Agricoltura e finanza, il ritorno del latifondo

Il meccanismo che sgancia il prezzo dei beni dal mercato espelle i contadini

Il problema della finanziarizzazione dell’agricoltura, in particolare sotto il profilo della determinazione dei prezzi, in questo momento sta travolgendo la filiera, sottraendo reddito ai contadini, in particolare i medio piccoli, e sta dando una scudisciata alle pretese di strutturare un’agricoltura sostenibile, sana e rispettosa delle dinamiche sociali. Di questo passo, come spiega Alessandro Volpi, economista, docente all’Università di Pisa, il rischio è che nei fatti i produttori vengano estromessi dalla filiera a vantaggio di un’economia agricola dominata da “scommettitori” che utilizzano strumenti finanziari, in particolare i derivati, per influenzare la determinazione dei prezzi agricoli slegandoli completamente dal contesto reale. Sul punto abbiamo raggiunto il professor Volpi, chiedendo di spiegarci le dinamiche che sono ormai dominanti nel settore.

Come funzionano le dinamiche che conducono alla separazione fra prezzi reali e prezzi finanziari?

“Il meccanismo che produce la separazione fra la quantità di scambi reali (ad esempio, quanti cereali vengono venduti e comprati in giro per il mondo) dalla dinamica dei loro prezzi, avviene attraverso un processo che si può dire di finanziarizzazione, si può semplificare prendendo ad esempio un venditore e un compratore di cereali.  Su ogni contratto che viene stipulato fra i due, che ha una sua determinata  scadenza, poniamo a tre mesi, per cui quel quantitativo sarà consegnato da qui a tre mesi, si stabilisce un prezzo, definito da condizioni reali: in quanto produttore di grano, stabilisco di vendere a un compratore di grano una determinata quantità a un prezzo, che ipotizziamo pari a 100,  determinato da varie dinamiche , per esempio dalla quantità di grano disponibile, dalla domanda, ecc.

Su quel contratto, che è il contratto reale, partono immediatamente delle scommesse, che sono strumenti finanziari, che si chiamano derivati perché derivano il loro valore dal contratto originario. Gli scommettitori che usano i derivati, stabiliscono che per una serie di ragioni, il prezzo pattuito da qui a tre mesi non sarà di 100, ma di 120. Questo perché ci si immagina che da qui a tre mesi, possano intervenire una serie di elementi che  oggi magari sono solo accennati e che domani si materializzeranno. Il meccanismo è stato evidentissimo di fronte alla guerra in Ucraina: a fronte dell’ipotesi che la guerra in Ucraina determinasse una riduzione significativa della quantità di grano disponibile, si è determinata una scommessa al rialzo. Questa scommessa al rialzo è stata decisamente più alta di quanto poi si è rivelata essere l’effettiva diminuzione delle forniture di grano per effetto del blocco del Mar Nero. Ed ecco cosa è successo: su un contratto originario che stabiliva un prezzo pari a 100 di cereali, sono partite una serie di scommesse che immaginavano che la guerra prossima avrebbe determinato una drammatica riduzione dell’offerta, e quindi in virtù di questo, le scommesse sono partite al rialzo. Naturalmente, nel corso di questi tre mesi, le scommesse sono cresciute sensibilmente e tutti coloro che hanno scommesso al rialzo hanno fondamentalmente vinto la loro scommessa, perché le scommesse sono ulteriormente salite in valore nel corso di questo arco di tempo, e questo ha fatto sì che alla fine di quei tre mesi, il prezzo fosse arrivato da 100 (prezzo reale) a 180-190”.

Come influisce questo sul mercato reale?

Dopo tre mesi, il successivo quantitativo di grano reale che veniva venduto ,ancora un volta determinato dalla domanda e offerta reale, che nel frattempo nonostante l’instabilità e la crisi bellica, non era venuto meno in maniera così significativa da giustificare un aumento di prezzo di quel tipo, il prezzo del successivo quantitativo di grano è stato determinato non sulla condizione che in quel momento esisteva in termini reali, ma sul prezzo di 180. Vale a dire, 180 è diventato il prezzo, a quel punto non si è guardato più alle condizioni reali del mercato ma il prezzo del successivo contratto scambiato fra un compratore e un venditore reale è partito da 180. E’ evidente che da un lato c’è stata una dinamica di scommesse operate attraverso gli strumenti finanziari, fatte da soggetti che non avevano il contratto, ma scommettevano sul contratto reale, dall’altro l’esito di queste scommesse ha prodotto come effetto finale una determinazione del prezzo, anche del bene reale, che è diventato più alto. In questo modo funzionano gli strumenti.   La stessa cosa accade paradossalmente anche quando si scommette al ribasso. La stessa cosa sta accadendo in questo momento. Se la scommessa è invece che il quantitativo di grano disponibile sarà superiore da qui a tre mesi rispetto a quello disponibile ora, si scommette al ribasso. Le scommesse sono lucrose nel momento in cui si individua la scommessa. Se fra tre mesi ciò che oggi è venduto a 100 viene, per effetto delle scommesse, quotato a 70, la successiva partita verrà venduta a 70. A quel punto è chiaro che per il produttore, se nell’un caso c’era un beneficio, nell’altro6 c’è un danno evidente, perché il produttore si trova a vendere sottocosto”.

Ma non c’è nessun tipo di controllo su questo meccanismo?

“No, queste cose sono legittime. Il vero problema è nato quando si è stabilito che questi strumenti, che sono appunto gli strumenti della finanza derivata, sono creabili, costruibili, vendibili, anche da soggetti che non c’entrano nulla con il processo produttivo. Mi spiego meglio. Fino a grosso modo inizi del nuovo millennio, intorno al 1999 e 2000, gli strumenti derivati erano possibili solo per i soggetti che erano interessati alle operazioni di scambio. Per utilizzare il solito esempio: il produttore di grano vende a un compratore con un contratto reale, ma, siccome è probabile che da qui a tre mesi si verifichi qualche oscillazione, magari sulla valuta, si poteva fare una sorta di assicurazione, che è lo strumento derivato appunto, che era un’assicurazione che serviva a coprire il soggetto che faceva il contratto, dal rischio di oscillazione. Questo meccanismo faceva sì che lo strumento derivato non fosse una scommessa, era una garanzia per il soggetto adempiente. Se invece si crea una situazione come quella che è stata possibile dopo il 2000, per cui il contratto di assicurazione può essere fatto anche da chi non ha il bene, e quindi colui che non ha il bene fa una scommessa  sull’andamento del prezzo, è chiaro che l’andamento del prezzo si sgancia dal contratto reale, e diventa un gioco speculativo”.

Ma com’è possibile che si perda ogni aggancio al mercato reale?

“Questo succede perché in finanza si avvera ciò che non avviene nella realtà. Un esempio: posso fare l’assicurazione su un’automobile se sono proprietario dell’automobile, perché nel caso in cui facessi un incidente, godo della copertura. Questa era la finanza fino al 2000. Ma se invece dico che posso fare un’assicurazione sull’automobile di proprietà di un altro e scommetto con guadagno che l’altro possa fare un incidente, è chiaro che il mondo cambia. Ciò che è successo nella finanza rispecchia questo meccanismo, vale a dire consentire di creare scommesse con questi strumenti derivati, anche a soggetti che non disponevano della proprietà del bene. Ciò nel tempo ha determinato questa totale volatilità dei prezzi e ha messo i produttori agricoli in condizioni di estrema difficoltà, perché l’imprenditore produttore agricolo, in particolare il piccolo, da questo punto di vista ha un duplice problema: da un lato, dei prezzi dei propri prodotti che in realtà vengono determinati su scala finanziaria e quindi possono oscillare al rialzo o al ribasso indipendentemente dalle condizioni oggettive, e questo determina una gran mole di incertezza;  ma non solo, quell’imprenditore agricolo, è costretto a fare i conti con tutta una serie di costi, uno su tutti l’energia, che variano a seconda di come variano i meccanismi speculativi. Ciò che è valido per il grano è valido anche per l’energia, petrolio, gas. Se mi serve energia, per esempio benzina o gasolio per i mezzi agricoli, e il prezzo si impenna per effetto di operazioni speculative e come produttore agricolo non ho la capacità di incidere fino in fondo sul livello del mio prezzo, che può salire o crollare rapidamente, al tempo stesso devo fare i conti con una filiera di costi che come successo nel corso degli ultimi due anni e sta ancora succedendo, magari si impennano per effetto di questa natura speculativa. Allora, la mia capacità di reggere come produttore agricolo è messa seriamente a repentaglio. Le imprese agricole hanno pagato bollette energetiche altissime per effetto della speculazione, hanno potuto contare su prezzi remunerativi per effetto della speculazione, quando la speculazione ha cominciato a scommettere al ribasso è chiaro che sono entrate in profonda difficoltà”.

Una conseguenza di quanto dice, è il fatto che, se i grandi scommettitori raggiungono un accordo su come devono essere indirizzati i prezzi, le scommesse si autoavverano. E’ corretto?

“E’ così, e aggiungo un elemento a quanto dice, che in parte è necessariamente implicato: la determinazione dei prezzi agricoli avviene attraverso delle borse, tali a tutti gli effetti, le più importanti delle quali si trovano in Europa Parigi e Londra, Chicago negli Usa. Si tratta di borse in cui si determinano i prezzi, e in cui sono presenti non solo produttori e compratori, anzi, per due terzi sono rapresentati i soggetti finanziari, grandi fondi finanziari, banche, che sono quelli che possono agire nella determinazione del prezzo. Dal momento che in una di quelle borse viene sottoscritto un primo contratto che è il contratto originario fra compratore e venditore, nella borsa partono tutte le scommesse, per la determinazione del prezzo, scatenate da tutti quei soggetti che in realtà in quella borsa non ci dovrebbero stare. La normativa ha consentito a questi soggetti non solo di essere presnti, ma anche di essere assolutamente determinanti, e quindi anche da questo punto di vista, la loro capacità di condizionare eventi reali è molto più forte di quella che hanno i produttori in quanto tali”.

Ciò significa che si potrebbe anche giungere a una completa estromissione dal mercato dei produttori piccoli o medi, che sono comunque ininfluenti sulla determinazione dei prezzi e quindi del valore economico del loro lavoro?

“Certo. Si tenga conto del fatto che il processo di questa spinta di concentrazione è fortissimo, perché i soggetti che operano nelle grandi borse merci dei beni  agricoli e in generale delle commodities, sono in genere grandi fondi e grandi banche, che poi sono gli azionisti di riferimento dei tre , quattro grandi gruppi che gestiscono e distribuiscono, per esempio, i cereali nel mondo. La distribuzione dei cereali e delle sementi, sono nelle mani di 3-4 grandi società che a loro volta sono nelle mani di quei grandi fondi che decidono la determinazione dei prezzi. La filiera è chiarissima: C’è una concentrazione di potere di natura finanziaria, che si traduce nell’azionariato dei grandi gruppi che sono i grandi gruppi della produzione cerealicola e poi della grande distribuzione, dal momento che le catene della grande distribuzione e anche della grande distribuzione alimentare, sono di proprietà degli stessi azionisti che sono dentro le grandi società di produzione dei grani, di quelle che gestiscono la vendita delle sementi, quindi è del tutto chiaro che i piccoli produttori da questo punto di vista hanno una capacità di determinazione del loro futuro che è veramente ridotta al lumicino”.

E per quanto riguarda la cosiddetta agricoltura d’eccellenza, sostenibile, biologica, anch’essa cade sotto questo meccanismo?

“Secondo me c’è un tentativo di resistere che è obiettivamente molto difficile. In questo momento stiamo assistendo, in Italia per esempio, alla progressiva riduzione del numero dei produttori agricoli; erano un milione e un seicento, ora siamo a meno di un milione e trecento, e si tratta di imprese molto molto piccole, dove il 98% di questi produttori sono imprese che hanno meno di 15 dipendenti. Queste imprese faticano a reggere il passo della finanziarizzazione dei prezzi, sia per quanto riguarda le loro materie prime, sia per quanto riguarda le sementi, sia per quanto riguarda l’energia. Quindi, là dove è possibile, è necessario fare rete, accorparsi, per reggere meglio, perché bisogna anche tener conto che c’è anche tutto un altro problema che è il credito agrario. Anche in questo caso, i colossi del credito agrario, partecipati dai grandi fondi, fanno molte resistenze a concedere credito alle microaziende, che quindi cercano di resistere con una diversificazione della loro produzione, puntando sul biologico,  però è chiaro che hanno di fronte un modo di funzionamento del mercato che per loro è durissimo. Tant’è vero che i dati fanno emergere che in Italia sta tornando il latifondo, cioè arrivano dei compratori che comprano parti intere di territorio. Al sud, una parte dei terreni che vengono comprati da questi piccoli produttori che non stanno più sul mercato, diventano preda in alcuni casi di società molti grandi, ma in alcuni casi anche da società che hanno infiltrazioni di stampo mafioso”.

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