Agricoltura, antica risorsa del futuro

 Tecnologia, innovazione e apertura mentale riportano il contadino al centro dello sviluppo. La crisi economica impazza nel mondo, in particolare nel mondo occidentale, divorando posti di lavoro, aspettative, futuro. Siamo al punto di non ritorno di sfruttamento del pianeta. Ma proprio dal settore che pare più gravemente colpito riparte la strada del futuro. Il mondo potrà essere salvato dall’agricoltura; il contadino torna a essere, come è stato nel passato, l’attore principale di una rivoluzione pacifica, la rivoluzione verde, che potrà ridare ragionevoli aspettative di prosperità a una società che la crisi ha drammaticamente messo a nudo nelle sue debolezze strutturali.

“Non è così semplice – fa notare Beppe Croce, responsabile del settore agricoltura di Legambiente Toscana – tuttavia non mi sembra che ci siano altre alternative. L’agricoltura può fornire tre enormi soluzioni: energie, materie prime, lavoro. Inoltre, accanto all’ovvio e tradizionale ruolo di fornitrice di cibo e presidio del territorio, l’agricoltura può svolgere l’importantissimo compito di “sequestatrice” del carbonio, limitandone la dispersione nell’aria con tutti i benefici che ne conseguono”.

Naturalmente, lo sforzo richiesto agli attori principali e alla stessa attività agricola è quello di diventare davvero “futuro”. Ciò significa che bisogna cominciare a pensare in maniera attenta alle tecnologie innovative messe a punto negli ultimi anni che sfruttano il concetto di sostenibilità per giungere a risultati ottimi a livello economico, ambientale e di trasformazione sociale.

“Procedendo con ordine – continua Croce – nel settore energetico le biomasse possono produrre calore e carburanti in modo sostenibile per l’ambiente. Al momento attuale, il limite maggiore è la quantità di terra “rubata” alle colture alimentari dalla necessità di produrre enormi quantitativi di energia cui corrispondono ingenti quantitativi di materiale naturale: mi riferisco, per esempio, alle colture di mais e cereali. Ma sono già presenti i cosidetti carburanti di seconda generazione, ovvero quei carburanti ricavati dai residui ligneo-cellulosi agro-forestali. Una realtà di cui ci sono già esempi in Italia, per esempio nel vercellese, dove esiste un impianto pilota di questo tipo.
Per quanto riguarda le materie prime, le attività agricole sono un vero e proprio mercato naturale: i materiali sfruttabili spaziano dal campo delle bioplastiche, alle fibre da impiegarsi nell’industria dell’auto e nella bioedilizia, ai coloranti naturali, agli oli lubrificanti di origine vegetale, infinitamente meno tossici rispetto a quelli tradizionali. Le molecole di base trovano poi infiniti altri usi, persino per quanto riguarda le plastiche tradizionali, che diventano facilmente riciclabili.
Vorrei aggiungere una riflessione: ciò di cui parlo è un ruolo che l’agricoltura ha sempre svolto, tranne per il breve periodo degli ultimi centocinquant’anni”.

Dunque, un vero e proprio giro di boa che consente all’agricoltura di riconquistare il ruolo fondamentale nelle attività umane che ha sempre svolto, a un patto: che l’innovazione e il mutamento di mentalità accompagnino gli agricoltori verso la nuova frontiera.

“Col nuovo sviluppo delle attività agricole cresce ovviamente la possibilità di nuovo reddito se si mantiene chiaro un principio: il contadino muta faccia, cambia ruolo e accanto all’attività di produzione di materia grezza accosta le attività di trasformazione in un mix che gli consenta di fornire per esempio un servizio energetico in aggiunta, costruendo una rete di piccoli impianti sul territorio”.

Un ruolo produttivo fondamentale dunque, che costruisce a cascata altro lavoro, ad esempio per la costruzione degli impianti, per lo stimolo alla ricerca, ma anche per la manodopera di nuova formazione per l’uso dei materiali naturali sia nel manifatturiero che nell’industria.

Infine, il fondamentale ruolo dell’agricoltura si rivela anche in quello che viene chiamato il “sequestro” del carbonio.

“E’ una pratica che permette insieme di recuperare suoli esausti da decenni di agricoltura intensiva e di limitare la dispersione del carbonio in atmosfera – conclude Croce – si tratta della tecnica del sovescio di alcune piante oleaginose che reimmettono nel terreno fino a 4-5 tonnellate di carbonio per ogni ettaro”.

Ovviamente, il sovescio (è quella pratica miglioratrice della fertilità del terreno per cui una coltura viene seminata per poi essere interrata una volta che ha raggiunto un determinato stadio di sviluppo) è comunque un’ottima pratica, ma nel caso specifico il carbonio viene “catturato” nel terreno e non si libera nell’atmosfera. Si ricordi che il carbonio liberato nell’aria è uno dei maggiori imputati dei cambiamenti climatici.
 

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