Accademia del Cimento, gli assegnatari: “Chiediamo alloggi adeguati alle famiglie”

Firenze – Ribolle, via Accademia del Cimento. Ma non per il caldo, che pure picchia forte in questi giorni. I colloqui per l’assegnazione delle case volano, che dovrebbero accompagnare per circa 13 mesi gli abitanti di questa edificazione Erp messa sotto riqualificazione dalle risorse giunte in parte dal Superbonus e in parte dal Pnrr, sono l’argomento principale delle conversazioni nei cortili dei palazzi.

“Il problema principale – dicono alcune donne a sedere al fresco – è che gli appartamenti proposti sono spesso inadatti alla situazione del nucleo famigliare”. Esempi, molti, almeno fra le 48 famiglie che per prime dovranno lasciare le loro case per permettere ai cantieri della riqualificazione di insediarsi e partire. Un primo lotto cui seguiranno gli altri due, per un totale di circa 176 assegnatari. L’opera complessiva dovrebbe terminare nel 2026. Ma ora, in ballo ci sono le circa 48 famiglie del primo lotto, per cui verranno spesi i soldi del superbonus, 3,5 milioni di euro, che consentiranno la messa in sicurezza antisismica degli alloggi. Il cappotto termico promesso sembrerebbe essere in forse, come riferisce qualche assegnatario che ha sentito i tecnici che si sono presentati nelle case.  I lavori, nel primo lotto, dovranno essere terminati nel dicembre 2023 e saranno curati da Casa spa e il fabbricato interessato è posto al civico 14/1-3, costruito nel 1970, per il quale sono state previste “opere di manutenzione straordinaria sulla struttura e, successivamente, di efficientamento energetico, con riduzione della classe di vulnerabilità”.

Ma i problemi che emergono in questi primi colloqui all’ufficio Casa del Comune cui segue l’appuntamento per vedere il nuovo alloggio in cui dovrebbero spostarsi le famiglie per il tempo dei lavori, sono in gran parte di qualità dello spazio e di congruenza della proposta. Come è successo a un signore che da decenni bada al fratello invalido, in carrozzina, obeso, da sollevare solo con l’apposito elevatore, che racconta il suo caso: “Siamo andati a vedere la casa propostaci (nel suo nucleo famigliare sono in tre, n.d.r.) e quando sono entrato nell’ingresso comune mi si è allargato il cuore – racconta – ascensori grandi, capaci di accogliere la carrozzina, rampe per disabili, uno spettacolo. Poi, s’arriva all’alloggio, e lì mi sono cadute le braccia. La disposizione era tale che con carrozzina e elevatore, non era assolutamente possibile portare mio fratello al bagno, girarsi, lavarlo, aiutarlo nelle sue operazioni personali”. Il signore ha rifiutato l’appartamento, sta aspettando un nuovo appuntamento.

Se il problema della disabilità, fisica e psichica, è diffuso e reclama attenzione, un altro punto che emerge è la scarsa conoscenza delle situazioni reali delle famiglie. Secondo quanto riferiscono molti inquilini, “non si capisce perché a coppie con tre o quattro figli vengano proposti appartamenti di 65-70 metri quadri, uguali a quelli proposti a coppie di anziani rimasti soli o a nuclei di tre persone”. Insomma, la questione è semplice: fare incontrare le situazioni reali in cui versano le famiglie con case adeguate. Colpa anche della legge, dal momento che nei “vani utili”, che è il conto che ormai si fa per le assegnazioni a prescindere dai metri quadri, rientrano anche il salotto ad esempio o addirittura la cucina. “Ma sentirsi dire “Lei può dormire sul divano” dopo che non abbiamo chiesto niente e dobbiamo lasciare appartamenti che in trent’anni abbiamo riqualificato per conto nostro è veramente dura”.

Anche perché, e questo dovrebbe essere chiaro agli uffici, se è vero che le famiglie negli anni sono diminuite naturalmente, con l’uscita dei figli ad esempio o la morte di qualche genitore o nonno, è vero anche che spesso, per ragioni di perdita di lavoro, di sfratto, di separazioni, molti figli sono tornati a casa, magari con la propria prole. E le famiglie tornano ad allargarsi. Oppure, la famiglia assegnataria ricovera oltre ai genitori, un fratello, uno zio, un cugino che sarebbe alla mercè della strada o non in grado di badare a se stesso. Insomma, come dice una signora, sarebbe bene evitare logiche punitive per chi non se la sente di abbandonare i propri famigliari.

Se la composizione reale delle famiglie è un dato di cui è necessario tenere inevitabilmente conto, un altro problema è rappresentato dalle condizioni degli appartamenti. Condizioni che non sembrerebbero, secondo quanto dichiarato da coloro (pochi) che ad ora sono andati a vedere le case, sempre uguali, tant’è vero che qualcuno ha accettato gli appartamenti proposti, anzi, si dà il caso di qualche nucleo che ha richiesto la permanenza nel nuovo alloggio. Ma altrettanto spesso, le condizioni dei nuovi alloggi volano sono tali da richiedere, oltre a riqualificazioni, sanificazioni ambientali igieniche, come togliere muffe, umidità, parassiti. Qualche foto e qualche video mostrano in effetti appartamenti in condizioni non proprio di abitabilità immediata. E qui sorge un altro problema: quello dei tempi.

Già, perché, facendo un conto rapido, come dice un anziano signore sostenuto dagli altri, se quelle sono le condizioni di una parte degli appartamenti, i lavori, seppure a carico del Comune, andranno fatti. “Siamo a giugno – dice – faccia il caso che il primo appartamento non risulti adatto e lo rifiuto. Passa una media di altri 10 giorni. Il secondo va bene, ma ha bisogno di lavori. Anche solo per reimbinacare e dare una risanata, magari cambiare gli elementi del bagno, una settimana o due ci vorrà. Faccia conto che questo sia vero per almeno la metà delle persone. Le nostre case devono essere vuoe a settembre, quando ci daranno le chiavi dei nuovi appartamenti. In tutto questo, ci metta il trasloco, l’adattamento dei mobili, la spesa per compranre altri dal momento che spesso le nostre cucine, magari nuove, non entrano nelle nuove case. Come gli armadi. Dov’è questo tempo? Non sarà che per non stare a casa nostra in un cantiere ci toccherà di andare a casa nuova in un altro cantiere?”.

Non solo. E le utenze? “Guardi – dice un altro anziano signore – vivo con mia moglie anziana e una parente che ha disabilità psichica al 100%. Di fatto, faccio il badante a queste due donne, devo fare attenzione alla terapia psichiatrica per l’una e alle cure fisiche per l’altra. Secondo lei, come posso entrare in una casa in cui manca acqua, luce e gas? Come faccio a prendermi il tempo per andare ad aprire le utenze?”. Senza contare i soldi, circa 200 euro a occhio e croce per riaprire luce, gas e acqua che per qualche famiglia può essere pesante. Alla questione utenze si aggancia quella della residenza, questione che però sembra aver trovato soluzioone, con rassicurazioni, anche se ancora non ufficiali,  che nessuno la dovrà cambiare.

“Questa mancanza di chiarezza, di organizzazione, direi di considerazione – aggiunge un altro signore – autorizza a coltivare i peggiori sospetti, ovvero che, una volta andati via da queste case, non ci facciano più tornare, oppure che sia tutta una scusa per risolvere i casi di chi si ritrova solo o in due in case grandi, ovvero di apparente sottoutilizzo. Insomma, abbiamo visto, per gestire un cambiamento di questo genere, due geometri aggirarsi un giorno chiedendo alle persone se potevano entrare a misurare gli appartamenti. Allora non capiamo: o veniamo ritenuti gente di serie B, che si può gestire con quattro chiacchiere senza nemmeno curarsi di ciò che domandano, oppure non ci resta che ringraziare il Comune di Firenze per la brillante organizzazione”.

E in fondo, prima di andare via, emerge una domanda, più volte fatta, ancora senza risposta: “Ma poi, quali sono esattamente i lavori che verranno fatti in casa nostra? Perché non ce lo dicono?”…

 

 

 

 

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