L’Agenzia delle Entrate aveva chiesto a due società “reggiane’ ben 50 milioni di euro con due diversi avvisi di accertamento (da 41 e 8 milioni): ma secondo una sentenza della commissione tributaria provinciale, la maxi evasione fiscale non c’è stata. E all’erario non finirà nemmeno un euro, a meno che non ci sia un ricorso in secondo grado da parte dell’Agenzia delle Entrate. Le due società si chiamano Lupaf Holding S.A. e Sea Star Participation Sarl, e secondo l’Agenzia delle Entrate hanno sede in via Agosti 27. La sede sociale (siege social, in francese) della Lupaf Holding si trova in realtà in Rue Beaumont 17, Lussemburgo. Presidente del consiglio di amministrazione è l’imprenditore Luciano Fantuzzi; altri amministratori sono i signori Alexis De Bernardi e Robert Reggiori. Sea Star Participation è una società oggi estinta, nata nel maggio 2001 da una scissione della Fantuzzi Sa con un capitale di 35 miliardi di lire (così risulta dai registri lussemburghesi, anche se l’euro era stato introdotto già due anni prima).
Agenzia delle Entrate ha inviato alle due società un paio di avvisi di accertamento con accuse pesanti: la società ricorrente sarebbe una società esterovestita “in quanto, pur avendo la sede legale nel granducato del Lussemburgo sarebbe stata colà collocata al fine di conseguire, unicamente, un vantaggio fiscale altrimenti non godibile laddove essa avesse (…) avuto la diversa residenza italiana”. Viene contestata l’ipotesi che la residenza lussemburghese sia soltanto “una sorta di schermo fiscale utile a consentire l’illecito profitto di mitigare – ovvero neutralizzare – la più consistente pressione fiscale (Ires Irap) vigente in Italia, mentre, in realtà, la vera residenza fiscale sarebbe da collocarsi in Italia. Secondo l’Agenzia delle entrate, la società “è amministrata da soggetti residenti in Italia”; insomma il “place of effective management” della ricorrente sarebbe da collocarsi in Italia con sua conseguente residenza domestica ed imponibilità nello stato del reddito accertato, per imputabilità di una plusvalenza realizzata in sede di liquidazione della controllata ‘Sea Star participation sarl’. “Per i medesimi motivi – si legge nelle carte – anche questa società, avente sede legale nel Granducato del Lussemburgo, sarebbe da considerare esterovestita”.
Secondo il fisco italiano ci troviamo sostanzialmente davanti ad un caso di evasione fiscale attraverso un trasferimento fittizio di sede all’estero. Ma queste accuse cozzano contro la legislazione e le sentenze. In particolare una sentenze che ha assolto da accuse piuttosto pesanti gli stilisti Dolce e Gabbana. Il succo di questa sentenza, la 43809/15, è stato sintetizzato con efficacia dal sito ‘iusletter’: ‘Per l’esterovestizione conta l’esistenza di una attività stabile all’estero, sono irrilevanti gli impulsi volitivi che arrivano dall’Italia se la controllata estera svolge effettivamente la propria attività’.
Più in dettaglio, come si legge nella sentenza: “l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni; il punto infatti non è questo ma verificare se a tale ufficio corrisponde una costruzione di puro artificio volto a lucrare benefici fiscali oppure no”.
Secondo i giudici della commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, “gli elementi indiziari in base ai quali l’agenzia assume che il centro effettivo di direzione e di svolgimento dell’attività della ricorrente non sarebbe da collocare nel Granducato del Lussemburgo ma in Italia, sono del tutto carenti di forza probatoria. In particolare non è stato provato a sufficienza che la gestione delle due società sarebbe in capo non tanto agli amministratori di diritto ma a soggetti residenti in Italia. Mail e testimonianze di un parallelo procedimento penale (archiviato) non dimostrano le accuse dell’agenzia delle entrate. Il fatto che lo stesso Luciano Fantuzzi partecipasse ai consigli di amministrazione della società in Lussemburgo, secondo i giudici dimostra che “colà era dunque il place of effective management” e che dunque “colà andava collocato il domicilio fiscale”. E quindi, in conclusione, “è infondata l’assunzione che dell’agenzia che la ricorrente fosse residente in Italia”.
Fin qui la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, che applica le leggi vigenti; il tutto in attesa di un eventuale ricorso dell’Agenzia.