Acciaio nazionale, l’accordo per Piombino una goccia di speranza nel mare della crisi

Metinvest -Danieli e Jsw protagonisti del rilancio del secondo polo siderurgico italiano
Panorama dlela parte vecchia delle acciaierie, foto di Paolo Querci, da Wikipedia

La notizia è ancora informale. Trovato finalmente, dopo promesse non mantenute,
rinvii, inutili gite dal ministro del Mimit Urso, l’accordo tra Metinvest-Danieli e Jsw
per rilanciare l’ex Lucchini, l’acciaieria di Piombino, ovvero il secondo polo
siderurgico del paese, l’unico capace di produrre acciaio lungo e dunque rotaie per i
treni che, se non le trova lì, l’Italia è costretta a comprare all’estero.

Un polo entrato in crisi dal 2008 fino a non colare più acciaio dal 24 aprile 2014 quando fu
definitivamente spento l’altoforno che per anni e anni aveva scandito la vita di Piombino e della Valdicornia. Passando poi di mano in mano senza più ripartire e diventando Jsw Steel Italia nel 2018 per mano del gruppo indiano Jindal. Ma, tra impegni non rispettati e piani industriali mai realizzati, l’impianto ha continuato a non colare acciaio.
Se come pare e come FdI ha già annunciato per bocca dell’europarlamentare Francesco Torselli, l’accordo è fatto e diventa ufficiale, costituirà comunque e nonostante ci sia ancora molto da fare, un bel salto in avanti nella direzione di interrompere un lunghissimo disastro industriale, economico e sociale per Piombino, il territorio, la Toscana e l’Italia intera, malmenata dalla generale crisi dell’acciaio.

L’ accordo riguarda la ripartizione delle vaste aree demaniali date in concessione
(oltretutto scaduta a fine settembre e dunque da rinnovare) a Jsw, su cui, secondo il
piano già approvato dal governo il gennaio scorso, dovranno installarsi separatamente
due impianti. Uno di Metinvest (il gigante ucraino presente in tutta Europa a cui i russi hanno distrutto l’acciaieria di Azovstal) in cordata con la friulana Danieli che costruisce forni elettrici per produrre acciaio green. E l’altro degli indiani che hanno tirato in lungo le trattative per concludere l’intesa sulle aree, senza di cui il progetto per un nuovo polo sostenibile e non inquinante, da oltre due miliardi di investimento e approvato dal governo fin dal gennaio scorso, resta al palo. L’attuale accordo, sperando sia davvero definitivo, lo sblocca. Agli ucraini vanno gli acciai corti, agli indiani quelli lunghi. Metinvest investirà 2,2 miliardi per costruire in due anni la nuova acciaieria, i due forni elettrici per cui gli indiani si sono impegnati e poi tirati indietro, un laminatoio per gli acciai piani e assumerà 1.400 lavoratori tra diretti e indiretti. Jsw penserà al revamping del treno rotaie e alla costruzione per le medesime. Quanto investirà e quanti lavoratori dei circa 1.500 restati dai 2.200 iniziali assumerà non si sa: va chiarito alla svelta, protestano rsu e sindacati.

Nonostante non si possa parlare di acciaio subito, si debbano stabilire tutti gli altri
accordi,
per primo l’aggiornamento dell’accordo di programma mai realizzato del
2018,
chiarire investimenti e assunzioni e poi attendere il nuovo impianto, la
conclusione dell’intesa sulle aree permette la speranza che nel secondo polo
siderurgico d’Italia torni l’acciaio
. Permette anche che intorno alla buona notizia si
scateni immancabilmente la polemica politica. “Come avevamo promesso, l’accordo
per il futuro dell’acciaieria di Piombino è finalmente stato raggiunto. Anche se
abbiamo sforato di qualche giorno, abbiamo portato a casa il risultato: una vittoria per
tutti, tranne per coloro che speravano in un fallimento”, tira l’acqua al mulino del
governo e la frecciata all’opposizione, Torselli. “L’intesa sulle aree, seppur con
ritardo, è una notizia incoraggiante per un territorio fortemente penalizzato in questi
due anni dal governo Meloni, ribattono il deputato e segretario Dem toscano, Emiliano Fossi e il capogruppo Pd in Commissione Ambiente della Camera Marco
Simiani.


L’inizio di buona notizia arriva in “un anno terribile per l’acciaio in Europa,
soprattutto in Italia dove, mentre USA e Cina la aumentano, la produzione di acciaio
diminuisce sempre di più, se non quasi sparisce. Le aziende, per risparmiare sui costi
fissi, aumentano le ore di cassa integrazione, conquistando una situazione finanziaria
non negativa. Ma i lavoratori restano in cig e la produzione non riparte”, avverte il
segretario generale nazionale della Fiom Cgil, Loris Scarpa. “Così è a serio rischio
l’intera filiera dell’economia italiana perché non esiste sviluppo senza la manifattura
e non esiste manifattura senza acciaio”, si preoccupa il sindacalista. Sottolineando
che “il sistema industriale è un sistema collegato, dall’energia all’acciaio che
troviamo in qualsiasi manufatto, a partire dal settore della mobilità che ne usa
moltissimo. A tal punto che la crisi della siderurgia si lega all’altra, gravissima, di
tutta l’automotive che è anche quello un settore strategico per il paese e per cui tutti i
sindacati hanno dichiarato sciopero nazionale il 18 ottobre”.

Secondo Scarpa, la svolta dell’acciaio può arrivare solo dalla ripresa dei grandi
colossi siderurgici
. E qui non c’è solo la crisi di Piombino, c’è quella di Taranto, il
primo polo siderurgico d’Italia, il più grande d’Europa. AdI (Acciaierie d’Italia, l’ex
Ilva) con 10 mila dipendenti diretti e altrettanti nell’indotto, è in amministrazione
straordinaria dopo l’uscita di scena dell’ultima proprietario, Arcelor Mittal, il quale
“ha solo indebitato l’acciaieria dal momento che – spiega il segretario Fiom – ha
chiesto sempre denaro pubblico, senza mai investire”.
Adesso Taranto, secondo i dati dell’ufficio studi Siderweb, è 34* nella classifica
dell’export di acciaio, con un calo del 67% rispetto al 2023, quando già il calo era
stato nel 2022 di oltre l’80% rispetto al 2008, e attende un compratore dopo che il
governo l’ha messa in vendita. In realtà l’amministrazione straordinaria, pur in attesa
del nuovo proprietario, sarebbe in grado di produrre acciaio ma resta con molti degli
operai in cig e una produzione al di sotto anche dello scartamento ridotto, come
sottolinea Scarpa. Con un solo forno in funzione e un secondo che il ministro
dell’economia e lo sviluppo, Urso, ha per ora annunciato di riaprire ed è ancora
chiuso
. Ora la fatidica data è fissata per il 15 di questo mese.
“Il governo doveva rilanciare per prima cosa la produzione e in seguito pensare alla
vendita. Invece è successo il contrario con la rischiosissima conseguenza che è ancora
praticamente tutto fermo”, critica Scarpa. Urso dice che si venderà entro fine anno.
Ma bisogna vedere se davvero e come. Sul tavolo ci sono 15 manifestazioni
d’interesse, la stragrande maggioranza estere
. “Per di più, attenzione: nessuna offerta
è per ora vincolante ma ci sono solo intenzioni che si vedrà se saranno mantenute”,
avverte il segretario Fiom. Lo vedremo a fine ottobre quando si dovrebbe passare alle
offerte vere e proprie e anche allora il percorso per concretizzare la vendita non sarà
breve, si suppone a Taranto.
Delle 15 manifestazioni non vincolanti di interesse solo tre riguardano l’intero assett
siderurgico di Taranto
, il resto solo questo o quel pezzo del polo: un gioco al ribasso
cui si oppongono lavoratori e sindacati . “Intendiamo che la vendita avvenga solo per
tutto l’ assett nella sua interezza e che nella compagine ci sia anche denaro pubblico
per controllare e non lasciare tutto in mano agli stranieri”, è fermo Scarpa. Quando invece Urso ha già detto il contrario: niente denaro pubblico. Anche il leader dei
metalmeccanici della Uil, Rocco Palombella, insiste sulla “necessità di una presenza
di garanzia dello Stato nella nuova società. Al ministro Urso ricordiamo che senza la
lotta coraggiosa, solitaria e senza sosta contro tutto e tutti portata avanti dai lavoratori
la vicenda si sarebbe conclusa con la chiusura di tutti i siti dell’ex Ilva. Ora vogliamo
conoscere nel dettaglio i progetti occupazionali, ambientali e industriali che verranno
presentati. Le nostre priorità restano ambiente, occupazione per tutti i lavoratori e
produzione ecosostenibile”.

In effetti gli interessati all’intera AdI sono solo tre e tutti esteri: i canadesi di Stelco
controllati dagli statunitensi di Cleveland Cliffs, gli indiani di Vulcan Green Steel, di
proprietà di un ramo della famiglia Jindal e il gruppo azero Baku Steel Company.
Vagheggiano invece lo spezzatino Marcegaglia, Amenduni Steel, Eusider
Group, Sideralba, Profilmec, Industrie metalli Cardinale, Monge/Trans Isole, Vitali
spa, Carbones holding, Epas (Energy power e armatory shipping), Jiangsu Steamship,
Continental Dry Bulk.
Le offerte vincolanti dovrebbero arrivare entro il mese. Per ora
di certo c’è solo che Taranto è al palo. Siccome al momento delle offerte vincolanti
per l’ex Ilva possono entrare in gioco altri pretendenti, non è esclusa Metinvest, Urso
ci punta anche se gli ucraini sono impegnati a Piombino

Bene, l’odissea dell’acciaio italiano non si ferma qui. Ora entra nel vortice negativo
anche Liberty Magona, ossia l’altra, pur minore ma storica, acciaieria di Piombino,
leader dei laminati di acciaio, con 700 operai tra diretti e indotto, che sembrava ben
sistemata in mano agli inglesi di Liberty Steel, i quali invece hanno deciso di
dismetterla e venderla, lamentando la difficoltà a di reperire coils (le spire di acciaio
semilavorato da cui ricavare i laminati ) e il costo troppo alto dell’energia in Italia. E
dunque anche Magona entra nel cono d’ombra. Oltretutto, come sottolinea Scarpa, la
vicenda è strettamente connessa a quella di Jsw – Metinvest, un impianto che, se
messo in grado di lavorare, potrebbe produrre i coils per Magona.

Infine l’acciaieria di Terni. AST (Acciai Speciali Terni) riduce la produzione perché
la proprietà Arvedi lamenta l’alto costo dell’energia e chiude parte dei forni mentre
l’incontro del 9 ottobre tra azienda, governo e istituzioni partorisce ancora un niente
di fatto.
Intanto il prossimo futuro si annunzia in acque agitate in quanto ai lavoratori
dell’acciaio e in genere della metalmeccanica. Quelli dell’ automotive, come si è
detto, fanno sciopero nazionale il 18 ottobre chiamati da tutti i sindacati, confederali e
autonomi. Dopodiché i metalmeccanici hanno rotto le trattative per il rinnovo del
contratto nazionale di lavoro accusando la controparte di aver presentato una
piattaforma totalmente contraria a quella pur unitaria dei sindacati e annunciato lo
stato di agitazione. Per il contratto e per discutere del pre accordo Metinvest-Jws a
Piombino si sono riunite, l’11 ottobre a Livorno, tutte le rsu degli stabilimenti
siderurgici del territorio. Su Piombino concordano: “L’intesa, se verrà confermata,
rappresenta un passo avanti.Tuttavia non si può non stigmatizzare la lentezza che ha
segnato e sta segnando questo percorso. Sarebbe stato necessario un protagonismo
più incisivo da parte del governo che ha dovuto subire ed attendere sei mesi dalla
firma dell’ultimo accordo e due proroghe alle scadenze fissate. Ora sarà necessario
accelerare per recuperare il tempo perduto. Aggiungono Fiom e lavoratori: “Nessuno pensi di peggiorare l’accordo di programma del 2018”. Che impegnava a tutelare tutti
i lavoratori rimasti, nessuno escluso e di accompagnarli con gli ammortizzatori fino
alla riassunzione

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