Firenze – Il fenomeno sotto osservazione è quello del caporalato agricolo, che anche in Toscana ha fatto la sua clamorosa comparsa in particolare nel civilissimo (e patria di eccellenze agricole sostenibili e bio) “Chianti shire”. Un fenomeno che testimonia l’attecchire di una delle situazioni più temute dalla Fondazione Antonino Caponnetto e dall’osservatorio antimafia, vale a dire quello sfilacciamento della legalità e soprattutto la sua accettazione culturale che è dato necessario anche se non obbligatorio per l’impiantarsi delle cosche nel corpo sociale. E in Toscana, come ha dato conto l’ultimo Report dell’associazione, è in rapido declino proprio quella consapevolezza della legalità che è uno dei muri più solidi all’insorgere delle piovre mafiose.
Il caporalato agricolo, con le sue braccia di schiavi “venduti” sotto l’implacabile potere del caporale che a sua volta risponde a organizzazioni spesso strutturate, è una delle spie che potrebbero testimoniare l’avanzamento delle agromafie sul territorio regionale. “Non si parla di certezze o di prove precise – spiega Salvatore Calleri, presidente della Fondazione – ma dell’emergere di una serie di concause che possono favorire e rivelare un interesse delle mafie agrarie nella regione”.
Innanzitutto, è necessario spiegare. Perché il termine stesso di “mafia agraria” sembra riportare alla mafia arcaica, quella dei campi e del bracciantato agricolo, quella dei latifondi meridionali e del controllo del territorio. Ebbene, se pure questo lato rimane, tuttavia il volto più rapace delle cosche ha, fra gli altri canali, più modernamente individuato (e non da ora) un altro succoso campo di profitto, vale a dire tutto il panorama dei contributi europei. Finanziamenti che, come dice Calleri, vengono ottenuti con relativa facilità e contribuiscono a rimpinguare un settore su cui di già le mafie fanno affari d’oro. Letteralmente, come i dati che provengono dalla Coldiretti mettono in evidenza: al 21 marzo scorso, l’associazione degli agricoltori denunciava: “ll volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno con la filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita che è divenuta una delle aree prioritarie di investimento della malavita”.
E la Toscana? “La Toscana, che ad ora non presenta secondo noi ancora un quadro “in mano” alle mafie agricole, presenta tuttavia un quadro con alcuni punti deboli che preoccupano. Al primo punto, la perdita della sua “diversità” – dice Calleri – che era quella, in gran parte culturale, capace di opporsi alle infiltrazioni mafiose. In secondo luogo, la Toscana è molto appetibile come sounding, in particolare all’estero. Insomma il prodotto made in Tuscany è molto “spendibile” e quindi interessante per le cosche. A questo si aggiunga che il fenomeno del caporalato può contribuire ad aprire la strada a forme di criminalità ancora peggiori. E’ un fertilizzante che contribuisce a far crescere l’humus su cui si potrebbe impiantare il passaggio; passaggio ancora “non provato”, ma senza dubbio il terreno sta diventando fecondo”.
Tutti fattori insomma che possono portare agli interessi sui terreni, secondo una logica ormai storica in particolare in Meridione. Ma non solo. Infatti, il “dominio agricolo” delle mafie è ad ampio raggio e si estrinseca su tutta la filiera, comprendendo i settori della contraffazione e adulterazione. Non solo: rimane ancora da esplorare tutto il settore del controllo dei mercati ortofrutticoli, là dove “si fa il prezzo”. Infatti, se l’attenzione è molto alta nei mercati di Vittoria, Pachino, Fondi, e anche per certi versi a Milano, si è ancora un po’ troppo “distratti” per quanto riguarda i mercati di Firenze, ad esempio, o Bologna. Ne è convinto Calleri: “Del resto – spiega – se abbiamo la possibilità da parte di operatori dell’ortofrutticolo di Firenze di chiedere aiuto per esigere un credito a componenti delle ‘ndrine calabresi, non si può pensare che la presenza delle cosche sia solo sporadica, ma che ci sia, sia ben conosciuta e praticata”.
In conclusione, il presidente della Fondazione Caponnetto lancia un monito piuttosto chiaro: “Non dico che i mercati ortofrutticoli o i terreni toscani siano già in mano alla criminalità organizzata, ma verifichiamolo. Iniziamo a vaccinarci: per una volta, facciamo la lotta del giorno prima e non quella, ormai tristemente conosciuta, del giorno dopo”.