Tutti schienati per l’ultimo applauso al maestro, manco fosse Pavarotti nella cantata d’addio. La circolante notizia che il rapporto tra i nostri teatri e il direttore artistico Daniele Abbado sarebbe in procinto d’interrompersi, anzitempo rispetto alla sua naturale scadenza, è pressoché certa. E per la verità era nell’aria da almeno un paio d’anni. Stupisce maggiormente invece l’imbarazzante sequela di tributi mediatici osannati a una persona di sicuro talento ma che Reggio ha pagato e profumatamente. Anche in termini umani e professionali, demandandogli l’intera o quasi gestione culturale di una città con sfumature d’accentramento senza precedenti.
Della serie le fosse sono piene di persone insostituibili, s’è scatenata una involontaria gara a chi già lo rimpiange di più. Senza verificabili motivi per la verità, se non quelli provenienti dal facile e provincialistico adagiarsi nella coralità leccaculistica, sport di massa assai praticato nel nostro Paese. Cosa resterà delle sue tante innovative produzioni? Forse il Flauto Magico? Quanto e di che qualità rispetto per esempio ad un Pier Luigi Pizzi? Ma di cosa stiamo parlando? I rapporti, anche quelli improntati a reciproca stima contabilizzabile in più o meno reali successi, sono destinati a deteriorarsi. In tempi di vacche magrissime poi, specie per le casse meno prioritarie delle istituzioni di svago, la spending review è sacrosanto colpisca i portafogli più capienti. E quelli della famiglia Abbado, culturalmente parlando, sono secondi solo a pochi.
D’altronde basta immergersi nelle pieghe dell’ultimo bilancio consuntivo teatrale per sfatare più d’un luogo comune. Col cavolo che gli spettatori sono aumentati; in realtà il popolo della prosa e della lirica si è progressivamente assottigliato, quello dei concerti e della danza aumentato di poche decine d’unità, quello del musical (ex operetta) infine, addirittura di poche unità. Per un teatro, il rutilante Valli da mille spettatori, spesso e malvolentieri pieno (o vuoto) si è no a metà. Di più: leggendo alcune voci interessanti, si carpisce come per esempio le spese artistiche siano diminuite rispetto al 2010 e aumentate invece quelle per il personale. Affaracci loro, direte voi; può darsi ma di certo non è propriamente ciò che il pubblico pagante si aspetterebbe. E ancora: le sponsorizzazioni private sono andate scemando mentre Abbado figlio si è cuccato, sempre nel 2011, tra la direzione artistica e la consulenza del Borciani, sui 90mila eurini. Certo un’inezia rispetto agli spropositati e del tutto ingiustificati compensi di alcuni dirigenti comunali e di Iren. Ma non scordiamoci un’altra serie di benefit, rimborsi e consulenze difficilmente ricostruibili. E non scordiamoci soprattutto il concertone annuale di papà Claudio (nessuno ne discute la qualità) che sono sempre soldi restanti in famiglia.
Insomma Daniele Abbado non resterà in mezzo ad una strada (dicono che abbia già trovato un altro incarico…) né si ridurrà a fare la maschera in un qualche sgangherato teatrino dell’entroterra molisano. Nè si dipingano ora, per tararne la trombatura, congiure politiche da proscenio di prosa minore. La dietrologia va utilizzata per casi più seri. E ben venga, se sarà, il bando comunale per reperire l’Abbado prossimo venturo. Che sui curricula di straforo, le spintarelle e i figli d’arte, s’è cullato fin troppo il sogno (oggi incubo) italico. Che coi soldi pubblici non s’ha più da scherzare. Ma lo volete capire, puzzette al naso, che la gente non ha più i soldi per mangiare?