Firenze – Si conclude, con l’ordinanza emessa il 27 luglio scorso dal Tribunale civile di Milano, l’azione giudiziaria promossa dalle associazioni ASGI, NAGA e CGIL Lombardia contro le clausole discriminatorie contenute nel regolamento regionale per l’accesso agli alloggi pubblici. L’ordinanza condanna la Regione Lombardia a cancellare dal regolamento regionale per l’accesso agli alloggi pubblici il vincolo della residenza di 5 anni nella Regione e l’obbligo per gli stranieri di presentare documenti del paese di origine attestanti l’assenza di proprietà. Ricordiamo che, circa il requisito della residenza quinquennale, è previsto anche dalla stessa legge regionale lombarda che regola la materia, per cui il giudice aveva dovuto investire della questione la Corte Costituzionale che con sentenza n. 44 del marzo scorso aveva dichiarato il requisito incostituzionale (vedi https://www.stamptoscana.it/legge-erp-lombardia-incostituzionale-sindacati-anche-quella-toscana-va-modificata/).
La causa, ripresa davanti al Tribunale, ha visto l’analisi anche della questione dei documenti aggiuntivi richiesti agli stranieri, vale a dire la produzione della documentazione da parte degli stranieri di non avere proprietà al’estero. Anche questa previsione è stata ritenuta illegittima e discriminatoria dal Tribunale, perché la documentazione da presentare per dimostrare l’assenza di proprietà all’estero (basata sull’ISEE) deve essere la medesima sia per italiani che per gli stranieri , restando poi l’obbligo di verifica in capo alla autorità fiscali. Conseguenza di tale situazione, tutti i comuni lombardi dovranno modificare i bandi tenendo conto della decisione del Tribunale.
Di fatto, ciò che si ripropone è la vecchia questione legata alla natura dei diritti in gioco: il diritto alla casa e il diritto alla residenza sono o non sono diritti soggettivi? Questione solo apparentemente squisitamente giuridica, in realtà squisitamente pratica: dalla loro condizionabilità o meno infatti derivano una serie di conseguenze pratiche basialri, queli, prima di tutto, quella di capire se possono essere in qualche modo limitati da requisiti decisi dalle amministrazioni. In realtà, la sentenza 44 della Corte Suprema sembrava aver chiarito il punto, come dimostrerebbe la citata ordinanza del tribunale di Milano.
Tutto questo tuttavia potrebbe non limitarsi solo alla Lombardia, ma potrebbe tracimare, come già scritto, in Toscana, dove la legge per l’accesso all’edilizia popolare, prevede entrambi i requisiti. Anche se, come precisano dagli uffici, il requisito della residenza di 5 anni in regione è prevista, in Toscana, non continuativa. Il che tuttavia non sposta la questione di principio, ovvero: nello specifico, trattasi comunque di uno sbarramento discriminatorio e soprattutto di un “condizionamento” del diritto assoluto alla casa, dove “assoluto” pesca nel significato latino di “absolutus” sciolto da vincoli. Esattamente come la richiesta, oltre all’Isee, di produrre documenti di cui spesso non è possibile la rintracciabilità, ma, qualora lo fosse, devono essere “legalizzati”, con enorme dispendio di tempo e denaro per le famiglie, e devono essere prodotti per tutto il nucleo famigliare. Anche in questo caso la Regione Toscana ha “annacquato” il requisito, compilando una lista di 15 Paesi dove non esiste il catasto e dunque sarebbe impossibile produrre la documentazione richiesta, e stabilendo che la documentazione debba essere presentata non al momento della domanda di accesso, ma in fase di assegnazione.
“Ciò che mi colpisce dell’ordinanza del Tribunale di Milano è che venga ribadita l’importanza fondamentale del diritto alla casa e di conseguenza che non possa essere sottomesso ad arbitrio o discriminazione nell’accesso – commenta la segretaria del Sunia toscano Laura Grandi – si mette anche in discussione l’equiparazione fra il non possesso dell’alloggio utile sulla base dei metri quadri. Sebbene la legge toscana Erp sia comunque migliore di quella lombarda e funzioni, tuttavia non possiamo non richiamare l’attenzione del legislatore sulla questione della documentazione da prodursi, con la criticità già spiegate, per quanto riguarda l’eventuale titolarità di altri alloggi nel paese di origine. Un punto che la nuova legislatura dovrà senz’altro modificare, alla luce dell’asserita impossibilità che il diritto alla casa possa essere in qualche modo condizionato”.
“Ben vengano queste sentenze che dichiarano illegittime le politiche discriminatorie che riguardano l’accesso alla casa e in generale ai servizi. Tuttavia più che di diritto alla casa è di diritto all’accesso al diritto alla casa che si parla – attacca Giuseppe Cazzato dei Cobas – in altre parole, la questione di cui si dibatte è quella di rendere uguale per tutti il diritto ad accedere a una sorta di lotteria, quale ormai si è trasformato il bando Erp. A riprova di questo, ci sono alcuni dati incontrovertibili. Intanto, la conseguenza di queste limitazioni ha fatto sì che sia diminuito, negli ultimi anni, il numero dei partecipanti ai bandi nonostante l’aumento dell’emergenza abitativa: a fronte dei 4mila e oltre partecipanti al bando del 2012, siamo ai 2200 del bando del 2020, dati riferiti al Comune di Firenze. Le assegnazioni da bando sono state solo 60 nell’ultimo anno. Il problema reale, per poter parlare di diritto alla casa, è quello di avere risposte abitative concrete. Per riportare a rango di diritto costituzionale il diritto alla casa, bisogna ritoccare la rendita. L’Italia è il paese europeo che investe meno soldi sulle politiche abitative, col risultato che, non andando a toccare la rendita, nelle aree di forte tensione abitativa le case arrivano a prezzi insostenibili per i lavoratori dipendenti e la parte più debole della popolazione. Si è addirittura arrivati all’assurdo che a Firenze come a Milano la rata del mutuo per comprare casa si paga meno del canone d’affitto. Così, per garantire la rendita speculativa, si finisce sempre per andare a colpire le fasce più deboli della popolazione”.