Firenze – Un testo inedito con un regista che “ha vissuto sperimentando e finirà sperimentando”. Ci sono tutti gli ingredienti perché “ Prigionia di Alekos ” di scena al Teatro Niccolini di Firenze dal 10 al 18 febbraio diventi un evento teatrale di prima grandezza.
Il testo è opera di un autore milanese, Sergio Casesi, vincitore del Premio Pergola per la nuova drammaturgia. Ne è protagonista Alexandros “Alekos” Panagulis, che pagò con le sofferenze e la morte la sua strenua opposizione contro la dittatura dei colonnelli e i suoi complici nella Grecia degli anni 70. La sua storia è raccontata nel capolavoro di Oriana Fallaci “Un Uomo” , libro che ha contribuito a rendere Panagulis una figura simbolo della lotta per la libertà senza la quale non vale la pena vivere.
Nella sua pièce Casesi si concentra sui giorni nei quali, chiuso in una cella sotterranea, stretta e buia, Alekos fu sottoposto alle più atroci torture fisiche e morali perché rivelasse circostanze e complici del fallito attentato contro Georgios Papadopoulos che dal 1967 guidava la giunta dei golpisti. La capacità di resistere ai suoi aguzzini grazie alle grandi risorse del suo mondo interiore – la poesia, la scrittura, l’immaginazione – ne ha fatto un eroe del nostro tempo. Un “Prometeo”, come lo definisce il regista Giancarlo Cauteruccio, che da solo è riuscito a inceppare il sistema della dittatura e che ci dona il senso più profondo della libertà.
Panagulis è dunque un’icona per il mondo di oggi per il teatro e per la politica: per il teatro “come luogo della coscienza, della riflessione; come luogo della parola, del gesto, dell’incontro e della coscienza”, dice l’autore. Per la politica soprattutto “in questi giorni di rigurgiti fascisti, di violenza e di incomprensioni agghiaccianti, e la cultura è sempre più necessaria e utile per comprendere questi fenomeni che ci saltano addosso”, commenta Cauteruccio. Del resto si ricorda quest’anno il cinquantesimo anniversario della stagione del movimento e del rinnovamento, il ’68, quando Panagulis “diventa punto di riferimento di un a generazione di giovani che ha trasformato la società e ha aperto una nuova epoca”.
Per questo, come metafora del nostro tempo, il regista ha ideato una scena fatta di macerie, come in una moderna tragedia greca, “un luogo non meglio identificabile dove la dimensione fisica sconfina nel paesaggio dell’immaginazione, la stessa che il giovane Alekos utilizzò per sopportare e sopravvivere alle inconcepibili torture”. A realizzare la scenografia Cauteruccio ha chiamato l’architetto André Benaim, lo stesso che ha condotto il restauro del Niccolini, teatro di tradizione, con il quale si è proposto di sperimentare nuove possibilità espressive, recuperando l’aspetto unico del teatro “non riproducibile” che è la “sensorialità”.
Il protagonista del dramma è Fulvio Cauteruccio. Domenico Cucinotta interpreta invece Dalì/lo scarafaggio che, insieme a Roberto Visconti (un Tiresia metropolitano e un poetico Caronte), rappresentano i personaggi immaginati da Alekos per sfuggire alla solitudine, al dolore fisico, alla lacerante condizione psicologica in cui è costretto. Carlo Sciaccaluga è il torturatore spietato Hazizikis e Francesco Argirò, giovane diplomato alla Scuola per Attori Orazio Costa, è il debole medico costretto a curare le ferite inferte ad Alekos per temerlo in vita e rimetterlo nelle mani degli assassini. C’è un settimo personaggio Francesco Gesualdi, che suona la fisarmonica. Le musiche sono di Ivan Fedeli.
Ricapitolando. Un dramma inedito che corrisponde alla sensibilità dello spettatore , un regista-pittore sperimentatore e uno scenografo che conosce il Niccolini come le sue tasche ed è quindi in grado di andare incontro alle innovazioni linguistiche e tecnologiche del suo interlocutore. Ce n’è abbastanza per andare a vederlo.