Agenda 2030: Italia in grave ritardo. Pil a +2,2% se raggiunge gli obiettivi

Secondo il Report dell’Asvis la Penisola appare “incerta e contraddittoria”

Un’Italia che centrasse gli obiettivi di Agenda 2030 in chiave di sviluppo sostenibile farebbe registrare un aumento del 2,2% del Prodotto Interno Lordo. Ma la montagna da scalare, al momento appare altissima: lontanissima l’attuazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals SDGs) definiti dall’Onu per puntare ad un mondo migliore, più equo e più pulito, che tenga conto in maniera equilibrata delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale, ecologica.

Di fronte al conto alla rovescia ormai partito, i sei anni che dividono l’Italia dalla scadenza del 2030 appaiono densi di insidie e caratterizzati dalla necessità di una affannosa rimonta. Infatti, secondo il Report di primavera 2024 dell’Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) “l’Italia appare incerta e contraddittoria in termini di politiche energetiche, climatiche, sociali e istituzionali, nonostante gli impegni assunti a settembre 2023 in occasione del Summit ONU sull’attuazione dell’Agenda 2030, a dicembre 2023 in occasione della COP28 e nel corso del recente G7-ambiente a presidenza italiana”.

I 17 obiettivi, tra l’altro, sono tutti collegati, in una sorta di ideale link universale che riduca inquinamento, diseguaglianze, povertà e fame. Garantire un’istruzione di qualità, equa e inclusiva (Goal 4) vuol dire anche offrire pari opportunità a donne e uomini (Goal 5); per assicurare salute e benessere (Goal 3), occorre vivere in un Pianeta sano (Goal 6, 13, 14 e 15); un lavoro dignitoso per tutti (Goal 8) richiede l’eliminazione delle disuguaglianze (Goal 10).

L’interconnessione è talmente evidente che i ritardi generalizzati del nostro Paese indicano un’Italia che sta arretrando nelle condizioni complessive di benessere sociale. Il Report dell’Asvis propone infatti un raffronto tra gli standard raggiunti in ogni obiettivo dal 2010 e oggi. Il quadro è preoccupante: “Si evidenziano peggioramenti rispetto al 2010 per la povertà (Goal 1), i sistemi idrici e igienico-sanitari (Goal 6), la qualità degli ecosistemi terrestri e marini (Goal 14 e 15), la  governance (Goal 16) e la partnership (Goal 17); una sostanziale stabilità per gli aspetti legati al cibo (Goal 2), alle disuguaglianze (Goal 10) e alle città sostenibili (Goal 11); miglioramenti molto contenuti (inferiori al 10%) per sei Obiettivi (istruzione, parità di genere, energia rinnovabile, lavoro dignitoso, innovazione e infrastrutture, lotta al cambiamento climatico) e aumenti di poco superiori per due (salute ed economia circolare). In termini di disuguaglianze territoriali, sui 14 Goal per cui sono disponibili dati regionali solo per due (10 e 16) si evidenzia una loro riduzione, per tre (2, 9 e 12) una stabilità e per i restanti nove un aumento, in contraddizione con il principio chiave dell’Agenda 2030 di “non lasciare nessuno indietro”.

È dunque decisamente negativo Il giudizio dell’Asvis in merito alle modifiche del quadro legislativo nazionale e ai finanziamenti aggiuntivi orientati al raggiungimento degli SDGs che, secondo il Report “appaiono decisamente timidi e inadeguati per invertire le tendenze negative che, come già messo in luce dal Rapporto ASviS di ottobre 2023, si riscontrano per la gran parte degli SDGs”. Il quadro italiano appare, tra l’altro, in controtendenza rispetto alla nuova legislazione europea: l’UE ha infatti portato avanti un programma di iniziative legislative riferite esplicitamente all’attuazione dell’Agenda 2030 senza precedenti per numero e contenuti.

Ma il Report di Primavera non si limita ad una bocciatura pur analitica e scientificamente suffragata. Guarda in prospettiva e, in collaborazione con il centro di ricerca internazionale Oxford Economics, prova a delineare cinque diversi scenari al 2030 e al 2050 per il mondo e per l’Italia, a seconda delle ipotesi di cinque trend attuativi dell’Agenda 2030: tendenziale, Net Zero al 2050, Net Zero Transformation, Transizione tardiva, Catastrofe globale. Nel merito della situazione del nostro Paese, l’analisi di prospettiva evidenzia che i costi dell’inazione sono di gran lunga superiori a quelli dell’azione. La trasformazione in chiave di sviluppo sostenibile del sistema Italia porterebbe infatti a +2,2% di Pil, “con affetti positivi – si legge nel Report – anche sull’occupazione e sul debito pubblico. In questo scenario aumentano le entrate, riducendo significativamente (-15,9 punti percentuali) il rapporto debito/PIL anche rispetto a quello calcolato nello scenario Net Zero (-5,7 punti percentuali)”.

Quanto al riscaldamento globale e agli obiettivi climatici, hanno sottolineato Marcella Mallen e Pierluigi Stefanini, presidenti dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile: “Ora è tempo di accelerare. La soglia di 1.5°C di riscaldamento globale sopra i livelli preindustriali non è un target politico, ma un “confine” naturale. Oltre questo confine ci troveremo in un territorio inesplorato, con il rischio concreto di innescare processi irreversibili nella natura, come per esempio lo scioglimento definitivo dei ghiacciai sulle nostre montagne, o il riscaldamento delle acque nel Mediterraneo. Abbiamo già sperimentato – concludono Malle e Stefanini – il costo umano e materiale delle alluvioni o delle ondate di calore nel nostro Paese. È il costo, ancor del tutto ignorato in Italia, dell’inazione”.

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