle scuole”.
E dunque, il problema sembra risolto: si abbattono alberi, è vero, ma se ne piantano di più. E tuttavia, dice Bencivenni, “il problema si ripropone. Ed ecco il perché: resta quello della manutenzione”. Vale a dire, “mancano le forze, le competenze, una gestione unitaria del verde pubblico. Si passa attraverso l’esternalizzazione dei servizi del verde, magari attribuiti da appalti col massimo ribasso. E si badi, sono anch’io convinto che non si possa addossare tutto al Comune e che qualche esternalizzazione sia necessaria: ma la presenza del tecnico del verde pubblico, almeno deve esserci”. Il vero problema, dice Bencivenni, sono infatti non tanto le spese dell’acquisto degli alberi per le ripiantumazioni, bensì la messa a dimora. Che se fatta secondo i criteri adeguati, non solo prevede un lavoro accurato e dunque un certo impiego di tempo ( e di soldi) ma anche due anni di accompagnamento. E il prezzo, se non vengono messe in atto fin da subito queste “buone” azioni, verrà richiesto più tardi, con i tempi degli alberi: magari fra vent’anni. E sarà un prezzo alto, in termini di danni e di rischio. La ragione di fondo è questa, come sa qualsiasi giardiniere: nel verde la meccanizzazione non può tutto; resta sempre un margine di “artigianalità” manuale che non si può eliminare, pena la caduta rovinosa di alberi che, non avendo avuto impianti originari corretti, una volta adulti, stramazzano al suolo.
Il problema della manutenzione richiama alla mente la “rivoluzione” del verde che fu compiuta nel 1993, quando, con due successive delibere, il Comune smantellò l’antico Ufficio del verde e divise il suo patrimonio vegetale, affidandone una buona parte ai quartieri. Ma questa azione non fu seguita in modo tempestivo dall’attribuzione del personale, che fu molto lento. Tant’è vero che ancora oggi la media degli assistenti ambientali con qualifica di boscaioli è di tre a quartiere, che si occupano di circa 80mila piante. L’unico modo per gestire l’ingente patrimonio arboreo è il ricorso alle esternalizzazioni. Col risultato, dice Bencivenni, “che molti abbattimenti sono il risultato di una cattiva gestione della pianta”. Dunque, conclude lo storico,”intanto, saremmo ben lieti di vedere il Piano di cui parla l’assessore, anche per una questione di trasparenza prevista dalla stessa legge; poi, propongo il ritorno di un unico Ufficio, anche solo per dare continuità, omogeneità e controllo alle azioni sul patrimonio del verde pubblico”.
Foto: in copertina, il tavolo del convegno Gli stati generali del verde pubblico, nel Salone dei 500; interna, intervento e tavolo del convegno, al Teatro dell’Affratellamento, Per la difesa degli alberi della città.