La domanda inevasa, anzi con un’aggiunta di punto interrogativo in rimarcata evidenza, dopo il cosiddetto sabato dei manifestanti viventi, è la seguente: è possibile dissentire nella sedicente democraticissima Reggio Emilia, città delle persone basta che la pensino (apparentemente) all’unisono?
Ovvero, si può manifestare civicamente privi di bandiera rossa senza beccarsi del populista, o peggio, politicamente senza appartenere alla maggioranza ed al contempo però senza essere accusati di apologia di fascismo?
Perché è questo l’impressione montata dopo il crescendo settimanale durante il quale le truppe cammellate del (non) pensiero unico hanno tamtammeggiato la chiamata alle armi contro un manipolo autoproclamatosi dall’Orgoglio destro annunciante una più o meno nostalgica rimpatriata in piazza Martiri 7 luglio.
Alzi la mano chi, senza scoppiare in una crassa risata, consideri oggi seriamente quali problemi di un Paese moderno argomenti come il fascismo, il razzismo, la xenofobia, l’islamofobia o l’omofobia e non piuttosto l’immigrazione e l’integrazione, la crisi economica, la disoccupazione giovanile, la sicurezza, il terrorismo, la burocrazia borbonica, la forbice sempre più ampia tra ricchi e poveri, la richiesta (senza risposta) di cultura e formazione e altro ancora.
Una premessa andando verso la conclusione: allo scrivente (è necessario in un contesto in cui rischi di beccarti del kapò se eccepisci, argomenti, utilizzi la sottile arma della distinzione critica…), nel dedalo di sigle partitiche con cui si è trovato faccia a faccia nel segreto dell’urna in questi decenni, sentendo e sentendosi sempre meno rappresentato nella complessità contemporanea, non è mai passato per l’anticamera del cervello (così, sua sponte…) di apporre una X su una qualsivoglia casella destrorsa.
Ciò detto, ma davvero a quel poco composito corteo formato da una pletora di amministratori o di chi vive all’ombra della municipalità, anziani eternamente resistenti strappati alla bocciofila e giovani degli iperdiritti basta che si tratti di minoranze perdute e che ambiscono a rappresentare una moderna socialdemocrazia, fanno paura (e scusate se rivengono nominati, ma qui per altri motivi, così come assai odiosamente durante il corteo “radicale” per le vie del centro) Luca Tadolini, Marco Eboli, Pietro Negroni, Manuel Negri o Renato Braccini?
Perché se così fosse, noi da oggi saremmo ancor più preoccupati per il futuro della città e della ricerca di un’identità da parte di chi la governa nel bisogno di fare l’identikit di un nemico che giace, vinto, nell’oblio della storia.