La Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla è in lutto per la morte di don Ercole Artoni. Il novantenne sacerdote si è spento alle ore 8 di lunedì 4 gennaio all’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, dove si trovava ricoverato da oltre una settimana per un aggravamento complessivo del suo stato di salute, senza attinenza con il Covid-19. Meno di un mese fa, il 9 dicembre 2020, tutta la comunità reggiana aveva accolto con profondo sollievo e intima gratitudine la sentenza del Tribunale di Ancona che stabilisce l’assoluzione del presbitero dall’accusa di minacce aggravate al presidente del Tribunale reggiano, al termine di un processo sofferto che due anni prima aveva visto don Ercole messo agli arresti domiciliari a Castelnovo Sotto.
Ercole Artoni era nato il 13 settembre 1930 a Cerreto Alpi e aveva ricevuto l’ordinazione presbiterale il 24 giugno 1956. Il primo incarico pastorale, dal 1957 al 1964, fu quello di vicario cooperatore nella comunità di Mancasale, dove in seguito divenne parroco fino al 1977.
In quell’anno, grazie a don Ercole Artoni, nasceva a Reggio Emilia la prima comunità di accoglienza della Papa Giovanni XXIII: una struttura che iniziò ospitando ex carcerati e pazienti dell’ospedale psichiatrico giudiziario e dopo un paio d’anni i primi tossicodipendenti. Nel tempo il “Centro Sociale Papa Giovanni XXIII” si strutturò ulteriormente con una nuova sede a Villa Sesso. Oltre a continuare a gestire comunità per tossicodipendenti, dal 2000 la Papa Giovanni iniziò ad essere in prima linea anche su tante altre forme di disagio sociale, comprendendo tra l’altro gruppi e comunità per giocatori d’azzardo patologici, attività di prevenzione e di promozione umana per i più giovani, assistenza agli alunni diversamente abili nelle scuole comunali, accoglienza di stranieri richiedenti protezione internazionale. Presso la sede del Centro Sociale, il 24 giugno 2016 don Ercole aveva celebrato la Messa per il suo 60° anniversario di sacerdozio e il 27 maggio 2017 aveva festeggiato i primi 40 anni della “sua” Comunità. “Sono venuto qui e sono rimasto strabiliato – aveva detto il vescovo Massimo Camisasca in quell’occasione – dall’ampiezza dell’opera, dei collaboratori, delle attività, dal raggio delle sofferenze che vengono incontrate e curate, o per lo meno condivise. Penso che quest’opera sia un segno della fantasia di Dio. E come ‘affronta’, Dio, i problemi sempre nuovi che si presentano nella società? Suscitando degli uomini come don Ercole, che si mettono sulla strada di altri uomini e vanno incontro a una serie infinita di difficoltà che sorgono nella vita delle persone, per curarle e per lasciarsi curare, perché «siamo soccorsi da coloro che soccorriamo»”.
Don Fortunato Monelli, da pochi mesi collaboratore pastorale alla Pieve di Scandiano, ricorda come negli ultimi anni don Ercole andasse frequentemente nella parrocchia di Villa Sesso per concelebrare con lui: “Ormai di voce don Ercole non ne aveva più, ma veniva volentieri per quello che era anzitutto un momento di fraternità. Fino all’ultimo ha testimoniato una straordinaria sensibilità per la povera gente: se chiedeva qualche cosa, era per chi ne aveva bisogno”.
La salma di don Artoni rimarrà esposta presso l’obitorio dell’Arcispedale cittadino. Lunedì 4 gennaio alle 20.30 il santo Rosario in suo suffragio sarà recitato nella chiesa parrocchiale di Castelnovo Sotto, dove don Ercole è stato collaboratore pastorale per diversi anni.
Il funerale sarà celebrato invece nella chiesa parrocchiale di Villa Cadè (90 i posti disponibili per le vigenti misure anti-Covid) giovedì 7 gennaio alle ore 10.30; la Messa esequiale sarà presieduta dal vescovo Massimo Camisasca.
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COSI’ LO RICORDA MATTEO IORI
Tutti coloro che l’hanno conosciuto non possono che definire Don Ercole una persona straordinaria; nel senso etimologico del termine significa “fuori dall’ordinario”, e Don Ercole lo era certamente. Una vita piena di tantissimi avvenimenti, che paiono quasi incredibili se pensati vissuti da una sola persona; tant’è che il libro sulla sua vita (“Don Ercole Artoni, lo scomodo prete reggiano”) creò curiosità nazionali: dalla rivista Vanity Fair a una trasmissione di Maurizio Costanzo su Rai 1.
Don Ercole era colui che divenne famoso in tutta Italia perché prete eletto come indipendente nelle liste del PCI, era colui che occupava le case, che conobbe diversi brigatisti, che picchettava le fabbriche con gli operai, ma che fu anche inconsapevolmente al servizio di Gladio. Era un prete insolito che insieme agli studenti preparava in anticipo i piani di contestazione, che collaborò con Loris Malaguzzi, che aiutò lo sviluppo di missioni in Brasile, che andò a Mosca nella delegazione italiana contro la guerra del Vietnam e a Berlino nella Commissione disarmo; ma che finì anche in carcere in isolamento, che fu protetto dalla malavita reggiana, che fu sostenuto dal comitato delle prostitute, che conobbe la “Primula Nera” Paolo Bellini, che liberò un giovane rapito… e soprattutto che, nel frattempo, apriva le porte della sua canonica e della sua casa ai più poveri e ai più emarginati, divenendo uno dei primi a dare risposte concrete per affrontare il flagello della droga sin dagli anni ’70.
Don Ercole era una persona straordinaria. E come tale aveva tantissime virtù ma anche dei difetti, come tutti gli esseri umani; ma il suo grande amore per i più poveri e i più bisognosi faceva si che non si potesse che volergli profondamente bene e perdonargli ciò su cui non si era d’accordo. Per questo motivo ha sempre avuto intorno moltissime persone ad aiutarlo e a credere in lui: dai suoi famigliari, a cui va il mio abbraccio più forte, ai tanti amici.
Gli piaceva ricordare il 24 giugno del 1956, giorno nel quale divenne prete. Di quel giorno disse: “fu il più bel giorno della mia vita”, ma si capì subito che il sacerdozio di Don Ercole sarebbe stato diverso da tanti altri: “C’era l’usanza di baciare le mani ai nuovi consacrati e quel giorno, in fila per me, c’era anche il Capo Cellula (il capo dei comunisti) di Villa Gaida. Lo ricordo ancora bene, perché fu un mezzo scandalo.” Molte volte le scelte di Don Ercole hanno creato “scandalo” nel mondo cattolico, ma le stesse scelte sono quelle che l’hanno portato ad aprire una comunità nella quale accogliere tossicodipendenti, detenuti, pazienti dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Una comunità che, anche grazie alla sua fede e alla sua guida, è cresciuta e negli anni ha accolto migliaia di persone.
Ora è giunto al termine del suo viaggio terreno e già lo immagino a creare qualche scompiglio in cielo con tutti quei “suoi ragazzi” che lo hanno preceduto in questi anni e magari insieme agli amici reggiani, come Don Lorenzo Braglia o Loris De Pietri, che come lui hanno dedicato la vita ad aiutare i tossicodipendenti a ritrovare sé stessi. Una vita spesa per gli altri seguendo la sua scelta di “cercare di seguire il Vangelo in modo coerente e di mettere in pratica l’avvertimento di mio padre di non fregare mai i poveri.”
Matteo Iori*
*Presidente del consiglio comunale di Reggio Emilia, per 20 anni è stato presidente del centro sociale “Papa Giovanni XXIII” e, per 15 anni, presidente nazionale del CoNaGGA (Coord. Naz. Gruppi sul Gioco d’Azzardo). Già membro dell’Osservatorio sui rischi del gioco d’azzardo del Ministero della Salute, presidente della Fondazione per la progettazione internazionale “E35” e portavoce del Forum del Terzo Settore di Reggio Emilia, è presidente regionale del CEA (Coord. Enti Ausiliari) che raccoglie le comunità per tossicodipendenti accreditate dalla regione Emilia Romagna.
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IL CORDOGLIO DEL SINDACO
La morte di don Ercole Artoni priva la comunità reggiana di un pioniere della lotta alle tossicodipendenze.
La sua, assieme a quella di altri parroci reggiani, fu una stagione nella quale davanti alla tragedia del diffondersi dell’eroina la comunità reggiana tutta – il pubblico ma anche tanto, tantissimo privato sociale – non si limitò ad assistere impotente, ma provò a mettere in campo esperienze innovative e sperimentali per recuperare i giovani, per ridare loro dignità e una vita degna di essere vissuta.
Anche davanti all’emergere delle ludopatie la realtà creata da don Ercole non è rimasta con le mani in mano: anzi.
Studiando, approfondendo per primi il fenomeno, le donne e gli uomini della Papa Giovanni XXIII hanno svolto, affiancati dal Comune, un’opera meritoria di informazione e sensibilizzazione culturale a livello italiano, mentre decollavano sul suolo reggiano soluzioni pratiche e operative per portare a quelle persone e a quelle famiglie un po’ di sollievo e di ristoro.
La storia personale, non solo spirituale, di don Ercole è indubbiamente complessa e talvolta controversa, ma è indiscutibile che il suo impegno sia stato quello di di un protagonista importante della storia della città.
Per tutti questi motivi a nome mio personale e dell’Amministrazione comunale di Reggio Emilia esprimo ai tanti che in queste ore piangono la scomparsa di don Artoni il sentimento di partecipazione al lutto e di vicinanza.
Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia