Airbnb e mercato immobiliare. La domanda è : quanto e come impatta la presenza della piattaforme affitti brevi turistici sul mercato delle abitazioni nazionale? Una domanda che, ampiamente indagata per quanto riguarda la Toscana dalla ricerca dell’associazione Progetto Firenze, è stata un po’ meno considerata nel suo quadro d’insieme nazionale, nonostante la presenza di una robusta letteratura in merito. A fare due conti a livello italiano ci ha però pensato l’Irpet, che ha prodotto una nota di lavoro che mette n luce alcune particolarità ed evidenze circa le ricadute sul mercato immobiliare di questo particolare settore.
Al netto di decenni d allarmi inviati al governo centrale da movimenti, associazioni e sindacati ( in particolare il Sunia toscano con la guida di Laura Grandi) la situazione in particolare nelle città a forte attrattività turistica sia essa culturale e artistica che affaristica commerciale, sta facendo implodere sistemi economico sociali che non riescono più a riequilibrare la gran massa di turisti “che vogliono provare a fare i residenti”, massa che scarica la sua tremenda forza di consumo della città sul territorio. Anche accettando alcune delle teorie che sono corse in questi anni nelle varie analisi sul fenomeno dell’airbnb, e precisamente quelle che ritengono la turistificazione utile a rigenerare a livello urbano zone abbandonate e aree degradate, l’esperienza insegna ormai che il prezzo da pagare è non solo il dopaggio del mercato immobiliare, ma un generale rialzo del costo della vita che la ricerca di Progetto Firenze, per quanto riguarda il capoluogo toscano, ha chiamato “inflazione”, a cui ci permettiamo di aggiungere “turistica”. Del resto, l’impatto del denaro turistico nel circuito normale dei beni di prima necessità a cominciare dal cibo, incrementa i prezzi mettendo in difficoltà in primis non le fasce più fragili della popolazione (quelle lo sono già da tempo) ma quelle medio basse, ovvero i lavoratori. Più esattamente i “lavoratori poveri”, che con un stipendio basso sono tristemente davanti alla scelta di pagare ‘affitto o fare la spesa. Ma anche questo non basta più, visto il numero in crescita di affitti scaduti e non rinnovati, non per morosità, ma perché gli appartamenti finiscono sulle piattaforme. Più semplice, più redditizio, più sicuro.
A valle di questa lunga premessa, eccoci dunque alla ricerca Irpet. Intanto, oggetto dell’analisi sono dieci città, di dimensioni medio-grandi, attrattive di flussi turistici a motivazione culturale e distribuite su tutto il territorio nazionale: si tratta di Milano, Bergamo, Venezia e Bologna a Nord, Firenze e Roma al Centro, Bari, Lecce, Napoli e Palermo a Sud.
Necessarie due parole su Airbnb. Intanto, si tratta della piattaforma di intermediazione sul mercato delle locazioni a breve termine più importante del mondo. Nata a San Francisco nel 2008, partita dalle grandi città, si è propagata velocemente sia nei centri urbani minori si nelle periferie più attrattive. Le formule d’affitto sono due, singola stanza o appartamento. Il proprietario o gestore può essere sia un singolo oppure di una società. Va da sé che l’attività gestita da un singolo proprietario su una stanza di casa sua o quella gestita da una società su svariati appartamenti produce un impatto ben diverso sul tessuto socio economico cittadino e sul mercato immobiliare del luogo. Per quanto riguarda l’entità del fenomeno, nel 2021, come da ricerca Irpet, “le strutture Airbnb, circa 476mila, hanno attivato quasi mezzo milione di annunci e generato transazioni per un valore superiore a 2,9 miliardi di euro, a fronte di più di 22 milioni di notti riservate11. Il numero di strutture, inoltre, è stato tendenzialmente in aumento, se si escludono il 2020 e il 2021 in cui gli alloggi offerti decrescono a causa delle numerose misure restrittive negli spostamenti connesse alla crisi sanitaria: infatti, sulla base dei dati forniti da Airbnb, nel 2023 le abitazioni destinate ad affitti brevi erano oltre 600mila”. In Italia, ovviamente. Decrescita non condivisa però dalla domanda di posti letto, che ha ripreso ad aumentare immediatamente dopo l’emergenza
pandemica: nel 2021 emerge un forte incremento del numero di notti prenotate (+19%), che
“ha determinato, a sua volta, la crescita sia dei ricavi (+42% rispetto al 2020) che del tasso di occupazione”. Nel 2021 infine si rileva l’aumento più alto degli ultimi 5 anni del costo medio per notte, che arriva a 131 euro. Il Sole 24 ore pubblica intanto i dati relativi al 2018 per i posti letto offerti dalla piattaforma ogni 100 abitanti: il valore medio nazionale risulta pari a quasi due posti letto (1,98) ogni 100 residenti. Un delle regioni più interessate al fenomeno è la Toscana tutta intera, cui seguono alcune aree dell’arco subalpino e zone costiere.
Ancora numeri. Nelle città analizzate s trovano poco più di 108mila strutture destinate ad affitti brevi, pari a circa il 20% del totale nazionale. Per quanto riguarda la distribuzione città per città , ovviamente la dimensione e l’attrattività turistica sono variabili importanti. Roma e Milano guidano la classifica circa la numerosità delle strutture. Roma vede la presenza di 34. 063 strutture, per un prezzo medio a notte di 140 euro, un ricavo annuo medio per struttura di 39.343 euro, e un tasso di occupazione medio in percentuale sui 365 giorni dell’anno, pari all’81%. Segue Milano, con 24.346 strutture registrate, Firenze, con 12.246 strutture, quarta Napoli, con 10.760 strutture. Interessante anche la distribuzione, che nella città d’arte è addossata principalmente nel centro storico, mentre per città più grandi la cui attrattività è dovuta anche ad altre ragioni, ad esempio più commerciali o affaristiche, assistiamo a insediamenti anche in zone di snodo della mobilità o con presenza di più locali per il tempo libero. Una caratteristica ben esemplificata da Firenze (l’80% circa delle strutture è in area Unesco) e Milano, dove si assiste a una distribuzione più larga.
La ricerca di Irpet ha utilizzato un data base costruito con dati provenienti sostanzialmente da Inside Airbnb e Istat, oltre a Idealista per quanto riguarda i prezzi delle case. Utilizzando due modelli che permettono di misurare gli impatti degli affitti brevi sui valori immobiliari sia alla scala del quartiere che a quella urbana complessiva, i risultati delle stime non fanno che confermare ciò che era da attendersi, ovvero che l’impatto che il fenomeno degli affitti
brevi turistici ha sui prezzi di vendita delle abitazioni emergente dalla relazione tra numero di strutture offerte sulla piattaforma e valori immobiliari è “significativa e positiva”. Quindi, al crescere dell’una cresce anche l’altra. Inoltre, il modello rileva una relazione significativa e positiva anche con la diffusione di forme organizzative di matrice più imprenditoriale (incidenza dei multi-host), mentre il prezzo medio di pernottamento non risulta statisticamente significativo.
In sintesi, presi in considerazione i fattori principali che concorrono a determinare il prezzo delle abitazioni (nella fattispecie, la dimensione demografica della città, il livello
medio di reddito, il grado di attrazione di popolazione non residente, come studenti fuori sede e turisti, la particolare categoria di turisti attratti per motivi culturali o per motivi di affari) e aggiungendo la numerosità delle strutture offerte sulla piattaforma Airbnb, lo studio
dimostra che, anche nel caso italiano, vi è una relazione positiva e significativa tra la presenza di Airbnb e il prezzo delle abitazioni.
Ed ecco cosa significa: maggiore è l’offerta di alloggi destinati agli affitti a breve termine, più elevati saranno i prezzi delle abitazioni immesse nel mercato delle compravendite. Non solo. Il meccanismo è più evidente nei centri storici rispetto alle periferie, e, distinguendo per tipologia di vocazione turistica, l’impatto sui prezzi delle case è più pesante per i centri urbani che devono la loro attrattività a ragioni legate al business più che nei centri cittadini attrattivi per ragioni culturali e artistiche. Non indifferente è anche la collocazione geografica, per cui la presenza di Airbnb è più determinante sui valori immobiliari al Centro-Nord, dove, d’altro canto, sono maggiori le pressioni esistenti sui mercati immobiliari in zone più ricche, anche prescindendo dal turismo. Infine, ultimo aspetto trattato nella ricerca, la presenza di una offerta più organizzata in forma imprenditoriale, caratteristica desumibile dalla numerosità degli annunci riconducibili allo stesso soggetto (multi-host), produce un impatto più elevato sui prezzi delle abitazioni rispetto a una tipologia di gestione degli affitti brevi affidata al singolo host.
Tirando le fila, la presenza del tipo di ricettività denominato affitti turistici brevi sul territorio impatta significativamente sul costo delle abitazioni, scaricandosi in seno alla comunità residente con la rarefazione e il maggior costo degli immobili, tratto che esclude l’accesso al mercato immobiliare di intere fasce sociali, rendendo del tutto inagibile il diritto alla casa per molti cittadini. Da qui alla crescita di un forte motivo di conflitto fra popolazione residente e questo modello di turismo il passo è breve, come già illustrato dalla cronaca nazionale. Dunque, è necessario, lo dice l’Irpet a valle dello studio ma da tempo lo richiedono associazioni, sindacati, comitati e cittadini, trovare una regolamentazione del fenomeno, con norme che instaurino un equilibrio possibile fra le città e il turismo, sulla scorta delle grandi capitali estere, a partire da Parigi, Barcellona, Amsterdam, Berlino. Tentativo che è stato messo in atto anche a Firenze, dove tuttavia non sfugge che lo stop agli Airbnb nuovi nel centro Unesco rafforza la tendenza già in atto di diffusione sul resto della città delle strutture a regime affitto breve, in particolare lungo gli assi della tramvia. Tentativo peraltro messo a punto, nonostante le difficoltà giuridiche, dopo oltre dieci anni di politiche urbanistiche che si sono mosse in direzione contraria.