Firenze – Il fenomeno è allarmante. Si tratta di una spirale evolutiva del riciclaggio classico, in cui capitali sporchi vengono “lavati” in economie pulite. Ebbene, l’evoluzione ha dato vita a un fenomeno speculare ed opposto, ma non per questo meno pericoloso per la tenuta dell’economia: il money dirtying, in cui sono i capitali puliti ad indirizzarsi verso l’economia sporca.
Questo è uno dei dati più significativi che emergono dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Ebbene, attraverso meccanismi di money dirtying almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale ovvero circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno. Alla base di questa nuova forma di inquinamento economico si pone sì la crisi, ma in particolare, fra i fattori scatenanti che elenca il Terzo Rapporto sulle Agromafie in corso a Roma, gli indiziati principali sono “le regole imposte da Basilea 2 e 3 che limitano fortemente l’erogazione del credito; l’incertezza e, spesso, la paura che spingono i privati a tenere immobilizzate presso le banche quote sempre più consistenti di risparmio sottratte, di fatto, all’investimento; la possibilità per le stesse banche di approvvigionarsi presso la Bce a tassi vicini allo zero, con la conseguenza che diminuisce sempre più l’interesse alla raccolta, che viene ormai remunerata in maniera simbolica” . Tutti ingredienti che si trasformano in vero e proprio “terreno di coltura” del money dirtying.
Di fatto, la situazione attuale sembrerebbe condurre molti fra i soggetti che dispongono di liquidità prodotta all’interno dei settori attivi nonostante la crisi, a perseguire “forme di investimento non ortodosso, con l’obiettivo del massimo vantaggio possibile affidandosi a soggetti borderline o ad organizzazioni in grado di operare sul territorio nazionale e all’estero in condizioni di relativa sicurezza”. Fra tutti i settori, quello agroalimentare, che ha dimostrato in questi anni non solo di poter resistere alla crisi ma di poter crescere e rafforzarsi anche in un quadro congiunturale complessivamente difficile, è diventato l’investimento “principe” per questi soggetti.
Il meccanismo per cui organizzazioni criminali sarebbero ben contente di accogliere, loro che hanno illimitate disponibilità di soldi, risorse provenienti da soggetti “puliti”, potrebbe apparire illogico. E invece no, tutt’altro, spiega il Rapporto, perché questo tipo di operazione consente a loro di ricavare vantaggi molto superiori rispetto a quelli “classici” di semplice investimento di proventi nati da attività delittuose. In primis, si pone l’aspetto “relazionale”: consiste, spiegano gli attori del rappporto agromafie 2015, “nella possibilità di entrare in contatto con quello che, parafrasando la recente inchiesta che ha riguardato la Capitale, potremmo definire “il mondo di sopra”, cioè imprenditori rispettabili, uomini d’affari, esponenti della politica e del mondo istituzionale centrale e locale, operatori del sistema creditizio. Insomma, la possibilità di entrare in contatto e frequentare salotti e ambienti più o meno buoni”. A questo, si somma il cosiddetto criterio “estetico”, vale a dire, la commistione fra “moneta sporca” e moneta pulita” che ibrida il tutto e “nasconde” il lezzo della moneta “cattiva”. “Le due monete finiscono per confondersi e ibridarsi, rendendo sempre più sfumati ed incerti, fino a cancellarli, i confini tra l’economia sana e quella malata – spiegano Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità agroalimentare – l’operatore al servizio delle consorterie mafiose ne ricava, almeno sul piano esteriore, la rispettabilità e la credibilità necessarie per poter operare in taluni, qualificati ambienti economici e sociali”.
Per quanto riguarda il terzo beneficio per le attività mafiose, la natura è “strumentale”: di fatto, con il riconoscimento di un ruolo “utile” (garantire guadagni e protezione) si stabilisce di fatto un patto di complicità “con operatori rispettabili e con aziende e società anche rinomate”.
A livello sociale, oltre che economico, il guasto è di proporzioni apocalittiche: una volta abbattuto il muro di separazione tra i due mondi, niente impedisce di sviluppare nuove iniziative di interesse comune, nuovi business. Tutto questo continua “finché l’uomo d’affari, l’imprenditore che ha cercato o accettato il contatto e ha affidato ad organizzazioni illegali o mafiose propri capitali, diventa esso stesso oggetto e soggetto del riciclaggio, e – da finanziatore – complice. Allora, il processo di infezione – concludono Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità agroalimentare – diventa irreversibile”.