Premio Oscar al miglior attore non protagonista, Keran Culkin, che- analogamente all’ attrice Oscar Zoe Saldana in Emila Perez– è qui effettivamente il vero protagonista di A Real Pain conferendogli un tono speciale di poetica malinconia e follia . Il film , scritto e diretto dall’indie Jesse Eisenberg – che è anche il compagno di viaggio di Kulkin- è un piccolo grande gioiellino cinematografico per stile, tematica , ironia e delicatezza di sentimenti, tutti mixati con grande misura ed evidente economia di mezzi.
E’ in atto ora più che mai nel mondo una sotterranea feroce lotta tra una sempre più pervasiva e dominante linea a produrre il cinema gestito dalle grandi major in sinergia con le piattaforme totalizzanti e un cinema che reclama ancora una volta la possibilità dell’autore di controllare che la propria opera non venga alterata, a costo di penare per avere fondi necessari : è quella piccola galassia del cinema indipendente, che soprattutto inventa e lavora pensando a un film fatto per essere visto elettivamente su grande schermo al buio nelle sale dove c’è un’interazione irripetibile tra gli spettatori in una dimensione semionirica. A Real Pain si inserisce in una stagione in cui il cinema indipendente è stato premiato, nonostante le corazzate concorrenti . Pensiamo ad Anora, ma anche a Flow di un trentenne lettone e in Italia a Vermiglio che, pur se alla fine non è riuscito ad entrare nella cinquina finale, ha ottenuto riconoscimenti internazionali di critica e di pubblico , senza operazioni di marketing eclatanti e neanche un grande sostegno da parte italiana. Eisenberg (45enne), a differenza di Corbet, non viene dal cinema d’autore sofisticato, ma la sua carriera d’attore sembrava portarlo verso altri territori , quali Adventureland , Benvenuti a Zombieland (2009) e Zombieland /Doppio colpo(2019) .
In mezzo a questi due film , diventa nel 2010 Mark Zuckerberg , fondatore di Facebook in The Social Network per il quale ha una nomination agli Oscar come migliore attore , mentre in Batman V è l’antagonista principale Lex Luthor. Ma già tre anni prima in Education of Charlie Banks si era misurato con un personaggio e una temperie che riuscivano a mettere in luce aspetti dell’America pochissimo indagati prima . Nei panni di un goffo studente nerd proveniente dal Queen proletario che non riesce ad inserirsi, a trovare inclusione nel mondo della cosiddetta Ivy League, le 8 università del Nord Est Usa dove si forma l’élite del paese (1/3 dei Presidenti Usa). Eisenberg abita la parabola del suo personaggio di toni così veri e nelle stesso tempo essenziali da valere mille saggi antropologici sulle differenze di classe persistenti anche negli anni 2000 in Usa , dai confini silentemente ma inesorabilmente invalicabili. Nel frattempo aveva fatto esperienza due anni prima ne Il calamaro e la Balena, di un suo altro grande riferimento del cinema indipendente Noan Baunbach e questa lezione la riverberà nel primo film da lui scritto e diretto Quando avrai finito di salvare il mondo , 2022, che precede di due anni questa sua seconda prova.
Si delineano i tratti del cinema di Eisenberg : partire da un discorso autobiografico e rappresentare una condizione umana dolorosa e/o conflittuale con una sincerità tale da farci sentire epidermicamente il disagio interiore , ma contemporaneamente con uno sguardo lieve e pieno di movimento Interno ed esterno, ironico e compassionevole sui difetti e lacune dei suoi personaggi. In questa sua prima prova il tratto autobiografico viene fondamentalmente dalla famiglia della sua attuale moglie e madre di suo figlio , Anna Strout , che ha avuto un’influenza decisiva su di lui. I genitori della moglie sono infatti due grandi filantropi dell’Indiana: il padre Bob Arnove un illustre pedagogista, la madre , Elisabeth ‘Toby’ Strout un’impegnata paladina e fondatrice dell’organizzazione Middle Way House per supportare soggetti di violenze domestiche abusi sessuali e tratte di esseri umani.
La protagonista del film , Julianne Moore, è ispirata a Toby Strout e a un conflitto/amore/odio/simbiosi madre-figlio ( con tratti del regista), laddove per un certo momento del film la maternalità frustrata e debordante dell’ attivista si riversa su un figlio ‘surrogato’. Il figlio è l’alter- ego di Eisenberg che ha realmente preso coscienza delle sue origine ebraico-polacche e si è sensibilizzato a un impegno politico e sociale , per via di questa famiglia e di sua moglie Anna Strout , che ha raccolto il testimone e il ruolo della madre, venuta a mancare nel 2017. Nel film l’alter-ego del regista comincerà a seguire questo stesso percorso per avvicinarsi sempre più alla ragazza di cui è innamorato. Ci si sofferma su questi aspetti perché sono necessari per evidenziare poi il senso e il contenuto di questo suo A Real Pain e il background sottostante ad alcune costanti del cinema dell’autore.
Ma lungi dal trasformarsi in qualcosa di estremamente pesante e ideologicamente gravato magari da accenti woke, il risultato di questo gioiellino cinematografico è un racconto lieve, on the road, un viaggio toccante e dolce sulla ricerca della memoria e delle radici, con toni a volte di commedia agrodolce e come tappeto musicale costante i vari ‘Notturni’ di Chopin, musicista polacco per antonomasia. E qui entra in campo l’altro protagonista del film , Kieran Culkin, che ha così meritatamente ottenuto l’Oscar come miglior attore non protagonista, e Eisenberg gli lascia generosamente e intelligentemente campo come co-protagonista e mattatore della pellicola. Anche Culkin ha un’interessante biografia giacché nasce- questa volta al pari del “titanista” Corbin- come attore bambino , ma lui è uno dei fratelli Culkin della famosa serie Mamma ho perso l’aereo e Mamma ho riperso l’aereo. Si affranca da questo filone – e mentre Makaulay, maggiore di due anni, diventa il cofondatore e voce di un rock band– Kieran a 19 anni già in Igby , 2002, è candidato al Golden Globe per il migliore attore,
Iinterpretando un diciassettenne con famiglia disastrata tra malattia fisica della madre (una tremenda “spietata” Susan Sarandon), quella psichica del padre , “annichilito” dalla moglie (Bill Pullman), la prevaricazione del fratello maggiore, un padrino sordido ( Jeff Goldblum). Un ventennio prima Kieran era quindi più che attrezzato a un ruolo come questo suo ultimo. Eisenberg e Culkin sono coetanei (entrambi del 1982), diversissimi tra di loro per temperamento e modo di recitare. Introverso, razionale , ma ossessivo-compulsivo il primo ( che confessa apertamente questo suo disturbo), estroverso, vulnerabile ed eccessivo il secondo, un vero e proprio “real pain” (per un significato di pronta beva al titolo, che poi assumerà alla fine altre stratificazioni, si provi in italiano a significare, per eufemismo , una sgradita supposta, o in fiorentino “un crostino” o “una crodiga” in triestino.
Ma proprio per questa diversità risultano complementari e funzionano perché, come nello stile di Eisenberg, fin dal suo primo film, non percepiamo due ruoli, ma due persone in carne ed ossa. David (Eisenberg) ha un cugino ( (Culkin) cui è legato molto, ma con cui ha una conflittualità caratteriale, e se l’altro ha magari verso lui una punta di invidia, David ha un senso di colpa e anche di protezione per Benji (Culkin), in quanto mentre lui s’è fatto una famiglia (moglie e figlio) , ha un buon lavoro stabile a New York , l’altro invece vive ancora nella scantinato della madre, fa uso di droghe e psicofarmaci e ha tentato una volta il suicidio. Appreso della morte della comune nonna materna , già sopravvissuta ai lager in Polonia, e tornata alla sua Lublino, storica e mitica città (la “Oxford ebreo-polacca”) per i suoi ultimi anni, e sapendo il particolare attaccamento di Benji per lei , David organizza un viaggio col cugino, per andare a scoprire così le loro radici ebraico-polacche e che magari possa essere anche terapeutico psichicamente per Ben , alla fine per chiudere un cerchio. Il film inizia all’aeroporto di NY nel primo pomeriggio con David che cerca Ben e questi è già lì dalla mattina , giacché dice , a lui interessava molto stare lì e guardarsi attorno “perché qui c’è un sacco di gente strana e fuori di testa”. I due cugini sono quindi stilizzati con una singola geniale pennellata, ancora prima che si sdipani il gomitolo delle loro alterità. Inizia il viaggio , accompagnato dal piano di uno dei vari ‘Notturni’ di Chopin.
Fanno parte di una particolare ristretta gita turistica e i compagni di viaggio (quattro) sono chi per un verso che per l’altro, tutti legati all’ebraismo. Una coppia di anziani , una single ancora piacente divorziata sessantenne ( Jennifer Grey , la Frances “Baby” di Dirthy Dancing (1987). Qui è Marcia, con una madre che non le parlò mai della propria tragedia ; infine un nero originario dal Rwanda, scampato al genocidio nel suo paese del 1994, e convertitosi in Usa alla religione ebraica , e comunque ora motivato da una solidarietà di fede con un destino storico che non aveva vissuto. E infine una guida turistica angloindiana , molto didascalica , ma assolutamente priva di qualsiasi esperienza antropologica sul tema. Il film è modulato fin dall’inizio su piano/forte, e in modo suo originale : al forte, sorge nel gruppo un tema che si presta alla drammatizzazione, ma segue subito uno stacco/pianoche lo risistema nel gioco , pur non prendendosi gioco di esso. E la comitiva prosegue il suo cammino come una sorta di compagnia ne La Via Lattea. Ma , a differenza di Bunuel, qui non sono mai in campo clangori ideologici di un gioco dialettico e acuminato.
E’ un meccanismo particolare quello che Eisenberg ci allestisce. Succede che , sia per un osservazione della guida, sia per un topos particolare, siamo indotti , come il gruppo , a veder nel racconto e nei siti visitati, trascorrere tragedie e immagini. Il più delle volte quello che mette il sale e pepe, e comincia a far male ( a real pain) è proprio Ben, ma è lo stesso poi a recuperare e a trasformarlo in un momento di condivisione . E’ il caso dell’ impatto davanti alla porta d’ingresso del vecchio ghetto ebraico , sono evocati il coprifuoco notturno e i tunnel sotterranei che gli ebrei escogitavano per uscire fuori dalla loro condizione di reclusi; ma alla fine la nube del dolore viene dissipata dal fulgore della memoria di una Lublino prima dell’Olocausto che splendeva davvero come “la Oxford ebrea”. Poi il gruppo si sofferma colpito di fronte al Mausoleo fatto da una coreografia di enormi statue interagenti in plastica posa nel loro combattimento e martiro, raffiguranti gli eroi resistenti della rivolta del ghetto di Varsavia contro i nazisti. E’ Ben a sciogliere emozione, impasse e retorica in agguato, proponendo al gruppo , e coinvolgendolo in omaggio felice , di fermare una foto di tutti loro a mimare quell’ epopea, ma non a schernire, sotto le statue giganti degli eroi.
Per altro verso complementare, sostano davanti al Memoriale dell’Armata Rossa, dove la riflessione storica del non intervento dei russi , cinicamente calcolato da Stalin- che poteva far entrare l’Armata Rossa in città prima che gli insorti del ghetto fossero massacrati – si riduce ad un laconico cenno senza ulteriori commenti.
Anche sul treno in cui le terze o seconde generazioni delle antiche vittime della Shoah viaggiano in prima classe con tutti i confort, è oggetto dell’osservazione di Ben il quale osserva che è di cattivo gusto e forse anche immorale viaggiare comodamente e senza pensieri , senza pensare che 80 anni prima, sulla stessa rotta, c’erano stati i loro progenitori. Che avevano compiuto tragicamente e in ben altre condizioni il loro viaggio in vagone bestiame. L’imbarazzo trapela palese , una nube di dolore ( a real pain) riappare sopra il gruppo , lo turba; poi toccata e fuga. Non s’avverte superficialità, ma il ruvido stile di pungerci sottilmente e lasciarci così a pensare fra sé. Solo in due momenti il notturno di Chopin non accompagna le scene. Quando entrano nel campo di sterminio di Majadanek , a pochi chilometri da Lublino, non c’è tappeto musicale, solo silenzio , anche di parole, di fronte alle macchie blu del gas letale impresso sui muri, e le migliaia di ciabatte accatastate a simbolo perenne delle vite spezzate e martoriate allora : la stessa immagine delle ciabatte appariva verso la fine de La zona di interesse : ma nel film di Glazer era una lunga lenta carrellata in su e giù sui calzari delle vittime, qui c’è l’immagine forte e grigia, poi lo stacco del gruppo sul treno.
E lì sul treno Ben ha come un rantolo di pianto, silenzioso ma squassante. A real pain qui si avverte in un questo semplice nudo attimo di smarrimento ma, nella totale sottrazione nel tempo e nel gesto, e nella carezza furtiva che David fa al cugino, l’emozione arriva ancor più amplificata. Poi , per la seconda volta, il tappeto musicale di Chopin si interrompe alla fine del viaggio , quando David e Ben che si sono staccati dal gruppo , arrivano davanti alla casa della nonna morta. Sono davanti alla porta e vorrebbero posarvi due sassi come in Schindler List le migliaia dei sopravvissuti sulla tomba del loro salvatore; ma qui Eisenberg fa un altro twist antiretorico e proprio per questo ci rende una scena, apparentemente comica, compassionevole dell’altro da noi , e di noi stessi, e della storia che scorre, anche senza di noi, malgrado noi, e le nostre memorie: in una sospensione dell’emozione , laddove il condomino anziano non ebraico, che dalla finestra di sopra osserva , disapprova e proibisce il gesto perché potrebbe far inciampare i vicini anziani.
Tornano a New York , ma David che ha subito preso un taxi per tornare a casa, telefona al cugino ancora all’aeroporto, perché lo raggiunga e vuole ospitarlo, come convenuto, a cena dalla sua famiglia e stare insieme, ma Ben gli risponde che preferisce rimanere ancora li, perché “qui c’è un sacco di gente fuori di testa, mi interessa”. La macchina da presa lo riprende in primo piano coi suoi occhi rossi di pianto , col suo zaino e gli abiti in stile freak, smarrito e fisso in un punto , poi stacca lentamente nel caleidoscopico di genie, lingue ed emozioni che abitano questo personaggio travagliato, imperfetto, debordante, spiegazzato, a real pain per tutti, ma simpatico ed empatico ; che per tutto il film ci ha interrogato sul fatto che “le persone non possono andare in giro per il mondo ed essere sempre felici” : “come è possibile essere felici e spensierati se dimentichiamo il dolore antico che circonda le nostre vite e la storia dei nostri avi sventurati e perseguitati?”.