Nei mesi scorsi il governo Letta proclamava l’idea di cancellare la parola province dalla Costituzione. Province da abolire dunque? No, sono le Regioni gli enti inutili.
Il giudizio non viene da qualche consigliere locale inviperito per aver perso la poltrona bensì dalla Sgi (Società geografica italiana), una delle più antiche istituzioni culturali del nostro Paese. Lo studio realizzato “per un riordino territoriale dell’Italia” va in senso diametralmente opposto a quello seguito dalla politica, destinato probabilmente finire nel dimenticatoio. Lo studio però ha quanto meno il merito di analizzare l’articolazione amministrativa italiana da un punto di vista scientifico, proponendo un riassetto del territorio basato su un approccio funzionale.
Dai risultati dell studio emerge che le province sono sì innegabilmente troppe, ma non sono enti inutili. Semmai lo sono le regioni, che sono ripartizioni recenti e spesso artificiose. Considerata la natura profondamente cittadina dell’assetto geografico italiano, sarebbe quindi meglio dare vita a 30-40 macro-province simili per cultura e tessuto produttivo, collegate fra loro e caratterizzate dagli stessi flussi di mobilità. Negli ultimi anni, ogni volta che la politica ha cercato di intervenire, si è invece ragionato unicamente in termini di soglie quali limiti territoriali e numero di popolazione.
«Il problema è che non si è mai adeguata la maglia amministrativa a quella economica e territoriale del Paese», rincara Piergiorgio Landini, docente di Geografia economica all’università di Chieti-Pescara. «Nel corso dei decenni sono avvenuti cambiamenti enormi: alcune zone sono emerse, altre sono del tutto depresse. E invece noi ancora siamo fermi all’Unità, quando fu effettuato il primo censimento, o al massimo al fascismo». Una suddivisione che andava bene un secolo fa, forse è ora di cambiare.